Soffiantini fa vacillare la difesa di Delfino
Soffiantini fa vacillare la difesa di Delfino Dopo il tentativo di suicidio, l'ufficiale migliora: prognosi di una settimana Soffiantini fa vacillare la difesa di Delfino E spunta un testimone dell'incontro con Alghisi BRESCIA DAL NOSTRO INVIATO «Vi chiedo scusa...». Tocca a Giuseppe-Soffiantird salire in procura. E non per smentire suo figlio Giordano ma per confermare, dicono gli inquirenti, «alcuni particolari». E presentare le scuse per l'atteggiamento tenuto nell'interrogatorio precedente dove, come scrisse il giudice nell'ordinanza di arresto di Delfino, aveva «negato l'evidenza». Mancava la sua parola per chiudere il cerchio attorno al generale: le cui verità, come lui stesso ha intuito decidendo di sbattere la testa contro il muro, sembrano aver perso di credibilità. Una parola arrivata con fatica quella di Giuseppe Soffiantini, che finora aveva fatto mostra «d'incredulità» verso eventuali responsabilità di Delfino: «Ritengo che mio figlio Giordano non dica la verità...». Atteggiamento che i magistrati giustificarono con la paura per «l'incolumità fisica dei famigliari», pur rilevando «l'atteggiamento di goffa ostinazione di Giuseppe Soffiantini nel voler negare l'evidenza». Di certo, l'imprenditore venne a sapere come erano andate le cose solo dai racconti dei figli, Carlo e Giordano, e da quelli di Alghisi. E ieri, diversamente da come era andato il primo incontro con i magistrati, Giuseppe Soffiantini ha voluto dare il suo contributo di verità rimanendo davanti al procuratore Giancarlo Tarquini per un'ora e mezzo. Ed è stata probabilmente un'altra stilettata per Francesco Delfino, le cui condizioni di salute, dopo il «gesto di autolesioni- smo», sembrano migliorate: 20 punti di sutura alla testa e 7 giorni di prognosi, questa la diagnosi all'ospedale di Verona. «Se fisicamente si può dire che le sue condizioni sono stazionarie commenta l'avvocato Raffaele Della Valle -, psichicamente Delfino è provato». Così, oggi i legali presenteranno un'istanza di scarcerazione, chiedendo gli arresti domiciliari «per motivi di salute» e sollecitando al gip Roberto Spanò una perizia medica. Lo stesso gip, sempre oggi, de¬ positerà la sua decisione sulla scarcerazione di Giordano Alghisi, che ha già ottenuto il parere favorevole della procura. Le sue smentite ai verbali del generale, che aveva sostenuto di aver ricevuto 800 milioni dall'imprenditore come anticipo di pagamento (in nero) della sua villa a Meina, sono state suffragate definitivamente anche dai racconti di Giordano Soffiantini, che non solo ha dichiarato di avere assistito ad alcune telefonate tra Delfino e Alghisi («Si era stabilito di parlare in codice: "ravioli" al posto di milioni»), ma che sarebbe stato lui stesso a sollecitare l'intervento del generale. Inoltre, ieri è spuntato un terzo uomo: un testimone, già interrogato dalla procura, che avrebbe assistito ad un ulteriore incontro tra Alghisi e il generale, avvenuto a Parma a febbraio, poco prima della liberazione di Soffiantini. Nell'incontro l'ufficiale avrebbe avanzato la seconda richiesta di 700 milioni. Se¬ condo Delfino, si sarebbe trattato della seconda rata di pagamento per la villa (ma perché ancora con soldi in contanti?). Mentre per Alghisi il generale avrebbe riferito che la banda dei rapitori era composta, oltre che da Giovanni Farina e Attilio Cubeddu, da altri due banditi di cui non conosceva l'identità. Giordano Soffiantini si rifiutò di consegnare altro denaro e si disse disponibile a versare ancora 500 milioni solo dopo la liberazione del padre. Il testimone, che ac¬ compagnò in auto Alghisi, ma che non assistette al colloquio, avrebbe solo confermato l'incontro. Gli incontri tra Alghisi e Delfino sarebbero stati, secondo l'imprenditore, almeno 3: oltre che a Parma, il 31 dicembre si videro a Cremona. Alghisi avrebbe chiesto aiuto a nome dei Soffiantini e il generale avrebbe risposto che non era semplice, perché c'era di mezzo la morte di un poliziotto, Samuele Donatone I due si sarebbero risentiti i primi di gennaio, dopo che Al¬ ghisi - ha detto a verbale - aveva messo al corrente della faccenda i due ufficiali dei carabinieri bresciani, Acerbi e Pinto. Infine, il 6 gennaio la consegna dei soldi. «Nella mia auto», ha detto Alghisi, «mentre andavamo verso Arona». «No, davanti alla villa di Meina», ha ribattuto il generale. «Io quella villa non l'ho mai vista», ha insistito Alghisi. Come al solito, due versioni contrastanti. Paolo Colonnello Interrogato dal procuratore di Brescia, l'ex ostaggio avrebbe per la prima volta confermato le dichiarazioni dei figli Oggi il gip depositerà la sua decisione sulla scarcerazione dell'amico dell'imprenditore che ha già avuto il sì della procura Iti; iie ho dato un miliardo:' no servire a pagare un informatore ire !a liberazione di Giuseppe IBI o mai visto la villa e non esiste nessun o o accordo di compravendita» lipoma con Ì soldi, consegnai due scatole SO», ma Delfino mi disse che non 'era bisogno» CronDopo il tentat
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