GLI ULTIMI GIORNI DI GESÙ IN CROCIERA CON PARAZZOLI

GLI ULTIMI GIORNI DI GESÙ IN CROCIERA CON PARAZZOLI GLI ULTIMI GIORNI DI GESÙ IN CROCIERA CON PARAZZOLI ER George Steiner, l'arte, la musica, la letteratura trovano la loro intima e profonda necessità solo se riescono ad affrontare il grande tema cruciale della presenza o dell'assenza della divinità, se si pongono «in diretta emulazione di Dio, quell'altro artigiano». Questa idea deve essere stata sempre ben chiara a Ferruccio Parazzoli, che nel di l h d suo ormai lungo lavoro di narratore le ha dato corpo in una varietà di situazioni e di ambienti legati ai paradossi e al grottesco dei nostri anni. Ora il confronto diventa diretto, la sfida ambiziosa investe frontalmente gh' ultimi giorni di Gesù (anzi di Jehoschua, secondo l'antica grafia originaria), le verità estreme celate nel tragitto di passione, morte e resurrezione da Befania a Gerusalemme. La camera alta ha l'aria di essere quel che si dice il romanzo di una vita: nutrito di riflessioni e di letture, maturato con pazienza, distaccato e «militante» insieme, progettato con cura nelle sue geometrie circolari, scritto in una to¬ nalità di stoica malinconia (perché la sconfitta è il vero destino degli uomini), che talvolta si apre a sorpresa in un ironico «allegretto». Anche se spesso «girato» in esterni, una Palestina ariosa di colori e di profumi (ma anche omologata dai simboli dei consumi di massa, uguali sotto ogni cielo), il romanzo ha una struttura sostanzialmente teatrale, perché gli eventi decisivi si concentrano in alcuni luoghi che attirano a sé i personaggi con la fatalità perentoria dell'azione drammaturgica: un paese della Riviera Ligure, poi la nave di crociera che porta un gruppo di pellegrini in Egitto e in Israele, la Gerusalemme dei grandi alberghi e dei Luoghi Santi, infine le desolate lande tra il Giordano, Gerico e il Mar Morto. La crociera è dunque l'occasione che riunisce aristotelicamente i personaggi. Tommaso Vegas, cinquantenne studioso di storia del cristianesimo primitivo, spera di trovare gli stimoli per concludere il libro che da troppi anni non riesce a finire: nientemeno che un vangelo secondo Jehoschua, di cui con il procedere del viaggio ci vengono forniti i capitoh già scritti (e sono le pagine più emozionanti dell'intero romanzo). Sulla nave Tommaso ritrova Myriam, giovane ebrea, figlia di un editore milanese, ipersensibile, assetata d'assoluto, già amata e perduta per paura del rischio. Myriam è uscita dall'anoressia anche grazie al prodigarsi di un esuberante analista svizzero di scuola junghiana che risponde al nome musiliano di Ulrich e che, diventato suo marito, è poi finito soggiogato dalla sua inafferrabile ex-paziente. Si compone così un triangolo elettrico, agitato da una tensione percettiva e intellettuale sempre sull'orlo della salvazione o del disastro. Ad arricchirlo, o a complicarlo, intervengono a Gerusalemme il carismatico Hugo von Balthasar, un'autorità internazionale degli studi sulla Gnosi, e il giovane allievo di lui, Marco, che affiancherà Tommaso nelle fasi finali della ricerca, e forse lo tradirà. Si fa torto a Parazzoli riducendo in poche righe la complessità, le aperture e le intuizioni della sua moderna avete, per la quale (da verità non è dimostrabile», ma «può essere soltanto raccontata». In breve, l'ambizione di Tommaso è quella di arrivare all'originale nascosto del vero pensiero di Jehoschua, di cui i quattro vangeli ci hanno lasciato un'eco filtrata, mediata, una «posteriore e pallida interpretazione», come semplificata ad uso di quegli esseri limitati che sono gli uoinini. E' il segreto che Jehoschua, stanco di un anno di predi- cazioni e di prodigi, ha trasmesso a Eléazar, il figlio adolescente appena risuscitato, nella camera alta della casa di Betania. Di quel segreto è forse rimasta traccia nel vangelo gnostico di Tommaso Didimo, ritrovato in Egitto nei rotoli di Nag Hammadi: la compresenza e circolarità del Tempo, per cui «facciamo parte di un'unica vita eterna senza inizio e senza fine»; la vittoria sulla morte ottenuta proprio attraverso la morte, il «ch'io muoio per non morire» di Teresa d'Avila. Forte della intuizione maturata a Betania, Jehoschua scenderà esultante a Gerusalemme per dimostrare agli uomini che la morte non esiste, che quell'idea «è dovuta a una profonda malattia dell'animo causata dalla paura della colpa». Von Balthasar, che al segreto è forse arrivato per conto suo ma ne ha distrutto le prove, sapeva che esso «avrebbe alimentato negli uomini la vana speranza di essere stati creati immortali senza peraltro potere ormai più conoscere la via dell'immortahtà». Perché l'umanità non è disposta a rinunciare a una verità parziale, ma consolidata nei secoli, «per scegliere di convivere con una verità totale ma indimostrabile». Temi «alti», gravi, come si vede, sempre sul limite dell'indicibile, ma Parazzoli è tra i pochi in grado di dominarli per sensibilità, cultura e capacità di rappresentazione. Nei suoi momenti più ispirati questo libro rabdomantico ci trasmette qualcosa della febbrile creatività del cristianesimo primitivo, ci avvicina al mistero tanto che ci pare di poter finalmente lacerare il velo che ci separa da esso E anche il lettore laico rimane coinvolto nelle sfide e nelle mo^etudini del viag gio, e quasi chiamato ad intraprenderne uno analogo per conto suo, pur conoscendone già tutte le difficoltà, e lo scacco finale. Perché non l'approdo conta, ma la necessità del tragitto. Ernesto Ferrerò LA CAMERA ALTA Ferruccio Parazzoli Mondadori pp. 336 L 32.000