Stefania, donna in guerra

Stefania, donna in guerra Stefania, donna in guerra «Via i capelli, mi sono annullata» TORINO. Stefania Rocca non ha più i capelli. Tagliati, immolati. Com'erano «prima»? Biondi? castani? oppure azzurri, come ricordano gli spettatori di «Nirvana», il film di Salvatores che l'ha resa popolare? Sulla testa le è rimasta un'ombra grigia, da nascondere sotto una parrucca a caschetto o da coprire con un berretto di lana blu. Ma il sacrificio non pare rattristarla. Stefania Rocca è in lotta con Stefania d'Arco: un duello interiore, prima che teatrale, una tenzone, un'oscillazione tra sentimenti opposti. Un po' sorride e divaga; un po si fa seria, corrugando la fronte; un po' si lascia andare: «Sono contenta di essere tornata nella mia città con uno spettacolo importante». A Torino Stefania è cresciuta, ha studiato in un istituto tecnico, ha giocato in una squadra di pallavolo, si è innamorata del cinema. Aveva sedici anni. Era in macchina con sua sorella. Quando arrivarono sotto casa, le disse: «Ho deciso, me ne vado». Dove? «A far l'attrice». La famiglia ebbe una scossa. Poi la partenza: Milano, Roma, il Centro sperimentale di cinematografia e non l'Accademia d'arte drammatica. Dice: «All'inizio non ho avuto una gran passione per il teatro, mi sembrava una cosa tecnica. Già il fatto che gli attori stanno in alto, sull'altare: sono loro che si divertono, hanno bisogno del pubblico per sentirsi Dio». Invece il cinema... «Il cinema mi sembrava più vero. La cinepresa ruba cose vere, va all'essenza. Ma il problema principale, allora, non era scegliere tra teatro e cinema». Qual era? «Sapere perché facevo questo mestiere: per un grillo o per qualcos'altro? Ho capito che era per qualcos'altro, perché mi sentivo viva, perché in una settimana di lavoro mettevo un anno di vita». L'attrice sottile come un giunco rivelava un'anima di ferro. Cominciò a studiare, ma non per apprendere una tecnica. «Pensavo: devo stu diare cose che mi aiutino a tirar fuori le emozioni. La scuola verrà dopo». Si è ac canita sul metodo Strasberg «per vedere come mi sentivo Volevo vedere se era possibile partire dalla ragione per arrivare ai sentimenti». Studiava e lavorava. Dopo le prime esperienze teatrali con Meme Perlini, fu il cine ma e ancora il cinema, fu la televisione. Ora è il teatro. «Questa Giovanna d'Arco è difficilissima. La storia la conoscono tutti, perciò ere do che il segreto stia nel cer care qualcosa più vicina a noi». Ma come l'ha affronta ta? «Sono diventata uno strumento di Walter Le Moli così come Giovanna era uno strumento di Dio». Forse c'è qualcos'altro. «Ho cercato di rapportarmi a lei. Piccole co se: lei aveva diciassette anni quando ha tentato la grande avventura, ho cercato di stabilire un confronto fra quel che ero io a diciassette anni e lei. Ho cercato di capire che cosa significhi pulzella e, per quanto possibile, ho tentato di sentirmi pulzella, con quegli avvampi del corpo che Giovanna deve aver prò vato. Ho pensato: se fossi in guerra come mi sentirei? In somma, ho cercato di dimenticarmi, di arrivare all'incoscienza, che per me significa possessione». E quindi? «So no contenta di essermi ta gliati i capelli». [o. g. 1 L'attrice: «All'inizio non avevo passione per il teatro il cinema mi sembrava più vero»

Persone citate: Giovanna D'arco, Meme Perlini, Salvatores, Stefania Rocca, Strasberg, Walter Le Moli

Luoghi citati: Milano, Roma, Torino