LA BORSA E LA VITA DA MUSSOLINI A MORO

LA BORSA E LA VITA DA MUSSOLINI A MORO LA BORSA E LA VITA DA MUSSOLINI A MORO Dopo ogni morte, il carteggio scompare A borsa o la vita», l'intimazione lanciata da briganti di ogni tempo a incauti viaggiatori che s'inoltrano in territori sottratti più o meno temporaneamente all'imperio della legge è chiara. Incisiva. Una contrapposizione entro la quale la scelta è apparentemente scontata: si molla la borsa, che si presuppone contenga un bel malloppo di denaro sonante, e si salva la pelle. Le cose non vanno così, invece, nella lotta politica e nelle più sorde contrapposizioni di potere. «La borsa e la vita» sembra infatti la costante che emerge da una serie di episodi della nostra storia comune. In questi eventi le borse-di personaggi che come primattori o comprimari calcano o hanno calcato le scene della vita pubblica - assumono una rilevanza notevolissima e tragica. Queste borse che puntualmente compaiono nei crocevia più frequentati dei misteri d'Italia non contengono tesori. Nascondono qualcosa di più prezioso ancora: segreti. 0 informazioni che - per qualche motivo - possono destabilizzare poteri, scompaginare ti di f ze pt, pgrapporti di forza. Sul contenuto della borsa che Mussolini portava o avrebbe portato con sé, al momento dell'arresto da parte dei partigiani della 52a Brigata Garibaldi ci sono state infinite supposizioni e polemiche e non solo tra gli storici che - a freddo - hanno cercato di ricostruire quei giorni con un ossessivo replay delle ultime ore del Duce. Già nei mesi successivi alla guerra perfino la vacanza che Churchill trascorre sul Lago di Como, intento a dipingere delicatissimi panorami, viene interpretata dalla stampa italiana come un pretesto. Una vacanza, quella del leader inglese, protratta proprio nella zona dove Mussoini è stato fermato e giustiziato al solo scopo di prendere contatto con chi, o con coloro, che quel 27 aprile 1945 avevano messo le mani su Mussolini e, presumibilmente, sulle sue carte. Ma di borse, nella nostra storia comune, ce ne sono tante altre e, tutte, portano assai poca fortuna ai loro proprietari. La borsa del presidente dell'Ambrosiano Roberto Calvi, ucciso a Londra sotto il ponte dei Black Friars il 18 giugno 1982, è di quelle che si smaterializzano per qualche tempo per poi ricomparire (magari, come avviene in questo caso, durante ima trasmissione televisiva). Ovviamente la borsa in oggetto è stata ripulita dei documenti più scottanti, riguardanti - nel caso di Calvi - le collusioni tra quello che era il più importante banchiere privato della Penisola nonché - come ricorda Alessandro Silj nel suo Malpaese pubblicato da Donzelli - il tesoriere di buona parte delle finanze vaticane e i partner d'affari in odore di mafia con i quali ha incrociato il suo destino. Di un'altra borsa - quella del generale Carlo Ciglieri, già comandante generale dei carabinieri e in procinto di assumere il comando della III armata quando, il 27 aprile 1969, si schianta in un incidente automobilistico - viene documentata l'esistenza da una foto che compare su un giornale locale il giorno dopo la morte dell'alto ufficiale. L'ufficiale, uno dei più brillanti dello stato maggiore e, probabilmente, tra i più addentro alle segrete cose di quella guerra non ortodossa che proprio nel Triveneto sfuggendo ai suoi stessi artefici sta per imboccare la sanguinosa stagione della strategia della tensione, si schianta mentre in borghese, senza documenti, è alla guida di una 1600 Alfa Romeo intestata alla III Armata. Ciglieri viaggiava a velocità ridotta, su un rettilineo: improvvisamente la sua vettura compie un testa coda e si schianta contro un filare di alberi della statale 47 Cittadella-Padova. Modalità, quella dell'incidente d'auto, che è tra le tecniche «di neutralizzazione» maggiormente usate dagli operativi dei servizi di ogni latitudine e delle quali, peraltro, si facevano - in quegli anni - appositi corsi in una base segreta dell'intelligence collocata nei pressi di Alghero. Comunque dell'incidente in cui muore Ciglieri vengono scattate alcune foto. Da una di queste, che inquadra il bagaglio aperto, si vedono fuoriuscire da una cartella dei fascicoli dei quali l'inchiesta svolta successivamente negherà l'esistenza. Successivamente scompare anche il negativo della fotografìa. La ballata delle borse potrebbe continuare a lungo ma qui si concluderà rammentando quelle che compaiono (e spariscono) nel corso del sequestro Moro, come viene ricordato ancora una volta dal recentissimo volume del fratello del leader de assassinato dalle Brigate Rosse, Alfredo Carlo Moro, Storia di un delitto annunciato. Le borse che Moro portava con sé, al momento dell'agguato, sono cinque: i brigatisti - come conoscessero con assoluta sicurezza il loro contenuto però ne asportano solo due. Quella con i medicinali usati dal premier de e l'altra dove sono contenuti documenti riser-. vati, selezionati dall'uomo politico in vista della seduta di presentazione del nuovo governo. Gli interrogativi sulla fine che hanno fatto le borse tormentano Moro, che ne parla nelle sue lettere. Ad esempio al suo stretto collaboratore Rana, dal carcere brigatista, scrive: «Sono, state recuperate delle borse in macchina? 0 sono state sequestrate come corpo di reato?». Di certo Moro sospetta che alcuni carteggi che portava con sé, la mattina del 16 marzo, non siano finiti né nelle mani dei brigatisti che lo tengono prigioniero né in quelle delle forze deU'ordine che stanno stringendo d'assedio la capitale e stanno indagando, con assai pochi risultati, sulla strage di via Fani. In altre mani o «manine» come si disse al tempo - e di quelle esperte a maneggiare segreti - potrebbero essere finiti i carteggi di Moro e di quel sequestro attorno al quale si giocherà una partita complicata e dilazionata nel tempo (come dimostra il ritrovamento tardivo, del presunto archivio brigatista di via Montenevoso a Milano). Apparentemente alle borse, tragiche e macchiate di sangue, che contengono i segreti del potere non dovrebbe essere acco stata la figura del portaborse: sorta di tirapiedi addetto ai compiti di bassa cucina dei leader e esperto soprattutto ad ammanire - come racconta il film «Il portaborse» di Daniele Luchetti - ricette a base di ram pantismo e clientelarismo. Ma, di questo, si avrà modo di parlare un'altra volta. Oreste del Buono Giorgio Boatti Documenti scottanti, segreti dì Stato, rapporti confidenziali: sempre sottratti al crocevia politico dei misteri d'Italia TESTI CITATI A. Carlo Moro Storia di un delitto annunciato. Le ombre del caso Moro Editor/' Riuniti Alessandro Silj Malpaese. Criminalità, corruzione e politica nell'Italia della prima Repubblica Donzelli Il portaborse film di Daniele Luchetti LUOGHI COMUNI ^SONAMI- i;.\h;moiw: DliiJ'ITALIA Mussolini, Moro e Calvi: i tre esempi più eclatanti di morti eccellenti e borse scomparse

Luoghi citati: Alghero, Como, Italia, Londra, Milano, Padova