Così Cossiga riaccende l'Udr di Paolo Guzzanti

Così Cossiga riaccende l'Udr Così Cossiga riaccende l'Udr «Comincio dal Parlamento, poi si vedrà» RETROSCENA LA STRATEGIA DEL PICCONATORE ** **. .*' ^ " »r* ,^44 '■' VADUZ DAL NOSTRO INVIATO c •• ..nq '.- I...-.- ir In Europa, in Europa, è l'ultimo grido di Cossiga. Accanto a lui con gilet rosso, Rocco Bultiglione che quest'anno tiene le sue lezioni di filosofia in inglese. Li seguo entrambi dall'Italia solare ma travagliata al piccolo principato plumbeo, piovoso, grigio, ma ordinato come una Svizzera nella Svizzera che si trasforma in un quartier generale di fax, comunicati, e sbalorditive discussioni filosofiche. Chi credeva che Cossiga fosse rientrato nell'ombra dopo aver fatto rumorosamente capolino, ha comunque sbagliato. La mossa di disfare l'Udr appena fatta, forse era stata tattica, chi può dirlo: una sfuriata per far capire a tutti i Mastella che qui comanda lui. Ma dopo una settimana la nuova creatura è risorta tale e quale: «Sa - mi dice l'ex presidente - adesso ricominciamo dal Parlamento, chi ci sta ci sta, poi penseremo al resto». Quando partiamo per questo viaggio, Cossiga formula il motto di questa sua battaglia, talmente semplice da sembrare banale: o di qua o di là. Che non sia banale lo dimostreranno le reazioni a catena che il vecchio comunicatore mette in moto e mantiene in movimento come quei giocolieri che fanno piroettare cinque o sei piatti e ne aggiungono di nuovi riawiando quelli che minacciano di cadere. Ha deciso di puntare subito sull'Europa, perché fra un anno si vota e sarà allora che tutti dovranno decidere da che parte stare, non nel senso italiano - o Polo o Ulivo - ma nel senso europeo che vede i popolari europei sul fronte dei liberaldemocratici, e i socialisti sul fronte opposto. Ecco perché ha deciso di tormentare Prodi e Marini intimando loro di dire, non all'istante ma fra qualche mese, se intendono stare di qua o di là. Sia a Prodi che a Marini ripete: puoi essere un Kohl o un Jospin. Sembra Bonaparte quando diceva ai suoi ufficiali che avevano il bastone da maresciallo nello zaino, purché vincessero. Ma il discorso è diretto prima di tutto a Berlusconi che ha smesso di combattere contro di lui e di fatto si arrende ai fatti. Cossiga legge su televideo alle 16,30 di domenica la fine delle ostilità del Cavaliere che ammette ciò che prima negava: primo punto, il Polo da solo non vince se non si allarga verso il centro. Secondo: Forza Italia rompe il patto d'unità d'azione con Alleanza nazionale, trovando che Fini è troppo affamato di legittimazione a sinistra e di fatto un D'Alema-dipendente. Cossiga legge sull'enorme televisore della sala vip all'aeroporto di Ciampino. Sa che è fatta. Rocco Bottiglione è prudente, ma ricorda che Gianni Letta l'aveva detto: vi spaccheremo i gruppi e i partiti, faremo fuoco e fiamme per impedirvi di fare l'Udr, ma se riuscirete a farla lo stesso, reagiremo da persone sensate. Tratteremo. Il punto di svolta è passato ed è anche l'ora dell'imbarco sul Gulfstream con il piano di volo approvato per Zurigo. Roma splende di sole, la Svizzera attende nella pioggia. Cossiga si slaccia la cravatta e dorme subito dopo il decollo. Poi una limousine diretta nel piccolo principato. A Zurigo sale anche il rettore della Philosophische Akademie, il professor Joseph Seifart, docente di epistemologia, metafisica e antropologia, come Buttiglione è un amico personale del Papa. Un'ora per arrivare in un ristorante messicano di Gafiei, al confine svizzero. In macchina Cossiga detta una risposta a Berlusconi insieme a Buttiglione: interessati alla sua proposta, valuteremo meglio più tardi. Fuori fa un freddo cane, pioviggina: acqua e nevischio. Il ristorante messicano sembra una bizzarria in mezzo alle montagne, anzi lo è. Fra una tortilla e l'altra Cossiga trova modo di lodare II senso dello Stato di Edith Stein, e racconta di averlo regalato al recluso Toni Negri. Da questo momento si scatena un duetto, mezzo in tedesco e mezzo in lingua patria (il tedesco per cortesia verso gli ospiti) sulla filosofia cattolica liberale. E la filosofia liberale in sé e perse. Buttiglione ricorda che Husserl chiese alla Stein se volesse diventare sua assistente, e che lei accettò. Dice: «Ne parlò con Heidegger...». «Heidegger - interrompe Cossiga fu un mascalzone: un vero mascalzone che perseguitò Husserl in tutti i modi perché era ebreo e non andò neanche ai funerali di sua moglie». Il senso di questa rivisitazione filosofica è legato al fatto che in macchina Cossiga aveva parlato a lungo delle sue visite a Dachau e ad Auschwitz Birchenau, citando a memoria una ventina di illustri nomi di vittime fra cui l'illustre psichiatra Victor Frankl. A me, che ascolto, sembra che il senso politico sia chiaro: i conti con il nazismo e il fascismo non sono chiusi, la memoria non è archiviata. Il nuovo motto di Cossiga nei confronti di Fini (che lui stesso sdoganò da presidente della Repubblica) è: distinti e distanti. Questo