«Fantasìa e un po' di business Così si può scacciare la follìa»

«Fantasìa e un po' di business Così si può scacciare la follìa» «Fantasìa e un po' di business Così si può scacciare la follìa» Pordenone, rivoluzione in una cooperativa di malati mentali, ex tossici e «down»: abbiamo inventato nuovi lavori REPORT LE NUOVE FRONTIERE DEL RECUPERO PORDENONE DAL NOSTRO INVIATO Prendete dei matti, liberateli dal manicomio, il Sottoselva di Udine, per esempio, 100 ricoverati fino al 1995. Prendete degli ex tossici, ex alcolisti, ragazzi down, disoccupati di lungo corso. Liberateli dal nulla delle giornate assistite (chiacchiere e passeggiate e magari anche dolcezza dopo gli inferni), inventategli un lavoro vero, associateli in cooperative, restituitegli dignità, restituitegli il tempo, restituitegli il mondo. Alla fine avrete mi inizio. L'inizio di ima storia - per metà veneta, per metà friulana, ma tra un po' nazionale - dove almeno qualche sogno sta diventando vero. La prima storia, la più piccola, è fatta di cotone - asciugamani, magliette, borse: il «kit di sopravvivenza per il mare» - che in sei mesi di lavoro di gruppo è stato pensato, disegnato, colorato, da 13 ragazzi del Centro di salute mentale di Teor. Marchio: «Robadamatti». L'hanno presentato in un party a base di aranciate e sorrisi. Monica, che è bella e ha occhi spalancati sotto a un cappello stretto, ti fa vedere l'asciugamano dove ha disegnato due uova al tegamino e la scritta che dice: «Sono fritto». La seconda storia è fatta di cibo e locande. Il cibo arriva dal circuito del biologico, marchio: «Buonodamatti». Le locande, una decina per ora, tutte abbandonate e vuote, sparse dall'entroterra al mare, sono state comprate, ripulite, e verranno riaperte. Una funziona già. Ha arredi di legno, luci rosse e gialle, birre ghiacciate, pavimento lustro. Sta sulla strada del paesello di Santa Marizza, 35 chilometri da Udine, e l'insegna dice «Tso» che d'abitudine sta per Trattamento sanitario obbligatorio. Ma qui ha l'effetto capovolto di un sorriso anziché di spavento. Al piano di sopra sei miniappartamenti abitati da sei donne ex pazienti, socie della cooperativa. Una si chiama Stefania, dipinge foglie e luce: «Questo ò un bel posto dice -. La prima volta che tanti amici stanno dove io sto». La terza storia è fatta di cielo e di Laguna. Sapete cosa sono i casoni? Sono le vecchie (addirittura antiche) case dei pescatori con i tetti spioventi di cannuccia, costruite alla maniera ungherese, abbandonate lungo il verde e il blu della costa che va da Caorle a Chioggia - erano più di 2 mila, un tempo - che sempre loro, i matti, hanno cominciato a ristrutturare. I primi cinque dalle parti di Bibione, hanno già i letti, la cucina, i fiori appena sbocciati. La quarta storia è la più grande e addirittura la miglioro. C'entrano i frigoriferi, le lavatrici, le lavapiatti, i cosiddetti elettrodomestici bianchi. E' la migliore perché l'invenzione riguarda un nodo cruciale del sistema economico - smaltire, recuperare, risparmiare - e ima soluzione da colpo di scena. Come recita il senso comune? «I sani costruiscono, i matti sfasciano». E allora bene: specializzarsi in sfascio. Ci sono (da recuperare) 14 chilogrammi di plastica per ogni frigorifero, il triplo di lamiera, una serpentina, un compressore, rame, gomma. E poi c'è (da recuperare) 3 micidiale efe, il gas che buca l'ozono. Il mercato ha numeri imponenti: un milione di elettrodomestici buttati in discarica ogni anno. Il progetto pure: 12 piattaforme di smontaggio in tutta Italia, 63 addetti per ogni piattaforma, 700 posti di lavoro, 2 mila calcolando l'indotto. In ogni gruppo di lavoro un terzo dei posti verranno assegnati a quelli che la burocrazia chiama «svantaggiati» o «soggetti deboli» che poi sarebbero, ex tossici, handicappati, malati mentali. La prima piattaforma è stata aperta a Torino, la seconda è qui a Sedegliano, le prossime in Emilia, Campania, Puglia, Sicilia. I corsi di formazione sono a carico della Elettrolux e della Whirpool, produttori di elettrodomestici. I soldi necessari allo «start up», l'avvio, vengono dalla defiscalizzazione per il riciclaggio, in accordo con tre ministeri che appoggiano l'iniziativa: Ambiente, Lavoro e Finanze. E' ora di tornare all'inizio, per le presentazioni. Rodolfo Giorgetti, quarantenne di stazza (barba, sigaretta, telefonino, tre agende) è l'in¬ granaggio e l'olio, il propulsore e la bussola di queste multiple storie che poi sono la stessa. E' laureato in Geologia, ha fatto il funzionario sindacale Firn, poi il manager della società di revisione Arthur Andersen. Cinque anni