LE RAGIONI DELLA FEDE di Vittorio MessoriGiorgio CalcagnoSergio Quinzio

LE RAGIONI DELLA FEDE CAFFÉ' LETTERARI LE RAGIONI DELLA FEDE Incontro con Vittorio Messori lunedì all'Unione Industriale Lunedì 30 marzo, ore 15, al Centro Congressi dell'Unione Industriale in Via Fanti 17, incontro con Vittorio Messori e Michele Brambilla per i Caffè Letterari. Il tema della conferenza, sarà «Qualche ragione per credere». Moderatore Marco Travaglio. Gli inviti, validi per due persone, possono essere ritirati gratuitamente e fino ad esaurimento al Centro Congressi (per informazioni tel. 57.181 ) EL bellissimo carteggio di Sergio Quinzio, che la moglie Amia ha pubblicato a due anni dalla morte dello scrittore, «L'esilio e la gloria» (appena uscito dalle edizioni «In forma di parole»), c'è una lettera importante, datata 12 febbraio 1994, sugli equivoci del cristianesimo nella società temporale. Quinzio si rivolge a un amico cui lo accomuna fortemente la fede e da cui lo divide altrettanto fortemente il modo di intenderla. «Penso che la fede, oggi, abbia molto più da temere da chi mostra che tutti i suoi conti tornano che da chi osa mostrare tutte le difficoltà e le contraddizioni rispetto al corso della storia», scrive al suo destinatario, quasi per ammonirlo, come si intuisce dal tono. Il destinatario è Vittorio Messori. Non sappiamo che cosa abbia risposto l'autore di «Ipotesi su Gesù», best seller mondiale, all'autore di «La croce e il nulla», libro per pochi, un po' riottosi lettori, non alla ricerca di risposte consolatorie. Certamente Messori deve esse- re rimasto toccato da una frase posta alla fine della lettera: «Secondo me il destino della fede nella storia del mondo non è legato ai successi storico-politici ottenuti o amplificati tramite la televisione e la "buona stampa"; è legato alla capacità di mostrare che la fede cristiana, nella sua purezza originaria, ha ancora qualcosa da dire al mondo». Messori non è certo imputabile, neppure dall'interprete di un cristianesimo tragico come Quinzio, di voler far tornare tutti i conti, in una materia dove non sempre possono tornare. Lo dimostrano i suoi libri, a partire dal primo, anzi dalla prima parola, «Ipotesi», fondata sulla scommessa pascaliana. Lo conferma lo stesso titolo scelto per la conferenza all'Unione Industriale, «Qualche ragione per credere». E Messori ha troppa esperienza di vita, troppa conoscenza di studi per ignorare, «tutte le difficoltà e le contraddizioni rispetto al corso della storia» che il cristianesimo incontra. Ha letto molto, prima di scrivere; ed è scrittore leale. Ma su quei «successi storicopolitici ottenuti o amplificati tramite la televisione e la buona stampa» i cammini dei due amici divergono. Il cristianesimo di Quinzio nasce sul Calvario, dal grido disperato di Gesù, «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Quello di Messori parte dal risorto, senza il quale non avrebbe senso la «Scommessa sulla morte» (titolo del suo secondo libro). Quinzio testimonia un cristianesimo crocifisso sotto i misteri dolorosi; Messori un cristianesimo combattente, nella prospettiva dei misteri gloriosi. Quinzio, che si ritira in un monastero del Montefeltro, sarebbe stato l'uomo di Pietro da Morrone, l'eremita abruzzese diventato Celestino V, il papa più perdente della storia. Messori sceglie il grido «Non abbiate paura!» di Giovanni Paolo II, dal suono vittorioso, che è certo di offrire agli uomini di oggi più di qualche ragione per credere. Giorgio Calcagno Sergio Quinzio (a sinistra) e Vittorio Messori