Beffa da cento dollari a Farina
Beffa da cento dollari a Farina Beffa da cento dollari a Farina Carlo li sottrasse dalla somma del riscatto TESTIMONIANZA la notte del riscatto MANERBIO (Brescia) DAL NOSTRO INVIATO Dopo quella notte su per i boschi della Calvana con cinque miliardi in dollari nel baule, Nino Galuppini, 63 anni, piastrellista di Manerbio, non si stupisce più di niente. Né che abbiano arrestato il suo amico di sempre Giordano Alghisi, né che abbiano messo in galera un altro suo amico da tanti anni, Francesco Delfino, accusato di quel centomila maledetto, goccia di un riscatto mai arrivato nelle mani dell'Anonima. «Ma. se anche Giù-, seppe Soffiantini tiene in cornice in ufficio una banconota da cento dollari di quelle che ho portato io nei boschi...», rivela il Nino, seduto sul divano verde pallido del salotto davanti al camino, dove tra i trofei di caccia al fagiano spunta la foto, l'immagine felice di quella notte, lui e Giuseppe Soffiantini abbracciati nella questura di Firenze. «Mi ricordo bene di quei cento dollari. Eravamo in una casa a Bologna, sul tavolo c'erano i cinque miliardi in dollari che dovevamo consegnare ai rapitori. Carlo Soffiantini era arrabbiato, continuava a dire: "Ora che glieli diamo, con le variazioni del dollaro guadagnano altri 15 miboni. Ma io li frego, quei bastardi, quel porco di Farina..."», e allora zac, ricorda lui, un biglietto verde da cento finisce nel portafogli del figlio di Soffiantini, come un trofeo. O un amuleto. «Quasi quasi, mi prendevo anch'io un biglietto per ricordo... Certo che se poi me lo trovavano a casa, mi facevano fare la stessa fine di Delfino», fa i conti Nino Galuppini, eroe per una notte, dieci minuti indimenticabili davanti ai banditi che a lui e all'Ermanno Manenti, chiedono subito una còsa sola: «Quanti soldi avete?». «Ce li avevamo, cinque miliardi. O forse sette, come dice qualcuno... Ma cosa sono mai due miliardi, io mi ricordo solo di quelle bórse che pesavano 40 chili», racconta lui. E poi rimugina la cronaca di questi giorni: «Ecco, hanno arrestato il Giordano Alghisi per la stessa cosa che ho fatto io, portare i soldi. Mi sa tanto che in questa storia ci sono faccende poco chiare, ci sono dei conti aperti tra di loro, tra gli inquirenti e il generale per le cose che ha fatto quando stava qui a Brescia...». «Ma io me lo ricordo bene, Delfino, quando andava in giro col Mercedes rosso, pistole nel cruscotto, sotto ai sedili. Era un duro, Delfino», fa professione di fede Galuppini, e con l'amarezza butta giù un mentino. ((Eravamo molto uniti, andavamo a caccia in una riserva dei Soffiantini, Delfino mostrava una cicatrice sulla schiena, e diceva: 'Questa qui me l'ha fatta un accoltellatore, ma adesso non accoltella più nessuno". Di Delfino si possono discutere i metodi investigativi un po' spicci, da mastino. Ma almeno lui i delinquenti li prende, mica come quell'ufficiale che a Biofreddo ha fatto ammazzare Donatori. L'ha copà lù», tagba corto. Un'amicizia che dura da una vita, quella tra Giuseppe Soffiantini, Giordano Alghisi, Francesco Delfino e Nino Galuppini. Uriamicizia inossidabile, più forte di qualsiasi cosa: «Sì, c'era stato il problema dell'Ombretta, quella che diventerà poi la moglie di Carlo Soffiantini. Delfino l'aveva fatta arrestare che era una sestina, una ragazzina, per falsa testimonianza nelle indagini sulla strage di piazza della Loggia... sarà per quello che non è andato al suo matrimonio». Di una cosa, Nino Galuppini è sicuro come l'oro: della buona fede di tutti, del desiderio vero di rivedere a casa Giuseppe Soffiantini. Taglia corto: «Io ci credo che quel miliardo doveva servire a liberare Giuseppe. I figli erano disperati, ma se hai un amico in famiglia che si chiama generale Francesco Delfino, è il minimo rivolgersi a lui. Le stavano tentando tutte, anche con Niki Grauso erano andati a parlare, ma poi avevano lasciato perdere. Troppe parole, troppo faccio tutto io. E poi, perché non hanno arrestato Grauso? Lui diceva che sapeva, che aveva i contatti come ha dimostrato con la Melis. Perché non lui, al posto di Giordano?». Trattative segrete, il miliardo al generale, Nino Galuppini giura di non'sapere nulla. Anzi: «Mi sa che se me l'avessero detto, non sarei andato sui monti della Calvana, col rischio di farmi ammazzare». E' convinto che i figli di Soffiantini le abbiano tentate davvero tutte, provocando la reazione degli mquirenti: «Mi ricordo quel cancher del capitano Acerbi, dopo la liberazione di Soffiantini. Mi ha interrogato tre volte, picchiava i pugni sul tavolo e allora io gli ho detto: "Guardi che se non la smette, io me ne vado, io ho portato i soldi, mica li ho presi"». Fabio Potetti Adesso quei soldi sono incorniciati come un amuleto nell'ufficio di Soffiantini senior Giuseppe Soffiantini: il biglietto da 100 dollari ora è incorniciato nel suo ufficio
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