Computer, il nostro lettino di Freud

Computer, il nostro lettino di Freud Così Internet ci cambia la vita: parla Sherry Turkle, la prima antropologa del cyberspazio Computer, il nostro lettino di Freud Fra identità virtuali, sesso elettronico, fantasie digitali SLOS ANGELES EL maggio del 1968, una studentessa ventenne di Harvard un po' timida e afflitta da seri problemi familiari, Sherry Turkle, approdò a Parigi alla ricerca di quiete e serenità. Trovò una città sconvolta da scioperi, manifestazioni, incendi e barricate ma appena poteva cercava rifugio in un circolo dove Roland Barthes e Michel Foucault continuavano a tenere discussioni e conferenze. Ascoltava con attenzione soprattutto le parole di Jacques Lacan, che parlava del linguaggio come motore di autotrasformazione e come struttura che plasma la società e l'Io. Parole che ebbero nella giovane studentessa una particolare risonanza: il suo francese non era dei migliori, ma quando parlava quella lingua per lei straniera invece che ancora più timida si sentiva più decisa e più sicura. Tornata a Boston, dedicò la tesi alla sua esperienza parigina, pubblicata in seguito con questo titolo: PsycoanaliticPolitics. Divenne professoressa di sociologia della scienza al Massachusetts Institute of Technology (Mit) e vivendo lì, in questo ambiente altamente tecnologico, iniziò a studiare il mondo dei computer. Che cos'è l'intelligenza? Che cosa distingue il pensiero dai sentimenti? E chi sono questi scienziati affascinati da potentissime macchine? Poi arrivarono i personal, quindi la rivoluzione di Internet, con la possibilità di investire azioni, di inviare e ricevere posta elettronica da persone magari conosciute solo on line, di immagazzinare news 24 ore su 24 e altre diavolerie. Ma l'immaginazione della Turkle venne colpita da un altro aspetto. Non più soli di fronte alla macchina, siamo diventati improvvisamente parte di una nuova comunità insieme con milioni di individui, la cui uni- ca rappresentazione passa attraverso lo schermo del computer. Il cyberspazio è diventato la metafora di un modo diverso di vederci e di riconoscerci. E quelle stesse parole di Lacan sul potere del linguaggio di aprire nuovi percorsi di autoriflessione e di crescita che nella Parigi del '68 le erano sembrate così astratte hanno assunto per la Turkle un significato molto più chiaro. E l'hanno condotta a nuovi interrogativi. Che cos'è reale? Che cos'è virtuale? E dei tanti individui che fanno parte di me, qual è quello vero? Interrogativi cui la Turkle ha dato ri¬ sposta in Life on the screen, un provocatorio libro che le ha fatto guadagnare il titolo de «La prima antropologa del cyberspazio» {in Italia è uscito l'anno scorso, con il titolo La vita sullo schermo, nuove identità e relazioni sociali nell'epoca di Internet, a cura di Bernardo Parrella per le edizioni Apogeo). Lei sostiene, nel suo libro, che i computer sarebbero uno strumento di analisi e di autoriflessione. In che modo una macchina a riesce svolgere una simile funzione? «Con i computer, ci siamo abituati a usare diverse "finestre" e a passare fluidamente dall'una all'altra per fare i compiti più disparati. In una ho il programma per word processing, in un'altra quello per fare le tasse, in un'altra ancora tengo il diario di mia figlia, poi faccio un altro che e sono immersa in un gioco dove posso pretendere di essere Isabella Rossellini o Monica Lewinsky. Possiamo sperimentare diversi ruoli, creare un nuovo ambiente, giocare con la nostra personalità, con la nostra sessualità. Il computer diventa un modello della mente e questo è un fenomeno che scuote profondamente il senso di chi siamo. Siamo in uno di quei periodi in cui le vecchie strutture stanno crol¬ lando e le nuove non sono ancora state erette. E questi storicamente sono tempi di ansia, di tensione e di reazione ma anche di opportunità e di grande creatività culturale. Tempi esilaranti». Ma in ciò che lei definisce esilarante qualcuno potrebbe vedere i sintomi dell'instabilità. O della schizofrenia. «Freud è entrato nella cultura popolare perché con i sogni, con i lapsus ci ha offerto degli oggetti che rivelano l'inconscio. Un computer è un oggetto che ci permette l'auto-riflessione. Quando un uomo pretende di essere una donna, quando solo mettere piede in un ambiente ti fa automaticamente sentire più disinibito o più arrabbiato, quando comunicando per via elettronica riesci a ristabilire una relazione con un genitore allora stiamo davanti alla riproduzione di classiche situazioni psicoanalitiche». Bene dunque alla politica virtuale, al sesso virtuale... «Ho fatto uno studio su un gruppo di giovani che si sentono molto attivi nella realtà virtuale ma che non votano e lo trovo estremamente preoccupante. Lo stesso vale per la fuga in un altro corpo virtuale, ma quando per esempio cambiano sesso on Une accadono fenomeni molto interessanti». Per esempio? «Travestiti da donne, gli uomini sperimentano ben presto che cosa significa la molestia sessuale. Le donne di colpo vengono ascoltate con più attenzione, ma molte di loro dopo un po' si lamentano. Appena hanno bisogno di un aiuto tecnico nessuno si fa più avanti e finiscono invece per ricevere solo pernacchie. Ci illudiamo che stiamo facendo qualcosa con un computer, ma in realtà stiamo risvegliando le fantasie e le vulnerabilità emotive nostre e della comunità del cyberspazio». Lorenzo Soria Davanti allo schermo siamo diventati parte di una nuova comunità con milioni di individui Davantisiamo ddi una ncon milica rappresentazione passa attraverso lo schermo del computer. Il cyberspazio è diventato la metafora di un modo diverso di per fare le Sherry Turkle insegna sociologia della scienza al Massachusetts Institute of Technology

Luoghi citati: Boston, Italia, Massachusetts, Parigi