QUANDO NACQUE LA SEICENTO

QUANDO NACQUE LA SEICENTO QUANDO NACQUE LA SEICENTO Al Lingotto si sperimentarono le nuove tecniche di collaudo SCRIVE Francesco Brunetti, torinese. «E' in vendita in questi giorni la nuova Seicento proseguendo la tradizione della vecchia Seicento di oltre quarant'anni or sono. Un fatto che non poteva passare inosservato a me che, della vecchia Seicento sono stato, anche se modestissimo, compartecipe della messa a punto e tra i primi proprietari. Vidi apparire il primo prototipo quando eravamo ancora al lingotto e nel periodo in cui era direttore del Dipartimento l'ing. Codecà, poi barbaramente assassinato. In quel tempo si cominciavano ad utilizzare, anche sulle vetture, tecniche elettroniche per lo studio e l'analisi dei fenomeni meccanici ed il mio superiore, l'ing. Pinolini, mi aveva assunto per questo preciso scopo. Ero un radiotecnico ed il mio ingresso con il grembiule nero nel mondo delle tute blu fu piuttosto difficile sia per l'ambiente rumoroso ed anche sporco, sia per il lavoro completamente diverso da quello svolto nei tranquilli laboratori di radiotecnica. La 600 fu una delle prime vetture sulla quale, in fase di progetto, si utilizzarono queste nuove tecniche per verificare i calcoli teorici dell'ing. Giacosa e dai suoi collaboratori, gli ingegneri Montabone e Montanari. Ricordo le discese a rotta di collo lungo le curve in acciottolato della strada vecchia di San Vito effettuate per misurare le sollecitazioni nei supporti delle ruote anteriori. Non so se furono più da ammirare i collaudatori che guidavano la vettura all'estremo delle possibilità oppure il mio valido collaboratore, il signor Gagliardi, il quale, per la sua statura modesta, era l'unico in grado di entrare nel minuscolo abitacolo per azionare l'enorme registratore, che occupava quasi completamente lo spazio. Nel frattempo nel laboratorio del signor Pohsseno, si sollecitavano i vari componenti per valutarne la durata di vita; i collaudatori, sotto la guida del signor Salammo, vecchia gloria delle competizioni automobilistiche, macinavano chilometri per definire il comportamento su strada ed il signor Turra collaudava al banco il futuro motore... Finalmente la Seicento entrò in produzione. Una stretta di mano dell'amministratore, Valletta, ed un premio di venticinquemila li- re furono, per me, la conclusione di anni di lavoro. Non erano trascorsi più di quindici giorni dalla presentazione ufficiale della vettura quando mi fu consegnata la mia. Era di colore blu scuro; il signor Gindro, un simpatico collaudatore, quando la vide commentò "a smija na boja panatera". Iniziai con foga la mia vita di proprietario di una Seicento; in sei mesi percorsi più di venticinquemila chilometri. Il tempo da dedicare alla guida era poco. I nostri orari non erano le trenta- cinque ore di cui si parla oggi ma di almeno una cinquantina di ore fra normali e straordinarie. Il fatto non mi preoccupava perché, con un panino come pranzo, il sabato pomeriggio partivo per il mare ed arrivavo ad Albenga in meno di due ore e mezzo, compresa l'immancabile breve sosta all'affollato caffè di Mondovì. Oggi, rispettando i limiti di velocità ed utilizzando la terribile autostrada, anche una lussuosa berlina impiega lo stesso tempo. Di domenica erano le classiche gite verso il mio Monferrato e la fotografia ricorda una di queste. Mio fratello, mia sorella e mia cugina sono in posa davanti alla casetta del mio nonno materno, a Castagnole Monferrato il buon Stivulin. Con mio fratello ed il mio amico di sempre, Emilio, un giorno partimmo per un giro della Toscana: Arezzo, Cortona, Siena, ed infine Chianciano. Qui cominciarono i problemi. Partimmo al mattino da Chianciano con l'intenzione di raggiungere Sanremo. Pochi chilometri, una breve salita e sul cruscotto si accese una spia: il motore si stava surriscaldando. Un rapido esame mi permise di individuare il guasto; conoscevo bene quel minuscolo motore, diversamente da oggi che non oso nemmeno aprire il cofano della mia vettura ove sono contenuti tanti mostruosi aggeggi. In questa prima edizione della 600 il radiatore era in pressione per cui, se si apriva il tappo a motore caldo, ne usciva un violento getto di vapore ed acqua bollente. Quando si chiedeva ai benzinai il rabbocco dell'acqua, l'uomo afferrava una coperta, la gettava sul radiatore, apriva e con un balzo si metteva in salvo. Giungemmo alle due di notte a Sanremo; a causa delle dure prestazioni il cambio della vettura cominciò a ribellarsi, gli ammortizzatori persero ogni efficacia e la lucina rossa, sulle rampe del Bracco, rifece la sua apparizione obbligandoci ad alcune soste. Al mio ritorno a Torino accennai a Salamano quali erano i guai e lui mi diede il permesso di portare la mia vetturetta nell'officina. Fu vivisezionata ed i suoi pezzi divennero oggetto di controlli di ogni tipo. Ricordo che l'ing. Peracchio, dopo aver controllato la pompa di circolazione, affermò che l'acqua nel radiatore circolava meglio senza la pompa. Cominciarono così i guai per la produzione; parecchie relazioni partirono dal Dipartimento Esperienze verso la Direzione per illustrare tutti i difetti che erano stati rilevati. La nascita della mia vettura era, forse, un parto prematuro. Sotto le abili mani dei meccanici del nostro Dipartimento il mio mezzo risorse, n buon Gindro mi prese a bordo e mi condusse a fare un giro di prova sulla pista di Mirafiori e, borbottando "a 1' è nen an leon ma a peul andè", me la riconsegnò».