Il grande business della sete di C. G.

Il grande business della sete BOLLICINE Il grande business della sete OTTO miliardi di litri d'acqua l'anno: la grande sete degli italiani a caccia di bollicine ha dell'assurdo. Un Paese straricco di fonti cristalline beve in modo «artificiale» più di ogni altro al mondo e ospita 251 tipi di acqua imbottigliata (contro i 63 francesi, i 59 inglesi e i 73 marchi di acqua imbottigliata registrati in Spagna). Il bello è che quest'acqua sgorga dalle sorgenti pubbliche svendute ai privati: in Veneto, dove da 14 fonti si estrae il 30 per cento di tutta l'acqua minerale italiana, i canoni fissi per le concessioni di sfruttamento alcuni dei quali perpetui - procurano alle casse pubbliche 183 milioni l'anno. Il fatturato veneto delle industrie di acqua minorale è 1200 miliardi. Ovvio: pagano 0,07 lire per litro estratto, mentre al cittadino veneto costa una lira al litro. Scandaloso. L'acqua in Lombardia costa fra le 500 e le mille lire al metro cubo: le industrie «minerali» invece pagano 20 lire ogni mille litri. Così la Regione incassa 120 milioni di lire l'anno. Ma non c'è una legge, proprio la Galli, che recita: «Le acque superficiali e sotterranee costituiscono una risorsa pubblica, un patrimonio indisponibile da custodire in un'ottica di tutela ambientale e da utilizzare secondo criteri di solidarietà»? E la Costituzione non attribuisce la potestà legislativa sulle acque minerali alle Regioni? Perché il sindaco di San Pellegrino (Bergamo) non telefona al collega di Recoaro e non premono sulle rispettive Regioni per aumentare i canoni? Il bello è che gli acquedotti italiani funzionano male, la loro acqua è screditata, mancano soldi per investimenti. Il bello è che occorrono miliardi per smaltire le bottiglie di plastica. Il bello è che per anni il pvc per le bottiglie è stato prodotto sulla pelle di operai come quelli del petrolchimico di Porto Marghera. [c. g.]

Luoghi citati: Bergamo, Lombardia, Spagna, Veneto