fa ha preso in mano la cooperativa Noncello di Pordenone: «Sono arrivato che non c'erano né i fax né i computer. Si faceva benissimo la routine, ma nessuna invenzione. Si poteva continuare a sopravvivere, noi abbiamo scelto di fare impresa». La cooperativa associava «soggetti svantaggiati» e si occupava di pulizie e giardinaggio grazie alle commesse dei Comuni del Veneto e Friuli. Oggi la Noncello è assai cresciuta (700 soci), si è clonata in Itaca (500 soci) e poi ancora in Nemesi (100 soci). Il fatturato complessivo è cresciuto da uno a 30 miliardi. Le cooperative sono diventate area pilota dell'Oms, l'Organizzazione mondiale della Sanità. «L'idea di integrare in cooperativa i sani e i non sani - spiega Giorgetti - è che le persone si riabilitino facendo un lavoro vero, non i finti posteggiatori di finti parcheggi, guadagnando soldi veri, con regole e una competitività vere. Abbiamo i finanziamenti del Fondo sociale europeo. Abbiamo i progetti. Lo scambio con le strutture pubbliche è: noi ci facciamo carico degli svantaggiati, voi risparmiate i costi di assistenza, infermieri, letti, strutture, noi li aiutiamo a diventare una risorsa. Niente assistenzialismo, niente volontariato: imprese». L'altra testa pensante ha capelli ondulati e lunghi, Angelo Righetti, psichiatra, scuola Basaglia, direttore del Dipartimento di salute mentale di Palmanova, consulente del ministero della Sanità. E' mio di quei personaggi di sinistra che non si tirano indietro a criticare il conformismo e gli errori della sinistra. «La differenza tra noi e le cooperative tradizionali che lavorano nel campo delle imprese sociali è che loro associano gli operatori, noi associamo gli utenti. L'assistenza produce controllo sociale e tutela prima di tutto il lavoro degli assistenti. Nelle nostre cooperative i soci di maggioranza sono i soggetti deboli. Con loro produciamo impresa, produciamo lavoro, rendiamo possibile una vita migliore. Integrandoli a un progetto condiviso accresciamo la loro libertà». I soldi arrivano, oltre che dal Fondo sociale europeo, anche dagli stessi pazienti, con l'autorizzazione (quando è necessario) delle famiglie. Non c'è un margine di rischio in tanta spericolata innovazione? Eccome. «Ho ricevuto un avviso di garanzia - spiega Righetti - nel quale mi si accusa di circonvenzione di incapace per avere usato i soldi degli ex pazienti... Soldi delle pensioni che le banche trattenevano a interessi grotteschi, 1,8%. Mi hanno accusato... Come se non sapessero che io faccio lo psichiatra e non l'immobiliarista. Che le cooperative hanno una finalità sociale e non speculativa. Che il vero guadagno è mentale prima che materiale. Se crei lavoro, se affianchi giovani disoccupati ai soggetti deboli, se fai crescere la rete delle solidarietà, stai facendo un investimento collettivo, una prevenzione contro i deserti dell'emarginazione». Dice: «Faremo le nostre battaglie legali. Difenderemo i nostri progetti come, per due decenni ha fatto Basaglia, mentre tutti lo accusavano di estremismo e avventurismo. Quando disse: chiudiamo i manicomi, gli dissero che era pazzo, ma i pazzi erano loro». Racconta Giorgetti: «Qualche mese fa il padre di un ragazzo schizofrenico ci disse ohe voleva chiudere il suo ristorante. Vendere tutto e occuparsi solo delle cure del figlio. Sarebbe stata l'ennesima famiglia che si isola. Noi gli proponemmo un'altra strada: anziché chiudere il ristorante, aprirlo alla cooperativa, anziché isolare il figlio, inserirlo. Sta funzionando». Il nodo è poi questo: chiudere o aprire. Trasformare uno svantaggio in una risorsa. Aggiungere ai fini economici di una impresa anche il suo valore sociale. Fare di quel valore un fine. «Prenda i frigoriferi spiega Giorgetti -. Puoi farlo in modo tradizionale, ùivestire 1000, ricavare 100. Noi, mvece, ricaveremo 50. Ma intanto avremo integrato, tra i 700 nuovi assunti, un terzo di soggetti deboli che fino a ieri erano solo un costo per la comunità». Dice tutto questo passeggiando sulla sabbia che circonda i casoni di Bibione. C'è il soie e l'azzurro, più l'ottimismo di piccole cose che di ventano possibili. E addirittura grandi. «Già i matti sono senza sen so - dice -. Se gh fai fare una vita senza senso, diventano un senza senso alla seconda. Stiamo provando a inventarci la loro radice quadrata». Pino Corrias Attività che vanno dalla ristorazione al riciclaggio di vecchi elettrodomestici Oltre 1300 soci organizzati in una serie di società fatturano 30 miliardi l'anno A Pordenone nascono iniziative pilota per aiutare i malati mentali A destra Basaglia, il padre della riforma dei manicomi