FATICHE D'ITALIA

FATICHE D'ITALIA Il Paese nell'era dell'economia globale: sorprendente rapporto del Centro Einaudi FATICHE D'ITALIA nellaforesta dei conti IMILANO A globalizzazione dell'economia? Vediamola così...» comincia Mano Deaglio, economista, grande divulgatore con le malizie dell'insegnante e la curiosità del giornalista. «Mettiamo il caso di due pianisti, entrambi grandi esecutori di Mozart, ma uno più bravo di un altro. Ebbene, anche solo 10-15 anni fa, il mondo era abbastanza grande per entrambi. Oggi, grazie alle tecnologie, tutti possono comprarsi il meglio, con un compact disc, con un'antenna parabolica, con un'esecuzione via Internet. E il numero due deve inventarsi qualcosa di nuovo da fare: magari studiare un autore diverso da Mozart, magari meno importante, ma che gli consenta di essere il numero uno sulla scena mondiale». Difficile trovare una maniera più efficace per raccontare la rivoluzione dell'economia che stiamo vivendo tutti quanti, in un pianeta che affronta rivoluzioni tecnologiche (elettronica, innanzitutto), finanziarie, politiche (la rivoluzione dell'Euro). E in cui l'Italia, magari a fatica, cerca di ritagliarsi uno spazio, per la sua piccola esibizione. Magari senza affrontare le sonate di Mozart, ma senza scivolare troppo in basso. Occorre un tirocinio faticoso, da completare in un ambiente difficile, irto di difficoltà in cui ogni errore si paga salato. Basti pensare all'occupazione: il risanamento finanziario, basato su alti tassi e crescita economica frenata, ha comportato un milione e mezzo di posti di lavoro in meno, cui vanno aggiunti altri 200 mila posti l'anno, per almeno cinque anni, sfumati per il necessario riequilibrio della finanza pubblica. Fanno due milioni e mezzo di posti di lavoro. Non è un caso che il titolo del rapporto sull'economia globale e l'Italia, curato da Mario Deaglio per il centro Einaudi (sponsor la Vitale e Borghesi) abbia per titolo quest'anno un eloquente L'Italia paga il conto (ne pubblichiamo uno stralcio in questa pagina). Anche perché il conto può essere misurato in molti modi, non solo in quantità ma anche in qualità. «Paragonando l'Italia a una foresta spiega Deaglio - si può affermare che sono caduti, nel corso degli Anni 90, alcuni grandi alberi, tradizionali punti di riferimento del l'economia italiana, per cui la fio ra appare indubbiamente impoverita». Negli ultimi sette anni l'Italia ha vissuto la proverbiale età delle vacche magre, con gravi conseguenze sul sistema delle imprese: nel '90 più di venti figuravano nella classifica del Financial Times fra le principali 500 imprese del mondo. Nel '97 la pattuglia si era ridotto a sole cinque unità e «salvo Eni e Fiat e, in parte, a Telecom» non figurano società italiane in grado di interpretare una strategia davvero globale. Eppure l'Italia ce la può fare, risponde Deaglio. In questi anni l'orgoglio ci ha permesso di agganciarci, stringendo i denti, al treno dell'Europa. E ci possiamo restare, tra i vagoni di testa, purché l'economia tiri, almeno il 3% del Pil in più (in cifre, 60 mila miliardi di produzione e 30 mila miliardi di entrate in più per il fisco); un'impresa non impossibile per un Paese come il nostro, dalla vitalità incredibile. Il bosco sarà meno folto, qualche quercia (dall'Olivetti alla chimica Montedison) è caduta. Ma il sottobosco è vitale, capace di crescere all'improvviso. Ma non cambia solo questo nello scenario del capitalismo: cresce, per qualità e successo in Borsa, il potere e il carisma dell'impero americano, si ritirano nella polvere le armate del Far East. Il Giappone è in netto calo, l'Indone- sia obbligata a subire l'esame feroce degli analisti di