Morte di un mistero americano

Morte di un mistero americano In carcere dal '68, confessò di essere il killer del leader nero e subito ritrattò Morte di un mistero americano James Earl Ray, accusato dell'omicidio diM. L. King NEW YORK NOSTRO SERVIZIO E' morto James Earl Ray, presunto assassino di Martin Luther King. E' morto nell'ospedale di Nashville dove negli ultimi tre anni era stato ricoverato almeno una decina di volte perché soffriva di cirrosi epatica. L'ultimo ricovero era avvenuto lunedì, e stavolta non c'è stato modo di salvarlo. Questi ultimi quattro giorni li ha trascorsi in coma. Aveva 70 anni, e secondo la curiosa condanna ricevuta 99 anni di prigione - doveva restare in prigione fino al 2068. Ray aveva cominciato a protestare la sua innocenza tre giorni dopo avere confessato di avere ucciso Martin Luther King. Quella confessione, spiego, l'aveva resa per salvarsi dalla pena di morte. L'Fbi gli aveva sottoposto la propria versione di come era¬ no andate le cose e lui l'aveva firmata. Il punto essenziale di quella versione era che Ray avesse agito da solo, ma la cosa ha sempre convinto molto poco, tanto che subito dopo la condanna di Ray Coretta King, la vedova del leader dei diritti civili, aveva detto esplicitamente che «a premere quel grilletto sono state molte dita». Il grilletto era naturalmente quello del fucile che il 4 aprile 1968 aveva posto fine all'esistenza di Martin Luther King sul balcone del motel «Lorraine» di Memphis, nel Tennessee, scatenando rivolte che per giorni sconvolsero almeno 100 città americane. I tentativi di James Earl Ray di far riaprire il proprio processo si sono sistematicamente scontrati con la norma legale secondo cui un reo confesso non può chiedere l'appello, e con l'ostinata difesa che l'Fbi ha sempre fatto della sua teoria dell'«uomo solo», sebbene non sia mai stato fornito un vero movente, né sia mai stato possibile indicare James Earl Ray come un razzista militante. Lui era un piccolo delinquente che - ha sempre sostenuto - nel momento in cui risuonarono gli spari contro Luther King stava cambiando una ruota alla sua automobile e che, vista la situazione, aveva pensato bene di fuggire. Lo presero a Londra due mesi più tardi. Anche recentemente, quando finalmente gli investigatori si sono decisi a dire qualcosa del misterioso «Raoul», l'uomo che Ray indicava come colui che lo aveva «incastrato», tutto quello che hanno ammesso è che quell'uomo esiste ma che non ha niente a che fare con il delitto, perché quel giorno fatale si trovava lontano miglia e miglia. Nes- suno però ha potuto verificare ciò che l'Fbi diceva, perché la vera identità di «Raoul» non è stata svelata. Nell'ultimo periodo anche la famiglia di Martin Luther King aveva deciso di affiancare Ray nella sua battaglia per la riapertura del processo. L'anno scorso, con una mossa spettacolare ma anche carica di emozione, Dexter King, uno dei figli della vittima, era andato a trovarlo nel carcere di Nashville e davanti alle telecamere gli aveva chiesto: «Ha ucciso mio padre?». «No», gli aveva risposto Ray e Dexter aveva replicato: «Le credo». La scena, trasmessa da tutte le tv americane, aveva fatto molta impressione, e la voglia di scavare in questo che è uno dei misteri dell'America era rifiorita. Ma tutto ciò che era stato ottenuto, si diceva, era stata quella generica e reticente dichiarazione dell'Fbi a proposito di «Raoul». Poi, meno di tre settimane fa, commemorando il trentesimo anniversario dell'assassinio, Coretta King aveva annunciato che avrebbe chiesto al presidente Clinton la creazione di una commissione ad hoc per riesaminare tutta la vicenda. Non si sa se quella richiesta sia già stata presentata formalmente, né quale sia l'atteggiamento di Clinton al riguardo. Franco Patitarelli James Earl Ray durante un trasferimento poco dopo il delitto: indossa il giubbotto antiproiettile

Luoghi citati: America, Londra, Memphis, Nashville, New York, Tennessee