«Nella festa d'Israele celebrato l' OIp» di Fiamma Nirenstein

«Nella festa d'Israele celebrato l' OIp» IL CASO ■ VOLTI DELLA STORIA «Nella festa d'Israele celebrato l' OIp» Choc per un programma tv sulle ragioni del «nemico» GERUSALEMME NOSTRO SERVIZIO C'è stato un momento in cui il telespettatore israeliano, domenica sera, ha avuto la sensazione di guardare la televisione a Gaza, o persino a Damasco: è stato durante l'ultima scena della puntata di Tkuma (in ebraico Rinascita, 22 segmenti di storia per celebrare sul canale nazionale il cinquantesimo dello Stato) sul terrorismo: si vedeva in bianco e nero, con forti contrasti, una schiera di combattenti dell'Olp giovani e belli, bendati a causa delle recenti ferite procurate loro dagli israeliani, con i fucili e le bandiere brandite, tutti quanti in una massa entusiasta e piena di speranze mentre evacuano Beirut su una nave in partenza. Il mare è appena ondoso. Sono epici, ed evidentemente, agli occhi del regista, sanno molto bene il fatto loro, per così dire. Ma ciò che è stato più choccante per il telespettatore israeliano in tutta questa scenografia è l'udire sullo sfondo il loro inno cadenzato, deciso, virile: «Biladi biladi», «Patria mia». «Biladi biladi» era anche il titolo della puntata di Tkuma che ancor prima di essere vista è diventata uno scoglio per la già affaticata coscienza nazionale israeliana in questo suo cinquantesimo anniversario. Lo stesso ministro delle Comunicazioni, la signora Limor Livna, aveva fatto di tutto perché non andasse in onda, definendo la serie un vero tradimento degli ideali sionisti, e questa puntata in particolare un affronto alle vittime degli attentati terroristici. L'Alta Corte di Giustizia aveva rigettato, proprio questa domenica, in maniera definitiva la richiesta di un comitato «per la protezione dell'identità dello Stato» di cancellare Tkuma rispondendo che «si sa che ci sono molti modi d'interpretare la storia. Né l'interpellante, né il servizio tv sono tut- tavia i guardiani della verità». La puntata di ieri toccava un nervo davvero molto sensibile specie in questi giorni: ne era protagonista il terrorismo degli Anni 70, quando appunto Arafat e i suoi decisero di farne la loro arma principale. E' così che, proprio nei giorni in cui, dopo la morte dell'«ingegnere numero due» Sharif, le guardie verificano ogni borsa e ogni pacco per paura che contengano la «vendetta» di Hamas, sul teleschermo si sono ripercorsi i peggiori giorni di sangue: il '72- con l'eccidio delle Olimpiadi di Monaco e le stragi di Lodz e l'attentato all'aereo Sabena; 0 '74 con la più terribile delle storie, la strage di decine di bambini nella scuola di Maalo; il '75, con i 13 morti dell'esplosione in piazza Sion a Gerusalemme; il '76, con Entebbe; il '78 con il più spettacolare di tutti gli attentati, il rapimento di un autobus di linea sulla costa con 35 morti e 100 feriti. «Perché», ha chiesto uno dei sopravvissuti di quest'ultimo attentato di nome Simcha parlando ieri alla radio, «la televisione abbia tratto da ciò che io ho raccontato in due ore d'intervista solo mezza frase sulla terribile pena da me sofferta insieme agli altri superstiti e a tutte le famiglie orbate e, invece, abbia dato tanto spazio ai palestinesi per spiegare le loro ra- gioni, resta per me un grande, doloroso punto interrogativo». Simcha ha così riassunto lo choc nazionale. In realtà, non solo in questa puntata, ma anche in molte altre, i palestinesi hanno ricevuto dal regista vasto spazio per spiegare le loro ragioni e raccontare la storia vista anche con i loro occhi. Ne sono usciti molti episodi di violenza negli anni intorno al '48, quando gli arabi, in seguito alla proclamazione dello Stato d'Israele, abbandonarono in massa buona parte dei villaggi. Nel mito nazionale israeliano, i palestinesi se ne andarono istigati dai Paesi arabi che promisero loro l'immediata eliminazione degli ebrei. Ma Tkuma, così come ormai molti testi scritti dai cosiddetti «nuovi storici» israeliani, racconta come invece i palestinesi fuggirono per la maggior parte sotto la spinta della paura degli israeliani o sulla punta del loro fucile. Quanto al terrorismo, l'autrice della puntata, la storica Ronit Weiss Bercovitch, intervista molti palestinesi i quali spiegano che secondo loro l'unico modo per riottenere ciò che gli era stato tolto con la forza, era nient'altro che la forza; e che il terrorismo era l'unico mezzo per ottenere l'attenzione internazionale e intanto compattare 0 proprio popolo. Ma ancor più di ciò che i palestinesi dicono, ha fatto impressione che si ascoltassero così a lungo per la prima volta, e in un contesto che avrebbe dovuto essere celebrativo della storia d'Israele. Il furioso dibattito che ha accompagnato Tkuma e che ha portato a dimissioni, e proteste, in realtà è destinato a restare nella storia d'Israele come la prima acquisizione popolare di una versione della storia ebraica in cui il pioniere fondatore, il kibbutznik, o l'uomo del paimach non è più un purissimo o-roe scevro da difetti, in cui la buona volontà tradita è causa di tutti i suoi errori e i palestinesi non esistono se non come ombre che fanno da sfondo all'immane sforzo ebraico di far fiorire finalmente il deserto. E' pur vero, d'altra parte, e in molti lo hanno scritto, che anche l'idealizzazione del nemico fa parte di una fase giovanile della definizione di sé, e Israele ha solo cinquantanni. Fiamma Nirenstein Uno scampato a unattentato: hanno dpiù spazio ai killer che alle vittime Lunghe interviste a ex fedayn che difendevano la causa del terrore

Persone citate: Arafat, Biladi, Limor Livna, Sabena, Weiss