il piave nn mormora più

il piave nn mormora piùil piave nn mormora più più non se ne sono accorti, ma la guerra dell'acqua è in pieno svolgimento. E questa volta non si tratta dei sanguinosi scontri nel Terzo e Quarto Mondo (l'Onu prevede che tutti i conflitti regionali dei prossimi cinquant'anni saranno legati alle risorse idriche) ma di conflitti italiani, nei quali non si sparge sangue ma in gran copia - risorse e qualità della vita. In Veneto, tanto per fare un esempio, va avanti da anni quella che potremmo chiamare la «seconda battaglia del Piave»: i milioni di metri cubi d'acqua che ogni anno l'Enel preleva dal fiume della patria hanno costretto i sindaci del Bellunese a un duro contenzioso: i laghi alpini si abbassano denunciano -, i torrenti in alta montagna sono asciutti (per il gaudioldei turisti e ancor più»] delle popolazioni locali, già storicamente dissanguate dagli interessi di pianura), scompaiono flora, fauna, ameni paesaggi. Ad ogni pioggia si rischiano piene disastrose. Le cifre pubblicate da Renzo Franzin - collaboratore della Fondazione Benetton, che ha appena inaugurato il Centro internazionale «Civiltà dell'Acqua» - sono impressionanti: in 50 punti diversi, disseminati sulle Dolomiti, l'Enel cattura il 75 per cento dell'acqua e con 200 chilometri di tubature li indirizza a 30 impianti di produzione, dopo averla fatta sostare e defluire in 17 invasi, dei quali la diga del Vaiont è il simbolo più noto e tragico. Questo gigantesco sistema di by-pass impedisce all'acqua di rientrare negli alvei naturali: quando arriva al mare, il Piave ha una portata inferiore di un terzo rispetto a vent'anni fa; la sua acqua è eutrofizzata, in parte morta. Contro il disseccamento dei fiumi del Nord-Est (Adige, Brenta, Piave, Livenza, "ragliamento) è nato un comitato di un centinaio di sindaci e amministratori delle province di Treviso e Belluno. Con Legambiente, Italia Nostra e il presidente della Cipra (Commissione internazionale per la protezione delle Alpi) Helmut Moroder, chiedono ai «signori dell'acqua» - consorzi di Bonifica, Magistrato delle acque, Autorità di Bacino - che i fiumi tornino a essere un bene visibile e collettivo, ripristinando un minimo del loro flusso vitale. Vogliono che venga sancito il principio per cui «ogni sottrazione d'acqua, per qualsivoglia scopo, costituisce un depauperamento delle località interessate, le quali dovranno essere adeguatamente risarcite dal concessionario». Sarà il caso di ricordare che l'acqua in pianura spesso viene poi sprecata, come dimostrano le assurde rese dei sistemi irrigui nell'agricoltura: duemila litri (potabili!) d'acqua per un chilogrammo di farina, 18.200 per un litro di latte. Senza contare le decine di altri sprechi: acqua potabile negli sciacquoni dei gabinetti, per lavare le macchine, bagnare i fiori e così via. In Italia, ha detto l'architetto Pietro Laureano alla recentissima inaugurazione del Comitato nazionale per la lotta alla desertificazione, con sedi a Matera e Sassari, il 27 per cento del territorio è a rischio. Il ministro dei Lavori pubblici Costa ha riconosciuto che «quello del Piave è un proble- ma esemplare di non facile soluzione, tuttavia non più evitabile». Saprà l'Enel rinunciare a una parte dell'acqua dei nostri fiumi, considerato che la liberalizzazione del mercato dell'energia - dicono in molti produrrà in Europa un surplus di energia elettrica? Nell'intreccio di interessi pesa molto la prossima privatizzazione dell'ente: quanto inciderà sulla sua valutazione patrimoniale un'eventuale riduzione della produzione di energia elettrica? Solo il 10 per cento dei fiumi alpini segue un percorso naturale. Non stupisce quindi ritrovare un caso analogo in vai di Susa, nelle Alpi occidentali: un megaprogetto dell'Azienda energetica municipale di Torino (che promette di quintuplicare la potenzialità energetica valsusina e nuovi posti di lavoro) prevede la captazione del 90 per cento della Dora Riparia dalla piana di Oulx e Salbertrand, stravolgendo il cuore del comprensorio turistico dell'alta valle. Nell'alveo disseccato aumenterebbe paurosa¬ mente la concentrazione dei residui biologici delle migliaia di turisti che d'inverno accorrono a Sauze d'Oulx; la mancanza d'acqua sarebbe un durissimo colpo per l'ecosistema, proprio mentre la Regione Piemonte ha deciso di non finanziare più il consorzio forestale della Valle di Susa. Quanto all'acqua, dovrebbe attraversare la montagna in una galleria per ricomparire 13 chilometri più giù e confluire in un bacino prodotto da una diga nelle Gorge di Susa, proprio sopra la cittadina: una delle ultime aree