Quel bunker nelle nebbie di Giuseppe Zaccaria

Quel bunker nelle nebbie Quel bunker nelle nebbie Dove si nasconde il grande latitante RETROSCENA DOPO BL RITIRO AL monastero del monte Athos alle steppe bielorusse il salto è notevole, eppure se si dovesse tener fede alle «notizie» che l'hanno riguardato negli urtimi tre anni Radovan Karadzic dovrebbe aver fatto il giro del mondo. Del mondo ortodosso, beninteso. Volta per volta autorevob quotidiani - chissà perché, soprattutto turchi - l'hanno segnalato nei luoghi più remoti. E' fuggito a Cipro. No, si nasconde nell'ambasciata russa di Belgrado. Macché, ha già raggiunto Mosca. Prende i bagni in Montenegro. Il deposto zar dei serbi di Bosnia invece non si è mai mosso da casa (nel senso di patria) per la semplice ragione che in nessun' altra parte del mondo potrebbe essere protetto come là. Protetto da un battaglione di guardie del corpo, anzitutto. Poi dai vertici del suo partito (l'Sds ovvero «Srpska Democratska Stranka»), che continuano a considerarlo ispiratore e simbolo. In terzo luogo, dal suo danaro: nessuno ha mai potuto calcolare la somma, ma si parla di decine di milioni di dollari. Infine, dai «dossier» che custodisce. Nell'agosto del '96, momento della sua ultima apparizione pubblica, quando «nell'interesse del popolo serbo» abbandonò la presidenza dell'Sds, molti scrissero che da quel momento Karadzic si trasformava in «un morto che cammina». Sarà per questo che d'allora in poi ha camminato pochissimo. Non un discorso, un intervento, una semplice passeggiata. Solo rapide comparse ai seggi di Pale per le ùltime due elezioni bosniache con rituale voto, applausi non meno rituali e subitaneo ritorno verso il nulla, come se la condanna della storia fosse già operante. Per un tribuno del suo calibro tenere a freno l'istrionismo dev'essere terribile, un'autentica sofferenza. Questo suo muoversi sottotraccia ha già provocato più di un equivoco, a volte drammatico, altre esilarante. Un uomo della sua scorta, per esempio, è stato ucciso tre settimane fa dai soldati italiani della Sfor perché non si era fermato all'alt. Lui pensava di essere stato riconosciuto, quelli che stesse trasportando segretamente il Capo. Qualche giorno fa l'inviato del «New York Times» è piombato a Pale, ha attraversato intrepido la «sumsky put», o via dei boschi, quella che allontanandosi dall'abitato conduce a casa Karadzic, e non si è insospettito per il fatto che non esistessero guardie o sbarramenti. Il bombardamento l'ha subito alla fine, quando mi cugino della signora Karadzic, esasperato, gli ha lanciato un vaso di fiori sul parabrezza dell'auto. A quella casa lo zar ha rinunciato da un anno e mezzo e l'uomo che l'abita adesso non ne può più di giornalisti che arrivano convinti di aver scoperto la tana del lupo. Eppure, stabilire dove Radovan Karadzic si rifugi non è così difficile. Il contingente italiano ne sa più degli altri, se non altro per il fatto di pattugliare quella zona da più di due anni. A una sessantina di chilometri da Pale, dopo la cittadina di Sokolac, la strada s'inerpica fino a un villaggio che si chiama Han Pijesak ed ha alcune particolarità. Intanto, l'essere avvolto dalla nebbia per sei mesi l'anno, poi l'aria assolutamente primitiva di case e fienili. Infine, il fatto di sorgere sopra la più grande base sotterranea che l'intera ex Jugoslavia abbia posseduto. Cinquantanni fa Han Pijesak, luogo pieno di grotte e cunicoli, era stato eletto a luogo di resistenza estrema, ultima ridotta dei partigiani di Tito. Dopo la Seconda guerra mondiale, la Jugoslavia comunista trasformò quel fortino naturale in una base modernissima, una vera città sotterranea progettata per resistere ad attacchi nucleari. Ad Han Pijesak le truppe dello Sfor non sono mai riuscite a entrare, e dagli inizi della missione Nato si limitano a sorvegbarne l'ingresso principale. Nella base di Han Pijesak soggiorna da tempo il generale Ratko Mladic, che continua a scrivere le sue memorie. Han Pijesak è il solo luogo in cui l'altro uomo-simbolo dei serbi di Bosnia possa soggiornare in relativa tranainllità. E senza fretta di costituirsi. Perché mai, infatti, un leader latitante in casa sua dovrebbe consegnarsi proprio mentre, tutt'intorno, per lui la situazione politica si fa così promettente? E' vero, nella «Republika Srpska» il leader della coahzione di governo è un moderato, Milorad Dodik, molto vicino alle posizioni della presidente Plavsic. E' ad essi che la signora Karadzic si riferisce quando denuncia «pressioni di autorità locab». Nello stesso momento, però, nella repubbbehetta sono forti sia l'Sps che il partito radicale, e nella madre Serbia i tradizionabsti di Vojslav Seselj sono addirittura al governo. In questi ul¬ timi mesi le proteste dei serbi di Bosnia e la crisi del Kosovo han no risvegliato e in qualche modo amalgamato l'antico orgogbo slavo. Oggi un ipotetico arresto di Karadzic non passerebbe sen za conseguenze né a Belgrado né a Pale. In Bosnia, il vecchio alleato Momcilo Krajsnik già minaccia di mettere il crisi il governo Dodik. In Serbia, Seselj ed i suoi minacciano fuoco e fiamme. Le strade della repubbbehetta re stano tappezzate da ritratti del leader sotto i quab grandi scrit te intimano minacciose: «Don't touch himl». Se la pobtica occidentale nei Balcani non è mutata, oggi un riesplodere del caso Karadzic potrebbe solo compheare le co se. Paradossalmente, se l'ex Presidente si consegnasse oggi agb ufficiali deUa Sfor o ai diplo matici occidentab converrebbe dire: ripassi più tardi, signor criminale. Giuseppe Zaccaria Le strade della Republika Srpska restano tappezzate di poster: «Non toccatelo» Ad Han Pijesak una città sotterranea progettata per resistere ad attacchi nucleari Milosevic: a Belgrado i radicali sono sempre più forti