I trent'anni dell'Aiace
I trent'anni dell'Aiace I trent'anni dell'Aiace FACCIAMO come in Francia»: più o meno così si sono detti i fondatori dell'Aiace, più di trent'anni fa. In Francia, nel '56 André Malraux, ex scrittore di sinistra divenuto ministro con De Gaulle senza dimenticare del tutto le proprie origini, aveva varato una legge che «istituzionalizzava» (e aiutava) i cinema d'art e d'essai. Sin dal nome, era un riconoscimento che concludeva un dibattito durato cinquant'anni sul cinema come arte. A Torino l'Aiace - deus ex machina un matematico di grandi capacità organizzative, Federico Peiretti - nasceva nel '68 riunendo critici, artisti, intellettuali, esercenti, Gobetti e Rondolino, Oriani e Galvano, Pilone, Ferrerò, Martano. E la sua prima sede è stata «artistica», alla galleria Martano. La storia dell'essai in Italia è strettamente legata alle Nouvelles Vagues e ai Nuovi Cinema; forse l'Aiace stessa (alla quale, in occasione del trentennale, il Massimo Tre dedica una rassegna dal 30 marzo al 16 aprile) è il riflesso della vitalità di tutte le arti negli Anni '60. Il Centrale cui qualche anno dopo si aggiungerà il Ritz - inizia le programmazioni con «Fuochi nella pianura» di Ichikawa e «La passeggera» di Munk. I suoi «successi» sono «La cinese» e «L'armata a cavallo», gli autori Godard e Jancsó appunto, Rocha, Guerra, Oshima, poi Kluge e Wenders. A lungo l'essai continuerà a lavorare sulle ricerche e le acquisizioni di allora. Non sarà facile identificare in seguito il «nuovo». E tuttavia, tra deviazioni e tentazioni varie, è riconoscibile un'idea di cinema d'autore che lega quegli autori ai Taviani, Olmi, Kieslowski, Jane Campion, al Nanni Moretti di oggi. A una visione panoramica, quella dell'Aiace appare a ragione una storia «vincente» per varietà di proposte e iniziative, per numero di soci (in certi momenti, oltre 25 mila) e di sale (otto in città, una ventina in Regione). Ma è anche una storia di occasioni mancate. Il Kinostudio, ad esempio, che, costruito nel seminterrato di Palazzo Carignano, voleva essere una sorta di sala di ricerca, forse in eccessivo anticipo sui tempi. 0 la Dae che interveniva in un settore chiave, quello della distribuzione, ma durò troppo poco. Oppure il «Challenge d'Essai», il festival che, nel '75, raccolse al Gobetti, allora sede unica dello Stabile, autori di mezza Europa oltre a un foltissi- mo pubblico. Poteva essere lo spunto per fare di Torino un punto di riferimento internazionale del cinema «di qualità», ma non ebbe seguito. Come se l'Aiace intuisse realtà che mutavano, innescasse processi che, per inadeguatezza strutturale o politica, non poteva padroneggiare appieno. Su un terreno, però, il lavoro dell'Aiace resta ineguagliabile ed è quello di una cultura quotidiana, oggi trascurato da troppi rispetto alla cultura dell'evento. Citiamo soltanto tre casi. Quello, eccezionale, del cinema scuola, dell'educazione all'immagine. Quello delle pubblicazioni, dagli antichi «Quaderni» alle monografie di «Garage», dalla rivista «Essai», in cui coesistevano Fofi e Ghezzi, Giusti e Rulli, alla recente «Lettera». Infine, attraverso il Cic, l'Aiace è stata all'origine del rilancio del «corto», ha curato una sezione alla Mostra di Venezia, ha realizzato strumenti come il Cd su «Film e video italiani 1980-1997». Forse, per tanti anni, ha dato più di quel che ha ricevuto. Non è un merito da poco. Gianni Volpi Presidente Aiace Nazionale La locandina di «Jonas che avrà vent'anni nel2.000» diAlain Tanner, inserito in «Trent'anni dell'Aiace a Torino» in programma dal 30 marzo in sala Tre al Massimo
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