selvagge della vallata finirebbe sott'acqua, ponendo le premesse - dicono gli ambientalisti - di un piccolo Vajont: li preoccupa non la tenuta della diga, ma delle pareti rocciose di 100 metri, a strapiombo sull'acqua: in caso di crolli di massi nel bacino, l'ondata salterebbe la diga e finirebbe sulle case, appena un chilometro sottostanti. Negli ultimi mesi sta crescendo il malcontento per la legge Galli, del 1994, che tenta di razionalizzare il grande disordine nella gestione di tutto il ciclo dell'acqua: da quella potabile alla «reflua», di scarico. La legge dice che «tutte le acque sono pubbliche», cioè dello Stato che le organizza attraverso un'«Autorità d'ambito», che delega la gestione ad aziende tendenzialmente private ed «esterne». Tutto bene nelle grandi città, o in aree come la Sicilia dove i Comuni stentano a gestire l'acqua, un affare storicamente preda della mafia. Ma la cosa non funziona nei piccoli comuni alpini dove ci sono decine di sorgenti. Con questa legge essi perdono impianti di miliardi di lire, e con essi il controllo della qualità dell'acqua e delle tariffe: pagheremo l'acqua sorgiva (facilmente ottenibile per caduta) come quella ottenuta nelle grandi città. Succede già - piccolo esempio - a Costigliole di Saluzzo, un paese ai piedi della valle Varaita e del Monviso, dove una famiglia media spende 500 mila lire l'anno per un'acqua che sa di cloro, mentre a Frassino, qualche chilometro più in alto, la bolletta è di circa 25 mila lire l'anno. I grandi enti non manderanno un addetto sulla cima della montagna a pulire la sorgente, fanno prima a mettere sistemi di depurazione. L'acqua, inoltre, verrà presa dove costa meno (ovvero in montagna) con il rischio di non monitorare come si deve le falde idriche di pianura. Risultato: i sindaci di montagna si stanno ribellando a questa applicazione della legge Galli e rifiutano di aderire obbligatoriamente alle «Autorità d'ambito»: ne verranno commissariati a decine e si discuterà finalmente il problema. A loro non basta che il 3 per cento dei proventi dell'acqua vada agli enti locali per miglioramento del territorio. L'acqua (dall'idroelettrico alla depurazione alla potabilizzazione) è un grande business, su cui hanno messo gli occhi molte grandi aziende. E loro, i comuni montani, temono l'esproprio di una loro risorsa: propongono quindi di fare insieme ai privati società di gestione entrando come Comuni, portando il capitale dei loro impianti. Propongono anche società di produzione (centrali¬ ne) che invece di vendere energia all'Enel a prezzi carissimi producano e vendano nei 50 chilometri dalla fonte di produzione: potrebbero così utilizzare energia a prezzi inferiori - pagando l'affitto all'Enel degli impianti - i gestori degli impianti di risalita, gli abitanti, i turisti. Ecco, al di là delle chiacchiere, un concreto esempio di risparmio, di decentramento, di controllo locale delle risorse. Ma i «signori dell'acqua» rinunceranno molto difficilmente a un business tanto ricco: ciò avviene in modo ancora più devastante a livello internazionale, dove la politica delle grandi dighe (spesso finanziate dalla Banca Mondiale) rovina la vita a milioni di persone, costrette a lasciare la casa e le terre. Un convegno organizzato pochi giorni fa a Roma dalla Fondazione Basso nell'ambito della Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, ha puntato l'indice contro le grandi dighe, per i diritti dei popoli e dell'ambiente. Carlo Grande più non se ne sono accorti, ma la guerra dell'acqua è in pieno svolgimento. E questa volta non si tratta dei sanguinosi scontri nel Terzo e Quarto Mondo (l'Onu prevede che tutti i conflitti regionali dei prossimi cinquant'anni saranno legati alle risorse idriche) ma di conflitti italiani, nei quali non si sparge sangue ma in gran copia - risorse e qualità della vita. In Veneto, tanto per fare un esempio, va avanti da anni quella che potremmo chiamare la «seconda battaglia del Piave»: i milioni di metri cubi d'acqua che ogni anno l'Enel preleva dal fiume della patria hanno costretto i sindaci del Bellunese a un duro contenzioso: i laghi alpini si abbassano denunciano -, i torrenti in alta montagna sono asciutti (per il gaudioldei turisti e ancor più»] delle popolazioni locali, già storicamente dissanguate dagli interessi di pianura), scomAnche la Dora potrebbe perdere il 90 per cento della sua portata La rivolta dei comuni montani il piave nn mormora più Anche la Dora potrebbe perdere il 90 per cento della sua portata La rivolta dei comuni montani

Persone citate: Carlo Grande, Helmut Moroder, Pietro Laureano, Quarto Mondo, Renzo Franzin