AMELIA POSSEDUTA DALLA MUSICA di Giovanni Giudici
AMELIA POSSEDUTA DALLA MUSICA AMELIA POSSEDUTA DALLA MUSICA ELLO spartito dell'anima. I primi versi di Amelia Rosselli sono stati esercizi di pura approssimazione all'ignoto, il diario della personale scoperta della corrispondenza che regola i rapporti tra inconscio e linguaggio. Con Amelia Rosselli Ulisse non parte più per superare le colonne d'Ercole ma lla pagina e dentro gli abissi dell'anima Nello prende il largo sulla pagina e dentro gli abissi dell'anima. Nello spartito dell'anima. Oltre le convenzioni sintattiche, per ricreare il mondo e per fondarlo all'interno di una tellurica linguistica antropologica: «La lingua in cui scrivo di volta in volta - scriveva la poetessa in un saggio del '62 - è una sola, mentre la mia esperienza associativa è certamente quella di tutti i popoli, e riflettibile in tutte le lingue». Prendiamo il Diario in Tre Lingue (1955 - 1956). Nevrosi delle parole e nevrosi della realtà diventano fondamento di una distruzione in atto, la stessa, se vogliamo, che in quegli anni avrebbe mosso gli autori poi confluiti nell'esperienza dei «Novissimi». Rispetto a Balestrini, Porta, Giuliani, Sanguineti, Pagliarani Amelia Rosselli aveva meno coscienza della Storia e più sensibilità musicale. Amelia Rosselli era posseduta dalla musica. Non la musica come melodia o canzone ma in quanto teoria della significazione dei suoni. Suoni stranieri e «barbari» a essi stessi, nella compresenza, sempre straniata, di tre lingue. I tre idiomi della poetessa: italiano, inglese, francese. Nella prevalenza, ancora, dell'elemento musicale, del «corpo» della parola. I significanti, diceva Lacan, sono corpi che si contagiano l'uno con l'altro. Noi ne patiamo, stando altrove, le affezioni. E se la poesia convenzionale si proponeva e propone di istituire un'armonia formale, con tutto l'armamentario della retorica e della tradizione, Amelia Rosselli (in questo del tutto concorde con il Gruppo '63) ne ha scardinato con perizia le apparenze consolatorie, lei che «sola come un soldato in guerra» ne mostrava lo scheletro e quindi il puro sostrato materiale, la composizione chimica del linguaggio: «A. / Ritmo Montale - / La religiosità intensa (trad. da Inglese; Bibbia) / (endecasillabo forma religiosa?) / di solito, a 3 accenti (2 se fuori testo)». Riflessione e poesia, appunto, e analisi del testo altrui (in una poetessa che si traduce, simultaneamente, in più lingue) nei Primi scritti di Amelia Rosselli, finalmente proposti unitariamente in questa bella edizione degnamente presentata da Giovanni Giudici (ma perché mancano le poesie di Sleep?), diventano flusso di coscienza e più ancora «registro» di un'anima che sul foglio, invece di abbellirsi, si riflette. «Endecasillabo ("di soli- to, a 3 accenti") come forma religiosa?», si chiedeva la giovane poetessa. «Religione», secondo una celebre paraetimologia medioevale, deriverebbe da «religo», e dunque «tengo assieme»: l'endecasillabo, sinonimo di devozione alla tradizione metrica italiana, «tiene assieme» le parole attraverso la cosmesi dell'ars poetica. Ossia, per alcuni (i più), attraverso la Poesia. Dove invece Amelia, la filosofa, laicamente, illuminista distruggeva. Amelia l'apolide. Radicarsi a una terra e conformarsi a un'idea di linguaggio (accettarne la convenzionalità) significa trovarsi una casa o, almeno, un tetto sotto il quale dormire. Amelia non aveva patria, figlia di una toponomastica (quante le vie, le piazze F.lli Rosselli in Italia?) e sposa della depressione (come per Celan, altro poeta suicida, dal destino suicida, «nessuno testimonia per il testimone»). Il «destino» come «tombino dove finiscono tutte le contraddizioni» (Hegel) è stato l'oscuro sentire da cui Amelia Rosselli ha solo testimoniato ciò che vedeva, nei «quattromondi», a infinite dimensioni, del chiaroscuro: «preghieradisperatarimuove / passionedisperataangoscia / Infernoimmobilesintetizza / cantonidisintegratidella / miavita» (in Palermo '63, ora in Le poesie, p. 134). Se l'ermetismo ha creduto in un ruolo salvifico della Parola, Ameba Rosselli ha scelto sempre di riconoscere le sue fragili origini. Non ha invocato la salvezza. Ne ha analizzato le figure retoriche. Ha esibito, nel testo approntato a laboratorio clinico, la carne della preghiera: «Rimuovere gli antichi angioli dai loro piedistalli / della pietà, rimuovere gh' antichi angioli dal / loro pie¬ distallo della fiertà, e buttar tutto / in mare. Rimuovere gli antichi angioli che con / il pregiudizio si attaccano alle mie gonnelle; / rimuovere ogni sorta di viltà; rimuovere ogni / pentimento: rimuovere la fierezza e la pietà (...)», da La libellula, panegirico della libertà, 1958, in Le poesie, p. 154. Come Dino Campana, Ameba Rosselli è stata posseduta dal linguaggio. Come Dino Campana, Amelia Rosselli è uno dei più grandi poeti del Novecento europeo. Aldo Nove UNA POESIA DI AMELIA ROSSELLI La vita è un largo esperimento per alcuni, [troppo vuota la terra il buco nelle sue ginocchia, trafiggere lance e persuasi aneddoti, ti semino mondo che cingi le braccia per l'alloro. [Sebbene troppo largo il mistero dei tuoi occhi lugubri sebbene troppo falso il chiedere in ginocchio vorrei con un'ansia più viva ridirti: semina le piante nella mia anima (un tranello), che non posso più muovere le ginocchia pieghe. [Troppo nel sole la vita che si spegne, troppo [nell'ombra il gomitolo che portava alla capanna, un mare gonfio delle tue palpebre. LE POESIE Amelia Rosselli prefazione di Giovanni Giudici Garzanti pp. 680 L 32.000
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