Washington. «C'è da chiedersi - dice Deaglio fino a quando può reggere una forbice del genere. Non si può rischiar di morire per le ricette del Fondo Monetario». Intanto il capitalismo si trasforma a un ritmo forsennato. In un solo anno le fusioni e le acquisizioni hanno coinvolto capitali per 1,7 milioni di miliardi di dollari. Nascono colossi un po' ovunque, dal turismo all'elettronica, dalle compagnie aeree all'elettronica. Ma, soprattutto, la febbre dell'economia supera le frontiere e gli steccati tradizionali. Lo sport, ormai, fa a pieno titolo parte del «mercato». Il 1997 è stato l'anno della «finanziarizzazione» del calcio, quello del successo del calcio britannico nella Borsa di Londra e del clamoroso contratto (4 miliardi di dollari, oltre 7 mila miliardi di lire) tra la Cbs e la lega del football americano per l'esclusiva dei diritti tv. Né la cultura sfugge alla tendenza: il tentativo di acquisto da parte di Reed Elsevier dell'olandese Wouters Kluwer per 10 mila miliardi ha fatto pensare, per un momento, alla nascita di un gigantesco monopolio del sapere scientifico, in grado di condizionare archivi e interpretazioni in settori delicati, a partire dal diritto internazionale. Il mondo d'oggi è davvero complesso e rapido. Si deve fare il conto con i malumori che covano nell'Asia umiliata dalla crisi, con l'orgoglio della «new economy» americana. E noi italiani, spesso, recitiamo la parte degli irregolari, decisi a ritagliarci un nostro spazio anche eludendo le regole. Chi sa, ad esempio, che il nostro Paese, assieme a Salvador, India, Indonesia, Paraguay e Vietnam è finito nella lista nera dell'Iipa (l'associazione internazionale per la proprietà intellettuale)? Tutta colpa del boom delle fotocopie che, in un Paese povero di lettori, ruba 470 miliardi di diritti d'autore. Ma così si rischia di mandare alla deriva l'editoria universitaria. Ma non è facile trovare la bussola in un mondo che cambia in maniera rapida e convulsa, dove in un anno scompaiono dalla classifica sette sulle prime dieci banche Usa, sostituite da nuovi grandi, fino a ieri inimmaginabili, colossi. Ancora si devono trarre le conseguenze del ritrovato potere del consumatore-cliente sull'industria di massa (mentre si può telefonare in America con sole 1500 lire, conoscendo certe tecniche) e già si affacciano nuovi pericoli. E' cominciata l'età degli oligopoli, dai costruttori di aeroplani (due soli nel mondo) ai colossi della farmaceutica (non più di cinque o sei) ai giganti bancari che stanno sorgendo in America. Su tutti spicca il caso della Microsoft, monopolista nel software. E si profila un'altra parola di moda, in arrivo dall'impero economico anglosassone: il «decontenting», ovvero l'eliminazione (spesso tacita) degli elementi «superflui» da un prodotto. Ovvero un calo, tacito, di qualità a prezzo invariato. E' un mondo, insomma, dove gli esami non finiscono mai. «E l'Italia chiude Deaglio - ci vive come lo studente che, a sorpresa, ha passato un esame che pareva impossibile, dopo aver recuperato il ritardo studiando giorno e notte». Peccato che, da maggio, già si annunci l'appello per una nuova sessione: Maastricht due, ovvero, dopo il risanamento, lo sviluppo. Ugo Bertone Nella ricerca guidata da Mario Deaglio la radiografia di una rivoluzione dalle molte facce V.V'V.V.V-V'VWV'tH ia globale: HE D'ITALIAta sorprendente rapporimuracial preglia tà e Teitauna , rinni aneno sta l'e Pil di di i di imPaeà inolto, alla uta. pace nelcreBormpepolt. Il one- -$—r* 20". Mario Deaglio e, a destra, il ministro delle Finanze olandese Gerrit Zaim iitltiU -IH 411)1 •111 miti Dilemmi*: iUUllL. 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