NELLA LOS ALAMOS DI OPPENHEIMER C'E' UN DELITTO SOTTO IL FUNGO di Piero Soria

NELLA LOS ALAMOS DI OPPENHEIMER C'E' UN DELITTO SOTTO IL FUNGO IN ANTEPRIMA NELLA LOS ALAMOS DI OPPENHEIMER C'E' UN DELITTO SOTTO IL FUNGO Tra storia e fiction, alVombra del progetto Manhattan AI cespugli spuntano le gambe di un uomo. E' rannicchiato come uno di quei vecchi indiani che, immobili per ore, vendono perline e coperte sulla Plaza di Santa Fé. Ma non c'è l'ombra della piazza assolata a fargli da sfondo: solo il mormorio notturno dell'Alameda, il fiume riarso che, scivolando sui bordi del deserto, si insinua stanco nel cuore della città. C'è tanto sangue. Il cranio spaccato. La bocca aperta in un disperato urlo muto. Il volto irriconoscibile per la rabbia di chi vi ha infierito. I calzoni abbassati sotto le ginocchia, i genitali scoperti come un lugubre monito. Un omosessuale giustiziato da una preda sbagliata? Forse. Il Capo Holliday, sotto il sole bollente che rende sudata anche la più placida delle indagini, si stringe rassegnato nelle spalle. Nessun indizio. Nessuna firma. Soltanto una dentiera costruita ad Est: uno stravagante turista di New York attratto dalle meraviglie del New Mexico proprio mentre, in Europa, Berlino sta finalmente crollando sotto i colpi alleati? 0 uno di quei pallidi fantasmi che abitano la Collina dei Misteri? Inizia così Los Alamos di Joseph Kanon, l'ultimo - in ordine d'apparizione - ad affrontare l'inossidabile racconto della Bomba. E' un classico, come il Titanio: non c'è particolare che ormai non si conosca. Tuttavia riaffrontare il tema attraverso interni e spaccati è un'arte affascinante che, se riesce, fa dimenticare il noto e avvince a tal punto da procurare Oscar e Classifiche. E questo è il caso. Il grimaldello per rivisitare il «Progetto Manhattan» è proprio quel cadavere senza identità che, sotto l'anonimato di un numero, appartiene ad un agente di sicurezza. Improvvisamente il delitto non è più vizio, vendetta o crimine urbano, virus cioè che alligna tra le pieghe di una società aperta. Ma peste di una comunità chiusa ermeticamente. Una scatola di scienziati (anche loro con numeri a sostituire i nomi) sigillata con innumerevoli nodi (custodi che custodiscono loro e che controllano altri custodi) e avviluppata nella carta del mi¬ stero (a valle nessuno sa, o persino immagina, che cosa stiano facendo). La bontà del romanzo non sta tanto nella struttura gialla che pur ottimamente si dipana. Ma nell'insolita e remota atmosfera che lo pervade. Ci sono personaggi veri (un insolito Oppenheimer accoppiato ad un cagnesco generale Groves) così ben amalgamati con protagonisti letterari (Michael l'investigatore ed Emma la sua dolce amante) da risultare pezzi di storia essi stessi. Il quadro che ne risulta è notevole: quel continuo cicaleccio ebraico tedesco di esuli devoti ad un'Arma così totalmente americana; quell'aura di diffidenza politicoscientifica nei confronti di una comunità intellettualmente incontrollabile, dal passato controverso, antinazista par status e sofferenza, ma non così stagna nei confronti di un comunismo, sopportato amico del presente, indiscusso nemico del futuro; quello stacco così totale dai «minimi» - quasi miserabili - eventi quotidiani della guerra per concentrarsi sull'Evento, l'Atomica, che risolverà in. un'unica immensa morte le tante, innumerevoli, morti sparse nello spazio e nel tempo di un conflitto interminabile. Sono questi i rumori di fondo di quell'omicidio inspiegabile. Di quella piccola cosa uscita dalla scatola, d'improvviso non più riconducibile al capriccio finito male di un omosessuale qualsiasi, ma a qualcosa di più terribile: la fuga di notizie, il segreto comprato, la spia, la possibiltà che la scienza, per sua natura e ad onta di ogni sigillo voluto dalla politica, sia davvero universale e più potente dei fili spinati dell'ideologia. Kanon, un esordiente che però arriva dal management dell'editoria, ha la mano felice nell'usare il thriller per traghettare il lettore da una sponda all'altra. Quel suo investigatore - Michael Konnoly -, calato direttamente da Washington perché lassù nessuno si fida di nessuno (nemmeno di lui: per questo verrà costantemente controllato), è il simbolo ambiguo del coacervo di diversità - e interessi - che operano all'ombra del Grande Fungo. Anche Oppenheimer è costantemente sospettato. Morto Roosevelt, lo sarà persino Truman che, escluso dai pochi intimi a conoscenza dell'esperimento, istituzionalmente, ora, ne dovrebbe essere informato. Ma «nei tempi giusti», scelti dai militari. Grande affresco, Los Alamos, mantiene tuttavia i ritmi serrati della detective story, rinunciando sempre alla tentazione di abbandonarsi al solo gusto della scrittura a svantaggio del ritmo. Notevole comunque il confronto continuo di un paesaggio selvaggio e - pur con il fall out incombente - incontaminato (canyon, sabbia, tramonti, vestigia indiane) con l'asettica modernità del laboratorio sulla Collina dove però le umane passioni - e debolezze riportano a Cronaca anche la Storia. C'è spazio persino - al di là della naturale soluzione del delitto - per un inatteso coup de théàtre finale: sapere può essere pericoloso. Ma l'ignoranza non paga mai. Piero Soria Amore e morte nell'esordio di Joseph Kanon. Un agente dei servizi segreti assassinato per strada: gelosia o spionaggio? Robert Julius Oppenheimer (a destra) con Enrico Fermi LOS ALAMOS Joseph Kanon Traduzione di Luciana Crepax Mondadori pp. 441 L 32.000

Luoghi citati: Berlino, Europa, Manhattan, New Mexico, New York, Washington