LA VERITÀ DI CELAN POETA DEI SOMMERSI

LA VERITÀ DI CELAN POETA DEI SOMMERSI LA VERITÀ DI CELAN POETA DEI SOMMERSI La follia dell'Olocausto domina la sua opera ON un paradosso si apre e chiude la poesia dell'ebreo Paul Celan: con la lingua degli aguzzini, che nel giugno del 1942 deportarono i suoi genitori in un lager dell'Ucraina. Non li rivide più. In quel vuoto pieno d'angoscia e di rimorsi per essersi salvato, nel buco nero della sua giovinezza, inizia il viaggio di ricerca, di rammemorazione nella lingua tedesca, l'idioma anche di sua madre, Fritzi Schrager. «Solo nella lingua materna - dirà il poeta all'amica Ruth Lackner - si può esprimere la propria verità». Ma come, se essa è stata calpestata? Alla madre trucidata dai nazisti Paul chiede infatti: «E tolleri, o madre, come in patria un tempo, / il suono struggente del verso tedesco?». Celan ha potuto solo parlare dei «sommersi» in una lingua in cui era svanito, oltre al volto di sua madre, Dio stesso. In tale solitudine la vita fu una catabasi, incessante discesa agli Inferi, e la poesia un epicedio senza fine. Per Martin Heidegger, che egli incontrò nel 1966, forse, come qualcuno ha detto, per sabotare la tendenza all'oblio del filosofo che aveva flirtato col nazismo, l'Essere parlava ancora tedesco. Dopo Auschwitz non restò che il Nulla e una lingua ammutolita, raggelata e inerte come milioni di cadaveri. Adorno decretò che non si poteva più scrivere poesia. Ma Celan fece del proprio dolore e della follia dell'Olocausto la sua ossessiva, implacabile ragione di scrittura. Possiamo ora seguirne tutta la traiettoria attraverso lo splendido volume, Paul Celan Poesie, che accoglie l'intera opera lirica, cioè nove raccolte compresi i testi postumi, che Giuseppe Bevilacqua ha curato con grande rigore e sensibilità artistica per i Meridiani Mondadori. E' un lavoro di altissimo livello, se si pensa che molte composizioni dell'ultimo periodo, da Luce coatta a Dimora del tempo, rasentano l'intraducibilità per un linguaggio disarticolato e manomesso nelle stesse componenti lessicali e grammaticali. Al termine della sua parabola, poco prima del suicidio nel 1970, Celan avverte quanto il mondo sia illeggibile: «Tutto doppio. / (...) Incastrato nel più profondo di te, tu smonti da te stesso / per sempre». E' una dichiarazione di resa che s'accanisce contro il linguaggio insufficiente a rianimare le sagome intirizzite e vagolanti della memoria. Anni prima, in occasione di un premio, aveva detto: liCon questa lingua (...) ho tentato di scrivere poesie: per parlare, per orientarmi, per accertare dove mi trovavo e dove stavo andando, per darmi una prospettiva di realtà». Gli restava, allora, un compito essenziale: scendere lui stesso negli spazi notturni dell'Ade a richiamare figure care, come in Di soglia in soglia (1955). Bifiutava il ruolo di straziante e dolce cantore dello stenninio che aveva assunto dopo la notissima poesia giovanile Fuga della morte. Erano gli anni di Bucarest, tra il 1945 e il '47. Anni di vita intensa, di amori fuggevoli e rapinosi, in un ricco ed eclettico ambiente culturale, dove c'era ancora sapore d'avanguardia e Tzara, Ionesco, Brancusi, Cioran erano ormai nomi mitici. Traduce sonetti di Shakespeare, scrive versi leggeri e sensuali, mette insieme il suo primo volumetto di poesie, La sàbbia delle urne, che vede la luce a Vienna nel 1948 e sarà poi incluso nella prima importante raccolta, Papavero e memoria. Ma in sé porta la tragedia, che dissimula con humour e una gaiezza talora contagiosa. Per Paul Antschel (questo il suo vero nome) il mondo è senza patria. Che cos'è ormai Czernowitz, la capitale della Bucovina, da poco passata alla Romania, dove era nato nel 1920, se non lo spazio angosciante della morte, la soglia che cercherà di valicare per tutta la vita? L'unica patria è la sua scrittura, la speranza che evoca le regioni del silenzio. Era troppo legato a quella soglia per sconfinare nel mondo. Non riuscì a legare né con Breton né con Eluard. Fu un fallimento con Michaux, che disse: «Troppo grave era, in lui, ciò che era grave. Non avrebbe permesso che vi si penetrasse». Fu più facile con le poetesse: la Bachmann, che incontra nella Vienna spettrale del dopoguerra. E' per lei la splendida poesia Corona: «E' tempo che la pietra accetti di fiorire, / che l'affanno abbia un cuore che batte. E' tempo che sia tempo». E poi Nelly Sachs, Premio Nobel, che incontra a Zurigo e ormai, malata, a Stoccolma. La commozione è grande per i due scampati al genocidio. «Possa il tuo respiro continuare ad essere benedetto», lei gli dice. Svolta del respiro, suona una raccolta del 1967. Ma è già il tema dell'afasia, l'anticipo appena dissimulato d'un viaggio reale verso la morte. Prima ci fu il trasferimento a Parigi, il matrimonio con Gisèle de Lestrange, di antica e nobile famiglia cattolica, il figlio Eric, la cittadinanza francese. E poi riconoscimenti ufficiali, come il Premio Buchner e quello della Città di Brema. Il suo lavoro come lettore di tedesco all'Ecole Normale e le tante traduzioni, un fitto dialogo con le anime affini: dal «grande fratello» Mandel'stam a Pombaud, da Apollinaire a Blok, da Valéry a Char, da Cocteau a Simenon. Paul Celan fu anche un affettuoso interprete dell'amore e dell'affetto coniugale. Un elegiaco raffinato, con punte di trasognato erotismo. Era un sopravvissuto, che sognava il dialogo. Perché la poesia cerca la via verso l'Altro per riprendere a contare i giorni dopo il diluvio universale. «Viviamo sotto cieli cupi scrisse - e ci sono pochi esseri umani». Non stupisce che negli ultimi anni l'ebreo Celan sia stato vittima di crisi psichiche. Vittima di fantasmi che non tornavano dal loro oblio. Gli andò incontro lui, gettandosi nella Senna dal ponte Mirabeau, in un giorno d'aprile. «Venga la notte, scocchi l'ora», come nella poesia di Apollinaire, che aveva tradotto e amato. Luigi Forte UNA POESIA DI PAUL CELAN l'ontano spogliato giura muto nel vuoto, sta rannicchiato sulla faccia della terra, non più largo [d'una spanna, lo sforacchiato polmone, all'orlo del prato l'ora alata becca il chicco di neve dal proprio occhio di pietra, nastri di luce mi accendono, devastazioni fiammeggiano. POESIE Pau1 Celan A cura e con un saggio di Giuseppe Bevilacqua e una cronologia di Mario Specchio Mondadori, pp. 1500. L 85.000 faccia rgo anna, alata e pietra, ndono, giano. Cocteau a e un affetl'amore e Un elegiae di trasoun soprav il dialogo. la via verre a contavio univercieli cupi ochi esseri che negli an sia stahiche. Vitnon tornali andò in nella Senau, in un a la notte, ella poesia eva tradotigi Forte

Luoghi citati: Bucarest, Parigi, Romania, Stoccolma, Ucraina, Vienna, Zurigo