ANDREA PINKETTS E LA MADONNA NESSUNO MI PUÒ PRE-GIUDICARE di Piero Soria
ANDREA PINKETTS E LA MADONNA NESSUNO MI PUÒ PRE-GIUDICARE ANDREA PINKETTS E LA MADONNA NESSUNO MI PUÒ PRE-GIUDICARE «Sono un corteggiatore dell'estremo, dal barbone alla pornostar» MILANO ONO un corteggiatore dell'estremo. Troppo vago come biglietto da visita? E allora sentite qua: sono uno dei cento scapoli d'oro di Gioia, l'unico non titolato. Non basta ancora? Ebbene, sono Udo Kuoio, il re della frusta, l'uomo in stivaloni e correggie nere che ha tenuto a bada qumdicimila assatanati al PalaVobis milanese. Sono il giornalista investigativo di Esquire che si è intrufolato nella festa satanista di Bologna. Sono il maestro di arti marziali, l'ex istruttore di Kendo, di religione agnostico ma gran curioso di miti e di sacro. In parole povere, sono Andrea Pinketts, soprattutto scrittore noir da bar, marciapiedi e boulevards». Già. Il suo ultimo romanzo, Il conto dell'ultima cena, fresco di sole 48 ore di libreria, è il fuoco d'artificio del suo ormai «stabilizzato» modo d'essere: «All'inizio non sapevo esattamente cos'ero: un po' recita, un po' costruzione di personaggio, Jackill che spesso perdeva il controllo su mister Hi- de. Ora non più. Ora sono dawe ro così». La trama conferma: Lazzaro Santandrea (autobiografico protagonista del quarto romanzo della sua trilogia: «Se è vero che tre è il numero perfetto, dopo aver visto la perfezione ho tirato diritto per la mia strada accelerando il passo»), Lazzaro - si diceva - si addormenta ubriaco fradicio su una panchina del Parco Sempione. Una banda smandrappata di presuntuosi killer urbano-adolescenziali, scambiandolo per un barbone, decide di squartarlo. Ma mal gliene incoglie. Lazzaro («trentenne folgorato dalla costatazione che tutti i giusti, da Gesù Cristo a John Behshi, sono morti alla sua età»), naturalmente e mentalmente kendóka di ritorno, li suona come un tamburo prima di tornare tranquillamente al suo sonno ed alla sua panchina. Ma, a questo punto, gli compare nientemeno che la Madonna. La quale - reale o presunta che sia - gli suggerisce se non altro la «retta» via: vendersi come veggente nelle discoteche di provincia - in questo aiutato dalla stampa e da un impresario con il pelo sullo stomaco - fino a diventare una sorta di fenomeno da baraccone. Il giocattolo funziona a meraviglia. Peccato però che all'improvviso si rompa perché Lazzaro diventa inopinatamente testimone di un bieco delitto in cui la colpevole è proprio la Madonna. Nani, ballerine, pornostar e umanità varia sui sentieri di un'indagine che - ovvio vivrà di un inatteso colpo di scena finale. Povera Madonna. La fanno lacrimare un po' dappertutto. Ma adesso anche assassina... «Guardi che io non ho nessunissima intenzione blasfema, anzi. E' vero, sono agnostico. Ma ciò non vuol cure che non sia anche seriamente affascinato dal sacro, dall'ultraterreno. Non solo dal Dio cattolico. Ma anche dagli dei delle altre religioni, moderne o antiche che siano. Dalle mitologie. Dalla umana credulità. E poi guardi: il mio Lazzaro Santandrea è condannato fin da nome e cognome ad una vita di intermediazione tra sacro e profano. E' il suo destino». Ma allora quel titolo, «Il conto dell'ultima cena»... «Il Catechismo ci ha insegnato che Gesù, morendo, ha pagato per tutti. Bene, questa è fede. A me però interessa chi ha pagato, o paga, l'ultimo giro di amari». E chi sarebbe, secondo lei? «Una gran parte di noi. Non i malati o i disoccupati, ad esempio, che sono troppo occupati ad uscirne per pensare che esiste