L'altra verità su Ustica
L'altra verità su Ustica L'altra verità su Ustica O davanti a me due libri: il neonato «Dossier su Ustica», redatto dai generali che da anni sono additati come i responsabili del fattaccio, e l'ultimo numero di «Foreign Affairs», una bellissima rivista bimestrale americana. Il dossier su Ustica è stato presentato ieri alla Stampa estera a Roma, corredato di allegati e da un emozionante filmato. E' un «libro bianco» che mette insieme in modo asciutto documenti, cronologia e fatti. E i fatti, da quando il governo italiano si è degnato di spendere i soldi necessari per riportare a galla i resti del Dc-9 che si disintegrò lentamente in cielo il 27 giugno 1980 con 81 poveri nostri concittadini, dimostrano in maniera assolutamente certa, non controversa e definitiva che non ci fu alcuna battaglia aerea (non c'era un aereo nel raggio di oltre cento chilometri), né collisione. Resta in piedi come unica ipotesi attendibile quella della bomba a bordo. Cosi dicono i tecnici e gli esperti nazionali ed internazionali che hanno lavorato sul «testimone», cioè il relitto stesso. Ma un aereo colpito da una bomba interna emoziona molto meno, e ripaga malissimo lè attese, di un aereo abbattuto r^nel corso ^jHUì^K-^ame **■ con il cuBb^rso'flH'reorjgattro superpotenze. Prova ne sia che ancora oggi chiunque si azzardi a dire (leggendo le carte) che quell'aereo non fu tirato giù da un missile americano o francese, viene immediatamente additato al pubblico disprezzo. Approfitto quindi del titolo di questa rubrica per dichiarare, fuori dal coro, che tutti coloro i quali nutrono dubbi, o peggio terrificanti certezze su quel delitto (perché certamente fu un delitto), hanno una splendida occasione per sfidare la verità ideologica, leggere i documenti che sono a disposizione di chiunque li voglia, e farsi un'opinione ubera, personale, affrancata da ideologismi e verità prefabbricate.- La questione delle verità prefabbricate conduce all'ultimo volume di Foreign Affairs sul quale si dibatte un tema scandaloso: se davI vero esista un rapporto gaI rantito fra libertà e demo- crazia. La provocazione nasce da un saggio di Fareed Zakaria intitolato «The Rise of Illiberal Democracy», la nascita della democrazia illiberale, e consiste in un sospetto: vuoi vedere che la sola democrazia (partiti, elezioni, Parlamento) non basta per garantire la libertà, e che possono esistere forme autoritarie e illiberali sia pure in una purissima democrazia? Zakaria è arrivato a sostenere che è preferibile un dittatore «liberale» come certi principi illuministi settecenteschi, a certe democrazie formalmente ineccepibili ma che di fatto sono soffocanti promotrici di conformismo e piatto opportunismo. Rispondono ora alcuni illustri politologi come John Shattuck e Brian Atwood per respingere la provocazione: la loro risposta, «Defending Democracy», sostiene prevedibilmente che demc«rAzia^vlibaj5tà.^nutrano Tuna àè¥m£?Wmrè certamente vero anche se appare chiaro che non sempre l'una garantisce l'altra. In altre parole: è oggi impossibile avere libertà senza democrazia, ma è facilissimo avere la democrazia con una libertà umiliata e vigilata: Estremo Oriente e America Latina offrono esempi notevoli di questo fenomeno. La cosa merita una riflessione proprio quando abbiamo di fronte il problema della libera e completa circolazione delle idee, delle opinioni e delle verità di fatto, che è la questione centrale dell'esercizio della libertà: come fai a scegliere Uberamente un'opinione se non sai come stanno le cose e non corri il rischio di perdere la testa sotto la mannaia delle verità precotte dal conformismo dominante (non importa se di destra o di sinistra)? La provocazione merita ascolto. Paolo frizzanti inti |
Persone citate: Brian Atwood, Fareed Zakaria, John Shattuck, Zakaria
Luoghi citati: America Latina, Estremo Oriente, Roma, Ustica
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