Divisi sulla «lettera a un ebreo» di Sergio Romano
Divisi sulla «lettera a un ebreo» Divisi sulla «lettera a un ebreo» Romano: non mi pento. Lerner: tesi vecchie DIBATTITO UN LIBRO CONTROVERSO GTORINO RAZIE al cielo esiste ancora un paese dove è possibile parlar male degli ebrei, ed è naturalmente Israele», scrive Sergio Romano nella sua «Lettera a un amico ebreo» uscita da Longanesi. Un pamphlet tanto elegante nel linguaggio quanto spregiudicato nella sostanza, che accusa il mondo ebraico di avere confiscato per sé il concetto di genocidio, facendone una categoria fuori dalla storia, per giustificare lo Stato sionista. Ma il libro esce in Italia, dove la possibilità di un dibattito come Romano lo vorrebbe è ancora problematica, condizionata da troppi sensi di colpa; e, per gli ebrei che quella tragedia hanno vissuto, troppo dolorosa. Aveva messo nel conto, l'autore, le reazioni che avrebbe provocato con le sue tesi? «Certo, mi aspettavo qualcosa. Non era nei calcoli, non nella strategia. Da alcuni lettori, anche ebrei, sono stato capito, da altri frainteso. Ho avuto una serie di reazioni emotive, le più difficili. Perché a un argomento si può replicare con un altro argomento, alle emozioni non sì replica. Ma se la^tìomanda sottintende mi "Si è pentito?" rispondo di no». i Non si è pentito affatto, Sergio Romito, come fia mostrato ieri, nell'incontro alla Cassa di Risparmio torinese, affollata di un pubblico curioso e in parte sospettoso, e circondato da tre interlocutori ebrei. Non si è pentito nemmeno con l'amico ebreo reale, l'ex diplomatico, politologo e scrittore Vittorio Dan Segre, al quale il libro è dedicato. «Mi aveva datò il testo prima di pubblicarlo, cortesemente. Io gli ho mandato le mie osservazioni, dove non ero d'accordo», ci dice,E Romano ne ha tenuto conto? «NO». : L'amico ebreo non rompe l'amicizia, come una' lettrice gli ha suggerito. Si limita a manifesta¬ re il proprio dissenso, presentandosi, con parole di pietra, come ebreo, integralista e sionista. Ebreo perché circonciso; integralista perché «cerco di essere il più integro possibile con ciò in cui credo, senza imporre le mie convinzioni agli altri»; sionista perché «solo il nostro movimento di liberazione ha posto fine non all'odio contro gli ebrei, ma alla caccia all'ebreo». E non può accettare, nelle parole di Romano, la critica all'ortodossia ebraica, giudicata dallo scrittore amicò come un fossile storico, la più retrograda fra le religioni. «E' un giudizio che gli viene da mancanza di conoscenza». Anche Paolo Mieli confessa di avere,avuto più di un sobbalzo, leggendo il libro. «Capisco che si possa fare fatica ad accettarlo. Io stesso, per la parte di ebreo che.è in me, posso essere tentato di respingere questa provocazione. Ma in Israele si sono pubblicate critiche ancora pitftbrti sulla storia ebraica; al confronto, il discorso di Romano sem¬ bra quasi reticente». E Mieli trova la provocazione utile, su molti punti: come i difficili rapporti fra l'ebraismo e la sinistra, l'atteggiamento ambivalente dell'attuale Pontefice, il perìcolo di un risorgente antisemitismo. «E questo è un libro che combatte, non legittima, i nuovi antisemiti». Più sostanziali le crìtiche di Gad Lerner, che non accetta il fastidio manifestato da Romano per «il patto di mutuo soccorso» fra l'ebraismo e la sinistra in Italia. Lerner si fa portavoce del malumore suscitato dal libro nella comunità ebraica torinese. «Molti miei amici ebrei mi hanno detto: approfitta della situazione per andare U e cantargliele - esordisce -. Non lo farò, perché il libro ha dato un buon contributo alla discussione». Ma, dopo ;djgci parole,tfaa già definitole tesi ai Romano «vecchie, datate»; polemizza con la «distanza laico-elitaria» dell'autore verso la religiosità ebraica; definisce «accidioso» il confronto fra la cultura di cui Romano è esponente e l'ebraismo. Soprattutto cerca di spiazzare l'antagonista sventolando il documento pontificio appena uscito, che ammette le colpe storiche dei cristiani verso i fratelli maggiori ebrei. Quando il laico Sergio Romano ha sempre distinto l'antigiudaismo religioso della Chiesa, «esecrabile, ma non responsabile dell'Olocausto», dall'antisemitismo che ha portato alla strage. Romano non dimentica di essere stato un diplomatico, applaude il suo contraddittore. E non è meno duro di lui, quando attacca la «koiné internazionale di sinistra», che non perdonerebbe mai al Sud^AfKea* al C^e o agli.Stati Uniti quello .che.consente a Israele* nei territori occupati. «Io ho il diritto di essere filo-israeliano, perché sono per la Realpolitik, L'intellighentzia progressista no». Non concede nulla, l'amico dell'amico ebreo. Giorgio Calcagno In alto, il cardinale Edward Cassidy, presidente della commissione che ha redatto il documento. A fianco, una deportazione di ebrei
Luoghi citati: Israele, Italia, Stati Uniti
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