un conto da pagare. Ma chi sente dentro di sé il disagio del vivere, i borderline, quelli che hanno tempo e voglia di porsi la domanda». Gli squatter rientrano in questa categoria? «Non li conosco a fondo. E poi non sono una categoria. I fumatori di pipa sono una categoria: fondano club, si associano, parlano di pipe. Gli squatter, no. Sull'argomento posso solo testimoniare di rimbalzo, attraverso l'atteggiamento paterno che i Leoncavallini hanno nei loro confronti: quello cioè di un genitore nei confronti di un figlio scavezzacollo». Ma lei, in politica, dove sta? «Sono un anarchico, un socialista fabiano. Sto con George Bernard Shaw quando dice: "Sono un predicatore travestito da saltimbanco". E' l'unico atteggiamento che può avere un "viandante della città" qual sono. Posso passare indifferentemente da un salotto alla Marta Marzotto ad un postaccio per anfibi e borchie. Voglio vivere le vite altrui non per sentito dire. Cerco la verità, non il luogo comune. Detesto il pregiudizio. Io post-giudico». Un esempio. «La pornostar e la sua assoluta asessualità, il suo totale disprezzo per il pubblico morboso. Al contrario, il piacere di entusiasmare goliardi non pervertiti. Il suo è 2 piacere del gioco vero. Quando non è tale, guardate il malcapitato che si trascina sul palco. Lui la tocca, la palpa, pensa di avere il coltello dalla parte del manico, sghignazza con gli amici. Ma lei lo umilia, gli rinfaccia erezioni minuscole, inadeguate al ruolo che pretende di interpretare, lo incita fino al dileggio. Post-giudichi: è lui l'oggetto. Non lei». E i suoi barboni? «Idem. Ho passato notti al dormitorio di viale Orles. E sa che cosa ho capito ad di là del falso stereotipo romantico che si ha del clochard? Che tra di loro non c'è il nùnimo di solidarietà. Che l'età media è di 35 anni. E che al massimo si dedicano a vicenda qualche grammo di complicità. Fine». La sua giornata tipo? «Non esiste. Da sei anni, ogni giovedì, tengo un "Seminario per giallo e bar" al Boulevard Cafè e a Le Trottoir nel quartiere Garibaldi. Viale e marciapiede, lo tradiscono i nomi al cui destino - l'ho già detto - credo. Una birreria letteraria: è l'unico appuntamento. Per il resto, vita senza schemi». Anche quando scrive? «No. A quel punto mi piazzo in permanenza a Le Trottoir, locale patibolare dove entrano a tutte le ore celebrità e falliti. Anche se non piace a Nanni Moretti divento il Fonzie di Happy Days: resto immobile e lascio che il mondo venga a me. E via, a riempire la mia cartella piena di fogli con penne di gran marca. Amen». Piero Soria Un noir metropolitano «Il conto dell'ultima cena». L'autore: «sono un viandante che vuol vivere le vite, altrui non per sentito dire» IL CONTO DELL'ULTIMA CENA Andrea Pinketts Mondadori pp. 370 L. 29.000 di ulaua gli Manon co di alon dida na alché nte in Matar lei? «Una gran parte di noi. Non i malati o i disoccupati, ad esempio, che sono troppo occupati ad uscirne Andrea Pinketts di. Viale e marciapiede, lo tradiscono i nomi al cui destino - l'ho già detto - credo. Una birreria letteraria: è l'unico appuntamento. Per il resto, vita senza schemi». Anche quando scrive? «No. A quel punto mi piazzo in permanenza a Le Trottoir, locale patibolare dove entrano a tutte le ore celebrità e falliti. Anche se non piace a Nanni Moretti divento il Fonzie di Happy Days: resto immobile e lascio che il mondo venga a me. E via, a riempire la mia cartella piena di fogli con penne di gran marca. Amen». Piero Soria Andrea Pinketts
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