sembra il momento della massima distanza. Cossiga e Buttiglione allestiscono una sorta di cabaret-revival della filosofia europea, e più si infervorano in tedesco, più prende corpo questa centralità della questione europea per scollare Berlusconi da destra e portarlo al centro. Così, ecco Cossiga che ricorda come Hannah Arendt fosse stata sedotta da Heidegger, il quale fu molto sgradevole e scorretto con lei, che lo difese generosamente fino all'ultimo, tornando appositamente in Germania per difenderlo. «Certo - dice Buttiglione - resta fondamentale il saggio della Arendt sulle origini del razzismo». «Per non dire di quello sulla rivoluzione», fa Cossiga. E quindi, via sull'ostracismo della cultura totalitaria sui filosofi della libertà: non soltanto la Arendt e Popper, ma Hildebrandt e von Mises. «Alt - fa Cossiga - Von Mises non è cattolico». «Sì, ma è liberale», dice Buttiglione (o forse confondo le due voci negli appunti che mi sforzo di prendere di questo duetto). Come rinunciare a citare Graham Greene che, cattolico, visse more uxorio per una vita con la sua donna. E Francois Mauriac. Sì ai filosofi del dubbio e della decenza, no ai filosofi moralisti i cui epigoni non possono che erigere forche e muri da esecuzione: «Il maestro di morale è fariseo - dichiara Rocco Buttiglione e, non avendo bisogno di misericordia, diventa spietato». Il rettore Seifert annuisce, integra, si avventura in un italiano più che decente, ma Cossiga è scatenato: Europa, Europa, seguita ad esclamare: «Prodi deve decidere da che parte stare, perché nel passato stava con i popolari liberali, non con il fronte delle sinistre». Prodi, toccato dalla mitraglia delle agenzie, replica stizzito che non ci pensa per niente a lasciare l'Ulivo, grazie, perché sta bene lì. Non l'avesse mai fatto: siamo al giorno dopo, ieri, park-hotel Sonnenhof, dove venne anche Solzenicyn quando gli fu conferita da Rocco Buttiglione, allora rettore, la laurea honoris causa. A tavola sta¬ volta ci sono anche alcune pallide signore mogli degli illustri cattedratici. Stavolta Cossiga ha in mano, ricevute per fax, le agenzie con le reazioni di Prodi, di Marini e di altri che dicono no grazie. Lui va a nozze con i loro no grazie: il suo scopo in questo momento è quello di suonare una specie corno delle valh in cui grida sempre la stessa musica: sarete costretti entro un anno a schierarvi, o dalla parte di Kohl, Aznar, Lotard, Giscard d'Estaing, o dalla parte di Jospin, di Schroeder e Tony Blair. Ai vecchi deme^ristiani che considera dei li¬ berali e non dei dossettiani, come Prodi e Marini, suona lo stesso ritornello. Non oggi, ma fra un anno dovrete scegliere. E dovrete dire per quale motivo non andate con i popolari europei, voi che vi dite popolari, i quali popolari europei sono gli antagonisti e non gli alleati del fronte delle sinistre. E giù lunghi elenchi delle frequentazioni passate, delle alleanze contro i comunisti ai tempi di Moro e di Donat-Cattin. Sa perfettamente che queste sono provocazioni, sa che adesso non possono che suscitare infastidite ripulse, ma è questa la guerriglia che ha scelto di combattere: un mordi e fuggi, sempre elogiando D'Alema il quale viceversa 10 tratta a pesci in faccia («mi sento molto onorato per il fatto che D'Alema sia il campione italiano della scelta socialista»), e sempre usando questo suo tono spagnolesco e ottocentesco, da fioretto e cerbottana, ora ripetitivo, ora un po' ipertrofico, ma meonfondibile. E sempre aggiungendo: Europa, Europa. Buttiglione spazza il campo della sinistra de: «I democristiani di sinistra - dice - sono figli di Jacques Maritain e della filosofia cattolica degli Anni Trenta, quando i cattolici scelsero di combattere il fascismo senza combattere contemporaneamente il comunismo: i fascisti erano per loro da combattere come nemici, i comunisti da moderare come campioni di una preoccupante ma lodevole intransigenza. Finita la guerra, e il fascismo, il cattolicesimo ci mise qualche Papa e qualche enciclica prima di dare un colpo di barra, riconoscendo che 11 primato da inseguire è quello della libertà, attraverso la quale si ottiene la giustizia». Significato politico: l'attuale intensa relazione fra ex fascisti di Alleanza nazionale e post comunisti del pds e i cattolici di sinistra, rimette di nuovo insieme giustizialisti e moralisti patibolari, fascisti alleati dei nazisti di Auschwitz e comunisti delle foibe tirine. Un nome è frattanto scomparso dai discorsi della tavolata: quello del cavalier Silvio Berlusconi. Fa capolino una sola volta quello dell'onorevole Clemente Mastella da Ceppaloni, introdotto da un flash d'agenzia. Il fax macina comunicati, ì cellulari piangono con pigolìi discreti, a quanto sembra una sorta di Grosse Koalition fra laici e papisti. Paolo Guzzanti Qui accanto: Rocco Buttiglione A sinistra: l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga In alto: il leader di Forza Italia Silvio Berlusconi e il presidente del Consiglio Romano Prodi