PERCHE' L'ITALIA NON ASSUME di Luciano Gallino

PERCHE' L'ITALIA NON ASSUME DAMA PRIMA PAGINA PERCHE' L'ITALIA NON ASSUME pei. I qual: si preoccupano oggi del nostro eccessivo debito pubblico (il 120 per cento del pil, come tutti sanno), ma domani potrebbero preoccuparsi, con più rilevanti motivi, per il fatto che a parità di popolazione l'Italia ha circa tre milioni di occupati in meno rispetto alla Francia, e forse cinque-sei milioni in meno del Regno Unito (dico forse perché la statistica creativa dei governi conservatori ha reso molto difficile comparare il loro tasso di occupazione con il nostro). Per il Mezzogiorno un paio di calcoli dicono che per far scendere il tasso di disoccupazione dall'attuale 22,4 per cento a circa il 10 per cento bisognerebbe creare stabilmente almeno sette-ottocentomila posti di lavoro addizionali a tempo pieno. Cifra di per sé da far tremare i polsi, ove si pensi che tutti i patti territoriali ed i contratti d'area laboriosamente stipulati finora prevedono l'assunzione di alcune migliaia di persone, a fronte di investimenti e sgravi fiscali e parafiscali di centinaia di miliardi, ma i polsi tremano ancor di più se si considera che sette-ottocentomila posti di lavoro rappresentano un incremento di circa il 15 per cento sui 5,6 milioni di occupati che si registrano al presente nel Mezzogiorno. La stessa proporzione che si ricava se si pensasse di arrivare ad avere lo stesso numero di occupati della Francia: 23 milioni in luogo di 20. Ora, aumentare stabilmente il numero degli occupati del 15 per cento, a popolazione costante, sia a livello di macroregioni, sia a livello nazionale, è in tutti i casi un impegno di estrema difficoltà per un'economia matura. L'aggravante per l'Italia è che essa non è riuscita ad accrescere il numero degli occupati nemmeno quando la sua economia era meno matura e la popolazione cresceva. Se si guarda ai dati del trentennio 1965-95, si constata infatti che la popolazione è aumentata di quasi 6 milioni di unità, mentre gli occupati registrati sono stati solamente 400 mila in più. Erano 19,6 milioni nel 1965, sono passati a giusto 20 milioni nel '95. In tutti gli altri Paesi europei, e negli Stati Uniti, un incrementò demografico analogo avrebbe generato almeno 2-2,5 milioni di posti di lavoro. Qualunque politica dell'occupazione che non parta da una spiegazione approfondita del perché gli occupati in Italia sono inchiodati a quote poco sopra o poco sotto i 20 milioni non conseguirà, v'è da temere, successi significativi. Né avrà un buon successo se ignorerà il terzo carattere perverso del mercato del lavoro italiano: la sua completa indifferenza, oltre che per l'incremento demografico, anche per l'andamento del pil. Nel decennio 1965-75 l'economia viaggiava ad un tasso medio di crescita del pil del 4,5 per cento, e la popolazione cresceva di 400 mila unità all'anno; però gli occupati aumentarono nel decennio di una miseria, poco più di 30 mila. Nel decennio successivo quasi si dimezzarono tanto l'aumento della popolazione quanto il tasso di crescita del pil, e gli occupati crebbero invece di 1,1 milioni. Infine nel decennio '85-'95 il pil continuò a crescere a un discreto ritmo - il 2 per cento annuo - mentre la popolazione si stabilizzava, e gli occupati diminuivano di ben 700 mila unità. Spiegazioni? Difficili da trovare. Ma una constatazione si impone: in Italia, da parecchi decenni, l'aumento del pil tende a scaricarsi in maggiori consumi, aumenti salariali, riduzioni d'orario, ma rigorosamente non in un aumento del numero degli occupati. Non si vede quindi, al presente, perché le cose dovrebbero cambiare nei prossimi anni. Numero anormalmente basso degli occupati, eccezionale impegno richiesto per farlo salire, assenza di ogni relazione tra ripresa e aumento dell'oc cupazione: sono questi i carat teri del caso italiano che dovrebbero figurare al centro di ogni tavolo di concertazione tra forze politiche, governo e forze sociali. E che dovrebbero essere ricordati ai cittadini non meno frequentemente di quanto si sia fatto per indurli ai sacrifici richiesti dall'ingresso nell'Uem Perché quelli che li attendono, se si vorrà far sul serio sul fron te dell'occupazione, non saranno presumibilmente minori. Luciano Gallino

Persone citate: Dama

Luoghi citati: Francia, Italia, Regno Unito, Stati Uniti