II ponte di Brooklyn? Una Via Crucis di Gabriele Romagnoli

II ponte di Brooklyn? Una Via Crucis i seguaci di Comunione e Liberazione in una processione del dolore nello scenario della vita metropolitana II ponte di Brooklyn? Una Via Crucis E nei panni di Cristo un impiegato di Manhattan NEW YORK DAL NOSTRO INVIATO L'uomo che porta la croce dice di essere «come milioni di altri che la portano, ogni giorno, nel cuore della città, per lo più disperatamente soli». Aggiunge: «Se Dio esiste, non ha niente da spartire con la mia vita quotidiana e questa è la vera croce da portare, quella di un'esistenza abbandonata a se stessa e bisognosa di amore, verità, bellezza e giustizia». Poi innalza il simbolo della Passione e si avvia verso la città, seguito da decine di altri uomini, che c&onminano in silenzio, reggendo le loro invisibili croci. La città è al di là del fiume: affollato deserto irto di torri, teatro di bellezza senza verità né giustizia. Per raggiungerla basta attraversare questo ponte di storia e acciaio, chiamato Brooklyn Bridge. Parte in un mezzogiorno di sole e vento la Via Crucis più scenografica: cento seguaci della cellula americana di Comunione e Liberazione in marcia verso Manhattan dalla cattedrale di Saint James. L'uomo che porta la croce si chiama Jonathan Fields, vive a Brooklyn e lavora a Manhattan. Ogni giorno attraversa il ponte per recarsi in ufficio e, tre anni fa, mentre lo faceva, pensò che quella era la sua personale via crucis e che nel ripetersi all'infinito dei gesti senza passione ogni uomo incontra le stazioni della propria Passione. Decise quindi di organizzare una processione del dolore nello scenario della vita metropolitana e, al tempo stesso, di attirare i media con la sicura esca del simbolo di New York, usato come inedito sfondo di una cerimonia religiosa. Ora guida il corteo con il capo chino e le mani serrate intorno alla croce di legno. Gli cammina a fianco il vescovo Ignatius Catanello, lo segue un piccolo plotone di persone che sono state toccate dalla testimonianza di don Luigi Giussani, sbarcato a New York il 4 luglio del 1984. Lo precede un veicolo della pulizia e una fitta schiera di fotografi, tra i quali Dith Pran, il cambogiano che ispirò il film Urla del silenzio. Escono dalla chiesa e percorrono Tiler Street riflettendo la croce sui vetri della drogheria coreana, della lavanderia a gettone, del ristorante «Celeste». Imboccano il sentiero di cemento che conduce al ponte e tengono alto il simbolo della cristianità contro gli altissimi simboli, più o meno profani, che li sovrastano: a pochi passi, le «Torri di guardia» gemelle, sedi dei Testimoni di Geova, con le insegne che ammoniscono «Leggete la parola di Dio»; più lontane, ma già in vista, le «Torri gemelle» del Financial District, fatte di vetro e cemento, denaro e sangue. Il corteo avanza verso la città, ma la città manda le sue avanguardie verso il corteo. Sono i figli di New York e delle sue passioni quotidiane, solitari corridori sul vuoto e turisti del nulla. Rispetto a loro, la processione avanza controcorrente. Uno dopo l'altro incontra: il ciclista di colore con tuta fosforescente e caschetto che domanda: «Per chi è questa cosa?» e apprende sorpreso la notizia della morte di tale Gesù. La ragazza con il saio di velluto che disegna sul suo blocco la skyline di Manhattan e, voilà, ci aggiunge una croce. L'anziano con l'aspetto da manager in pensione che fa jogging e va via in slalom tra i fedeli. Il ragazzo con i rollerblades che «dà cinque» all'operatore televisivo con i rollerblades e saluta garrulo il portatore di croce («How you doin', man?») poi scivola via sobbalzando sulle assi. La coppia di freschi sposi con familiari al seguito che esclama sorpresa: «Oh, c'è un'altra processione!», «Sì, ma questi non si devono essere sposati». I turisti italiani con le borse di Saks che osservano perplessi e dicono: «Cos'è questa roba, qui a New York?». E' una marcia silenziosa nel trambusto. Le assi si scuotono al suo passaggio. Sotto, corre il traffico. Più in là, il fiume, i cantieri del molo, i container che si vuotano, i cartelloni pubblicitari colorati. Salgono i rumori del lavoro e della fretta. Il vento li impasta con le parole che il microfono amplifica e disperde. Fermo sotto il primo pilone, monsignor Catanello guarda la città e dice: «Molte sono le croci che ci circondano: quelle del pregiudizio, del dolore, della povertà». Tre uoinini vestiti di scuro, di nome Christopher Bacich, Dino D'Agata e John Touhey, leggono dai Vangeli e da un testo di Charles Péguy («... le autorità lo consideravano un uomo d'ordine, un giovane uomo serio e tranquillo, di buone maniere, facile da governare, che dava a Cesare quel che era di Cesare, fino al giorno in cui cominciò la sua missione e mise disordine nel mondo, il più grande disordine del mondo, il più grande ordine nel mondo, il solo mai esistito»). I turisti fotografano. Un po' la città e un po' la croce; quando Fields riparte, encomiabile atleta, per due ore a braccia sollevate: la croce e la città insieme. Come un antidoto alla minaccia dei vampiri: la croce stagliata contro i monoliti di Wall Street, le guglie di Midtown, i tetti e gli anfratti del Lower East Side. Di là il disordine, di qua il servizio d'ordine, che fa scendere i ciclisti dalle bici, provocando sbuffi e recriminazioni, e tiene a distanza i fotografi e gli operatori che pure ha zelantemente convocato perché l'evento sia notificato al mondo. Attraversano tutto il ponte e si fermano ancora, sotto l'ultimo pilone, dove le parole dei lettóri sono sovrastate dalle turbine di una macchina che aspira dal ventre della terra, con un tubo sorretto da operai in tuta arancio e un cappello rosso a pallini bianchi portato con la visiera sulla nuca. Continuano a srotolare il serpentone mentre la voce al microfono rievoca il tradimento di Giuda e altro che giace coperto da tutti i rumori della vita. All'estremità del ponte, sul ciglio della riva, a un passo dall'approdo a Manhattan, la processione inverte il cammino e ritorna a Brooklyn. La città resta inespugnata, puro sfondo inattraversato. Poiché è chiaro che questa Via Crucis ha valore simbolico, c'è un significato anche nel suo fermarsi all'estremità del ponte, ripercorrendo il sentiero, ma non raggiungendo la meta, non affrontando il deserto oltre la riva e consegnando silenziosamente a tutti i Jonathan Fields di New York e del mondo la missione di portare da sé la croce nell'esistenza, di trovare da soli la strada nella città e la luce, se c'è, tra i crepacci scavati nel cemento. Quando il corteo scompare, dentro Brooklyn, le arcate sospese diventano uh passaggio obbligato per tornare nella città, «tra milioni di persone che portano la loro croce, per lo più disperatamente sole, in cerca di amore e verità, bellezza e giustizia». Gabriele Romagnoli Nel corteo il vescovo Ignatius Catanello e il fotografo che ispirò «Urla del silenzio» Il simbolo della Passione in marcia verso la città incuriosisce passanti e turisti Due immagini della processione che ha attraversato il Ponte di Brooklyn Venerdì Santo

Persone citate: Christopher Bacich, Dino D'agata, Dith Pran, Fields, Gesù, John Touhey, Jonathan Fields, Saks

Luoghi citati: Manhattan, Manhattan New York, New York