«Noi, eroi Serenissimi» di Cesare Martinetti

«Noi, eroi Serenissimi» Ma continua la polemica sulla lettera al sindaco. I filo-leghisti: «Siete caduti nel suo tranello» «Noi, eroi Serenissimi» Buson: ora la mia vita ha un senso REPORTAGE IL COMMANDO TORNA A CASA CARTURA (PADOVA) DAL NOSTRO INVIATO Gilberto Buson è uno che ti guarda in faccia, che ha la sua morale, ma anche la sua ironia. «La mia vita? E' finita quel giorno, il 9 maggio di un anno fa». Finita? «Nel senso che ho fatto il mio dovere». A salire sul campanile? «Sì, ho dato un senso al mio vivere. E' come quando uno trova la donna che diventa sua moglie o come quando decide di mettere su famiglia». Fausto Faccia, invece, è uno che guarda oltre, anche quando ti parla. Dice che l'«arca del Signore è partita: adesso tutti la seguono, la via è tracciata, i binari sono lì, la questione è posta. Ma attenzione: noi chiederemo a tutti conto di quello che faranno. A Cacciari diremo: tu hai detto così e cosà, ma cosa hai fatto?». Un altro campanile? Ma no. «Irripetibile, unico», quel gesto, dicono i Contin (Flavio e Christian, zio e nipote) che costituiscono la corrente filo-leghista del commando e che ieri hanno attaccato i tre che hanno firmato la lettera di pace al sindaco di Venezia Massimo Cacciari: «Siete caduti nella sua trappola». Torniamo a Cartura, Agna, Conselve, il «triangolo del Leone», Bassa padovana, pioggia, odore di terra, fabbrichette e strade strette. E' l'acquario dei Serenissimi che hanno assaltato il campanile di San Marco, ora Uberi e quasi perdonati dallo Stato. Paesi informi, bar e villette fatte in serie. I tre scarcerati sono tornati a nuotare come pesci nella loro acqua. Se ne parla nei bar dove si sono raccolte collette per mantenere le famiglie. Ma subito l'ambiente si è richiuso intorno ai suoi anonimi eroi. Chi ha visto Antonio Barison, detto Herthy, un soprannome che nessuno sa spiegare? Nessuno. Il campanello della sua casetta, su via del Mare, Conselve, suona a vuoto. Inutile telefonare, perché il telefono non c'è. La saracinesca del garage, il suo laboratorio di elettricista, è chiusa. Lunedì sera è uscito tutto solo dal carcere di Bologna, nessuno lo aspettava. Ha preso il treno fino a Padova; poi l'avvocato lo ha accompagnato a casa, in macchina. La moglie era a lavorare. Quando le hanno detto che liberavano Herthy, ha detto: «Ah sì?». Adesso la suocera ci racconta che «ieri sera erano tutti contenti». Meno male. All'unico giornalista che lo ha interrogato, lunedì, ha risposto: «Sì, lo rifarei... se fosse la prima volta». Un bel paradosso: come si fa a «rifare» una cosa per la «prima volta»? Ma non è mica la logica, che conta in questa storia dei Serenissimi. Si capisce benissimo che anche Barison dice quello che dicono tutti gli altri: nessun pentimento, viva San Marco. E' metà pomeriggio quando finalmente lo vediamo con un bel cappellino azzurro che si affaccia dal primo piano: cosa significa Herthy? «Non lo so». Ci racconta come sta? «No, non rilascio». Saluti. A Cartura, nel cortile di casa Buson, tra galli, galline, pulcini e figli (cinque), sotto una sbiadita bandiera di San Marco che sventola alla pioggia, arriva una graziosa giornalista televisiva che gli punta il microfono in faccia: come lo ha accolto sua moglie? I baffi dell'uomo di San Marco si piegano in una smorfia: «Sono salito sul campanile, ho rischiato la vita, sono stato un anno in galera e tu mi vieni a chiedere come mi ha accolto mia moglie?». Eroi? Sì, ovvio, si sentono eroi, seppure solitari, in queste società atomizzate, in questi paesi di pozzanghere che di pomeriggio appaiono svuotati: tutti in boita, a lavorare. Proprio come un eroe la Roberta guarda il suo Fausto (Faccia) nella villetta di Agna: «E' in questi momenti che si vedono gli uomini». E Fausto, naturalmente, è un uomo: «Provate un po' voi a portare un tanko come quello in piazza San Marco mentre vi puntano i mitra...». Uno aveva lasciato sua mamma di 93 anni a casa, un altro sua moglie e cinque figli, un altro ha chiuso i libri di scuola, ha salutato la mamma ed è venuto, un altro... Si raccontano come una leggenda, anzi, dice Fausto, «la nostra ormai è Storia: un giorno si dirà: quel 9 maggio... Abbiamo i mille anni della Serenissima alle spalle, mica come la Padania, una cosa che non esiste, inventata in una notte». E ci volevano proprio, il tanko e il fucile in piazza San Mar¬ co, un anno fa? Ci spiega Buson: «Siamo partiti dalla nostra terra, siamo saliti sul nostro campanile per portare la nostra bandiera, quella con il leone e il vangelo, ma bisognava andarci di spada. Certo, potevamo anche pagare il biglietto e salire sul campanile, ma un simbolo per diventare un simbolo deve superare ostacoli, se no non gli si dà valore». E così «abbiamo parlato alla gente». E con Cacciari volete parlare? ((Anche su¬ bito». Il presidente della Regione Galan che va al congresso di Forza Italia con la bandiera del leone; il sindaco di Venezia che gli scrive e gli «sconta» 150 mi boni di danni; Bossi che dopo averli definiti provocatori, sfila sotto il carcere per liberarli Hanno vinto loro, i Serenissimi? Qui, nel triangolo del Leone, tutti pensano di sì. Cesare Martinetti La moglie di Faccia «E' in questi momenti che si vedono i veri uomini. Provate voi a portare un t'anko in piazza San Marco mentre vi puntano contro i mitra...». A sinistra Serenissimi poco prima della sentenza a Mestre A destra Massimo Cacciari