La donna che non diede lo schiaffo di Gabriele Romagnoli

La donna che non diede lo schiaffo DALIA PRIMA PAGINA La donna che non diede lo schiaffo Una credibilità subito sfiorita, come una rosa JSk NEW YORK Jfjfo BBANDQNATI gli uomi- MPHftni ai loro priapici o infantili trastulli, restavano le donne. Se ne salvasse una. Kathleen Willey, dicono. Lei sì. Se una così accusa Clinton, lui è davvero nei guai. Certo, se confrontata con Paula Jones, questa è un'anima splendente, ma a rileggere tutta la storia, eccola che lentamente si offusca, fino a diventare un'altra delle tante caratteriste di questa infinita commedia che costringe i corrispondenti esteri e i bambini indigeni a consultare ogni mattino il vocabolario per scoprire il significato di termini che gli uni e gli altri non pensavano di dover conoscere leggendo i giornali o guardando la televisione. Il debutto pubblico di Kathleen Willey, con l'intervista alla Cbs, ha segnato, dicono, una svolta nella vicenda. Con le varie Gennifer, Paula, Monica eravamo alla fase «bimbo» (traduzione dal dizionario Cambridge: giovane donna considerata attraente ma poco intelligente), ora siamo di fronte a una donna vera, matura e affidabile. Oltretutto, non sospettabile di far parte della «cospirazione destrorsa», evocata da Hillary, perché da sempre attivista democratica! E' quello che tutti abbiamo sperato vedendola apparire in televisione domenica sera: elegante nel suo abito scuro con i fiori bianchi sul taschino, nel volto piacevolmente segnato da un paio di rughe accanto agli occhi tristi, nel sorriso mai beffardo, che le scaturiva come un dovere e non come una rivincita. L'abbiamo ascoltata nella rievocazione dell'incontro con Bill «Mani di forbice», il Presidente che taglia corto sui preliminari, abbiamo visto apparire e scomparire sullo scaffale quella tazza di caffè che era l'unica frontiera tra loro, abbiamo immaginato, attraverso le sue parole, l'abbraccio di Clinton e l'imbarazzo della signora Willey, l'approccio degno di un cecchino appostato nei corridoi accanto al bagno nelle balere di Cesenatico, abbiamo perfino condiviso e soppesato il suo dubbio: «Si può schiaffeggiare il Presidente degli Stati Uniti?», pur giungendo a una differente, affermativa, risposta. E da lì, forse, sono cominciati i dubbi. Adesso che tutti gli spettatori sospettosamente silenziosi nelle puntate precedenti, dalle femministe ai repubblicani, si levano in difesa di Kathleen, i dubbi aumentano. Certo che non è una «bimbo»: è la zia, raffinata e sfortunata, di Monica Lewinsky, l'ala di rappresentanza della famiglia. Cinquantun anni, da Richmond, Virginia. Socialmente elevata (c'era bisogno di appurarlo?) dal matrimonio con un legale di ricca discendenza. Socialmente abbassata dal declino delle maritali fortune, culminate con il furto di 750 mila dollari ai danni di un cliente. Sospinta a chiedere il primo lavoro retribuito della sua vita dalla firma apposta a una cambiale del consorte. Arrivata all'Ufficio Ovale per do¬ mandare, in sostanza, una raccomandazione. E non esattamente a un funzionario di medio livellò. Resa vedova quello stesso giorno, poche ore più tardi, da un proiettile che il marito infliggeva al proprio cervello, Kathleen Willey trascorse la prima notte di lutto molestando con minacce telefoniche i clienti del marito, accusandoli di averlo spinto nella tomba, versione dei fatti non proprio accurata, né credibile. Nella primavera successiva a quel novembre '93 ebbe il desiderato incarico alla Casa Bianca, anche se non è chiaro se le fu concesso per generosità dello staff o per comprarne il silenzio. L'unica certezza è che lo accettò e che le fu tolto dieci mesi più tardi perché c'era bisogno di qualcuno con superiori conoscenze, il che accentua la contraddittorietà dei comportamenti sia dell'Amministrazione che della signora Willey. La quale, frattanto, aveva scritto all'uomo che avrebbe voluto (o dovuto?) schiaffeggiare lettere che cominciavano con «Ti ho pensato così tanto ih questa settimana», continuavano con «so¬ no la tua sostenitrice numero uno» e finivano con «Affettuosamente, Kathleen». La quale, poi, si faceva avanti per nuovi incarichi, niente di speciale, qualcosa di appropriato: «Magari un posto da ambasciatore». La quale, infine, taceva sul «temerario assalto» del 23 novembre 1993 per presunta lealtà alla causa, salvo cedere nel momento decisivo, davanti agli investigatori del caso Jones o alle telecamere della Cbs, riattizzando ad arte il fuoco della «nipotina» Monica che andava spegnendosi. Poteva essere un gol clamoroso nella rete di un Clinton ormai barricato in difesa, invece il contrattacco della Casa Bianca, con la diffusione delle lettere, è risultato vincente e oggi, ancora una volta, i sondaggi segnalano che la gente è col Presidente. Non perché gli creda, attenzione. E' che la verità è ormai lontana e improbabile come l'asteroide che doveva distruggere la Terra, una questione per astronomi o filosofi della scienza. Nessuno crede a Clinton. E' probabile che le cose siano andate in un modo più prossimo a come le racconta Kathleen Willey, ma perché si dovrebbe smontare una presidenza in omaggio a una signora così profondamente offesa che due anni dopo, tornando da una «missione diplomatica» (ma il mio dizionario traduce «viaggio premio», a qualunque titolo) in Indonesia scriveva al «caro Presidente»: «Mi sono fatta tanti nuovi amici di tutto il mondo e ho anche passato due giornate nella foresta e a far tuffi nell'atollo corallino: esperienze che non dimenticherò mai, grazie, spero di vederti la prossima settimana»? Non è più questione di credere. E' questione di credibilità, nella vita, fuori dall'Ufficio Ovale. Per mandare Clinton definitivamente a spasso con il suo cane l'America aspetta una donna vera, una per cui ci si possa commuovere, una che lo schiaffo, a «Mani di forbice», gliel'abbia tirato senza pensarci due volte e poi gli abbia scritto: «Mister President, non ci provi mai più». I legali di Paula Jones cercano di convincere a testimoniare Elizabeth Ward, Miss America 1982. Kenneth Starr si prepara a interrogare un'attricetta di New York. I corrispondenti esteri tengono a portata di mano il dizionario. Clinton sopravvive a se stesso. Gabriele Romagnoli Per mandare Clinton a spasso l'America vuole una donna vera che il ceffone l'abbia tirato e poi abbia scritto: Presidente non ci provi mai più

Luoghi citati: America, Cambridge, Cesenatico, Indonesia, New York, Richmond, Stati Uniti, Virginia