HEMINGWAY La folle guerra del soldato Garibaldi

HEMINGWAY La folle guerra del soldato Garibaldi Una sorpresa dal fronte italo-austriaco: 80 anni dopo, esce integralmente un racconto dell'autore di «Addio alle armi» HEMINGWAY La folle guerra del soldato Garibaldi | VE VA quasi 19 anni, e per 1 la prima volta nella sua vizi ta ebbe a disposizione tutto ri il vino che poteva deside* =1 rare. E poi c'erano la guerra, il pericolo, il sangue, il coraggio, e c'era una banda di americani mezzi matti che guidavano le ambulanze della Croce Rossa. Ernest Hemingway, sul fronte italo-austriaco del primo conflitto mondiale, nel giro di poche settimane compì una strepitosa iniziazione che lo portò a un passo dalla morte, a un serio innamoramento e soprattutto agli appunti di quel che sarebbe poi diventato uno dei suoi romanzi più celebrati, Addio alle armi. Furono i giorni dello «Schio Country Club», come i volontari della Croce Rossa americana battezzarono ironicamente la «quarta sezione» delle ambulanze Are, di stanza nel piccolo centro a NordOvest di Vicenza. Avevano anche un giornaletto, dal titolo Ciao, che uscì ovviamente in pochi numeri, e sul quale lo scrittore appena arrivato buttò giù, mostrando di divertirsi un mondo, una sorta di lettera alla maniera di Ring Lardner, un autore che in quel periodo imitava volentieri. «Caro Al, eccomi ora qua, Al, in questa vecchia Italia....» cominciava il «pezzo di bravura» che Hemingway firmò «Gerry Baldy». L'eroe dei Due Mondi gli doveva essere famigliare da poco: era stato una delle sue primissime conoscenze a Schio, grazie a un busto che sorgeva in una piazzetta e che, assieme all'(Albergo due spade» e a una chiesa che sembrava un «tempio dorico», costituì uno dei primi oggetti d'osservazione al momento dell'arrivo in paese. Ora la prosa di «Gerry Baldi» esce - per la prima volta integralmente - in un volume curato da Giovanni Cecchin, appassionato studioso hemingwayano, e dedicato alle «cronache particolari» di fonte americana sulla Grande Guerra (ed. Collezione Princeton). La fascetta che annuncia «in prima mondiale un grande inedito di Ernest Herningway» è forse un po' sovratono, visto che questo scritto è noto agli specialisti ed è citato, per esempio, nella biografia di Car los Baker, ma ciò non toghe che fi no a ieri, salvo le prime dieci righe, era comunque inedito. E la sua lettura (lo pubblichiamo qui accanto) è di grande interesse: ci trasmette intatto il clima di quei giorni, una sorta di ebbra follia fatta di eroismo e insieme di antimilitarismo, di retorica e di antiretorica. Un groviglio contraddittorio, dal quale emerge che gli americani lasciavano pubblicare, sui loro giornaletti, scritti inimmaginabili per gli italiani. Se in questi testi c'è già l'embrione almeno ideale di Addio alle armi, va ricordato che quel gran libro da noi uscì solo dopo la Libera¬ zione: il fascismo lo vietò a causa dei toni «disfattisti» e Fernanda Pivano, la traduttrice, finì arrestata proprio perché i nazifascisti avevano trovato, durante una perquisizione all'Einaudi, il suo contratto di traduzione. «Parlami dei Nazi» le disse poi Hemingway a Cortina, quando volle incontrarla nel '48, e l'abbracciò. Nacque una grande amicizia, e un lungo rapporto di collaborazione. Dallo «Schio Country Club» erano passati trent'anni, lo scrittore era ormai riconosciuto come un grande innovatore, un maestro. Eppure una delle sue mitologie personali, accanto alla Spagna della guerra civile e delle corride, era conficcata h, in quella scheggia d'Italia dove piovevano le granate, in quell'epopea contadina in cui s'incastonò la sua prima grande avventura, di amore e di morte. L'indisciplinato autista della «sezione quattro» che faceva molto il gradasso (ma quando insieme con altri dovette ispezionare un bordello arrossì come un collegiale mentre le signorine lo motteggiavano adeguatamente) riuscì infatti a ottenere un avvicinamento al fronte, a Fossalta di Piave. E qui, la notte dell'8 luglio 1918, fu investito dall'esplosione di una granata. Si rialzò, ferito, cercando di portare al riparo un soldato che stava peggio di lui, e venne di nuovo colpito. Sembrava in fin di vita; l'amico don Giuseppe Bianchi, il cappellano di Addio alle armi, lo battezzò. Poi venne finalmente soccorso, trasferito in un ricovero da campo e infine all'ospedale di Milano, dove a poco a poco si riprese, non trascurando di innamorarsi dell'infermiera Agnes von Kurowsky. Hemingway, al fronte, sarebbe ancora tornato, in ottobre, in tempo per assistere all'offensiva di Vittorio Veneto e scrivere alcuni racconti ripudiati che sono stati anch'essi recuperati dal professor Cecchin. Là il soldato «Gerry Baldy» concluse il suo apprendistato letterario, prima di imbarcarsi per gli Stati Uniti sulla «Giuseppe Verdi», con una divisa nuova e una mantellina nera come quelle dei soldati italiani, all'inizio del 1919. Certo allo «Schio Country Club», come documenta Cecchin, le sue gesta erano state commentate anche in maniera piuttosto acida. «Se uno ha la testa sul collo, non va in giro nella terra di nessuno durante un bombardamento», commentò in una lettera un suo compagno d'armi, il veterano Emmet Shaw. Ma la critica non era destinata ad avere seguito. I semi della fama a venire erano ormai gettati, e sarebbero germogliati potentemente in Spagna. Il giovane Hemingway, soldato e goliardo, era ormai uno scrittore «vero». Mario Baudino Scritto in forma di lettera a un amico per il foglio pubblicato dai volontari della Croce Rossa Usa «Caro Al, eccomi qua in questa vecchia Italia, e ora che sotto qua non la mollo più. No e poi no» Ernest Hemingway militare sul fronte italiano durante la prima guerra mondiale Qui sotto un'immagine del fronte