Errore umano di Lietta Tornabuoni
Errore umano Errore umano OME sarà che 1'«errore umano» denunciato e/o processato come colpevole di tante sciagure anche letali non riguarda mai chi dà ordini ma soltanto chi li ese- fue, mai i responsaili di vertice ma sempre gli operatori di base, mai i dirigenti ma sempre i diretti, mai chi ha creato o non ha modificato condizioni di lavoro rischiose, impossibili, ma sempre chi a causa di quelle condizioni ha sbagliato? Può darsi che il pubblico ministero di Brindisi abbia ragione, che il comandante italiano della corvetta «Sibilla» e il comandante albanese della motovedetta «Kater I Rades» siano gli unici colpevoli della collisione in cui il 28 marzo 1997 trovarono la morte per acqua oltre cinquanta persone che nell'immigrazione clandestina in Italia avevano cercato vita e speranza. Può darsi, almeno, che non sia possibile provare responsabilità dei più alti Comandi della Marina di Roma e del Canale d'Otranto: anche a causa della solita sparizione dei nastri magnetici su cui erano registrati i loro ordini. Può darsi che i comandanti italiano e albanese si siano ^davvero dimostrati .i soli incompetenti, imprudenti, negligenti. Può darsi, si vedrà (se si vedrà). Quello che colpisce, in questa vicenda orribile troppo presto rimossa e dimenticata, è innanzi tutto il massacro di tanti, anche donne, bambini. E poi lo strano caso dell'«errore umano» selettivo, classista. Come negli incidenti ferroviari recenti, a sbagliare sono sempre gli ultimi della cordata, gli addetti, e quasi mai c'è un capo che si assuma le re sponsabilità del ruolo, magari dimettendosi: an zi, per negare ogni proprio coinvolgimento o coprire i propri simili son capaci non soltanto di mentire sfrontatamente per anni ai magistrati e alla gente co me capitò nel caso Ustica, ma anche di denigrare i lavoratori addetti, di insi j^Tuare con sufficiente chia PER BENE Bisognerà abituarsi a diffidare di quelle facce, di quel'aspetto che secondo il luogo comune sociale parevano caratterizzare le persone per bene, che nel nostro bisogno d'avere fiducia e d'essere rassicurati sembravano garantire onestà, rispetto delle regole, affidabilità? A vederli nelle fotografie o alla televisione, il generale dei carabinieri accusato di estorsione e truffa, l'alto magistrato condannato per corruzione e associazione mafiosa, il monsignore arrestato per abusi sessuali e favoreggiamento della prostituzione ai danni di ragazzine minorenni, appaiono impeccabili: quei fisici non grassi ma ben pasciuti (volendo, una leggera abbronzatura), quelle espressioni miste d'autorità e di benevolenza, quella sicurezza e scioltezza nel muoversi tipica di chi non deve nulla a nessuno, quei discreti sorrisi, quegli abiti sobri e costosi indizio di benessere e di potere... Bisognerà imparare a considerare simili segni con allarme? Bisognerà capovolgere gli stereotipi, come hanno fatto nel cinema i fratelli americani Joel e Ethan Coen? Nel loro film «Il grande Lebowski», il solo personaggio non criminale né pazzo è un vecchio ragazzo nostalgico degli Anni Settanta con la barba e i capelli lunghi, in shorts, sandali e maglie, mentre sono delinquenti tutti i tipi per bene, quelli perfettamente rasati, vestiti in modo ultracorretto, supereducati, sorridenti e melliflui. Lietta Tornabuoni u rezza che siano in atto forme diffuse di sabotaggio organizzato.
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