L'ETÀ' DELL'INNOCENZA ALLA RAI di Gianni Vattimo

L'ETÀ' DELL'INNOCENZA ALLA RAI della Memoria a cura di Renato Scagliola L'ETÀ' DELL'INNOCENZA ALLA RAI Negli Anni 50 il seno era tabù e lo scimpanzè aveva le braghette CHE cosa poteva succedere in una cittadina come Moncalvo d'Asti quando un suo abitante di 22 anni (lo scrivente Massimo Scaglione, regista), vinceva un importante concorso alla Rai-Tv? Si era nel 1955 e pochissimi possedevano il fatato apparecchio, che invece era bello troneggiarne nei vari bar. Prima delle trasmissioni serali una gentile signorina (Marisa Borroni o Fulvia Colombo o Maria Teresa Ruta) notificava che la Radiotelevisione italiana aveva bandito un concorso per personale artistico. Invitava coloro che pensavano di avere i requisiti ad inoltrare regolare domanda fornita di certi documenti e mio padre capostazione di Moncalvo pensò subito che io quei requisiti ce li avevo e fece lui addirittura la domanda... In breve, superai la prova scritta, poi la prova orale, poi il saggio finale ed infine venne l'assunzione: sei mesi in prova e poi, se andava bene, assunzione definitiva in quello che allora poteva davvero essere considerato una sorta di Eldorado: 125 mila lire mensili, che nel '55 potevano considerarsi una vera fortuna! Con altri trentanove - tra i quali nomi quali Fabiano Fabiani, Sergio Silva, Giovanni Salvi, Folco Portinari, ecc.. feci il corso a Milano e poi chiesi il trasferimento a Torino. Non avevo nessun santo in paradiso e perciò subito mi fu affidato l'incarico di assistente di studio, una sorta di aiuto regista che doveva tenere i contatti tra lo studio e la regia. Fui dotato di una cuffia per sentire gli ordini dalla regìa: rosso, sudato, con il cavo che mi si avvolgeva intorno come un serpente, sopportai le urla in cuffia, gli ordini isterici del regista e della segreteria di produzione, le imprecazioni per le posizioni sbagliate e le corse folli dallo studio al terzo piano per sentire, al termine dell'avventurosa messa in onda, «che cosa avrebbe detto Roma». Eh già, perché Roma al termine di ogni programma faceva sentire via cavo la sua voce per rimproverare, muovere appunti ed ottenere assicurazioni che «non sarebbe successo mai più...». Si era in un periodo di grande morabsmo ed a me «corsaro» di fresca nomina era affidato un compito importantissimo: quello di far sì che nessuna partecipante femmina mostrasse di avere il seno! Ogni studio era dotato di un enorme cestone con fiori finti di ogni misura, da mettere brutalmente nelle scollature di ogni cantante, attrice, presentatrice, ospite. La parola d'ordine era ferrea: neutralizzare ogni pos- sibile presenza del seno, pena lettere di rimprovero e anche multe. E che il sesso fosse tabù lo si vide inevitabilmente quando una trasmissione condotta dalla professoressa Anna Maria Di Giorgio venne oscurata prima della fine. Che cosa era successo? Per dimostrare certe analogie tra lo scimpanzè e l'uomo, la professoressa Di Giorgio (affiancata da un Gianni Vattimo biondo e pimpante) aveva fatto portare in studio un giovane scimpanzè. Si fecero le prove senza le luci e tutto fu tranquillo. Appena si accesero i riflettori, il piccolo scimpanzè si eccitò con grande divertimento dello studio ma con una grande preoccupazione dei nostri dirigenti. Che fare? La trasmissione era imperniata su di lui e quindi dopo una breve riunione si pensò di dotare l'animale d'un bel paio di brachette. La sarta Anna Vauda- gna gliele confezionò all'istante, il povero animale non fece rimostranze e se ne stette tranquillo con la insolita mise. Intorno alle ventidue la trasmissione iniziò e tutto filò liscio fino a che fu introdotto l'animale. La Di Giorgio suadente lo accolse, le luci fecero il resto e il sesso dello scimpanzè esplose clamorosamente superando la lunghezza delle brache! Imbarazzo divertito di Vattimo, urla di tradimento dalla regìa, telefonate minacciose da Roma e dal direttore di sede e così, mentre la Di Giorgio serafica continuava a parlare, la trasmissione venne sospesa bruscamente, mentre il telefono tra Torino e Roma impazziva e qualcuno chiedeva la testa di qualcun altro. In mezzo a tutto questo trambusto le luci si erano spente e lo scimpanzè tranquillo (aveva naturalmente anche eiaculato) se ne stava in pace sul tavolo... Ma in diretta tante cose potevano succedere. Anche, per esempio, il fatto che dovevamo tener conto del panico che coglieva anche gli interpreti più affermati. L'annunciatrice Maria Teresa Ruta stava già annunciando la commedia in programma (un giallo ambientato a Londra) quando ci accorgemmo che in studio non c'era l'attore Franco Coop che era di prima scena: lo cercammo in camerino, nulla. Intanto era terminato l'annuncio e scorrevano già i titoli di testa... Venne l'usciere a dire che aveva visto Coop in costume uscire in via Montebello. Immediatamente scattò l'emergenza: si impartì l'ordine di rallentare il rullo iniziale e si disse alla comparsa che doveva passeggiare vestito da policeman di continuare a farlo sino a nuovo ordine... Franco Coop, vestito in costume, in preda ad un sano terrore, correva in via Montebello verso l'albergo Sitea, per sfuggire al pericolo della diretta. Un piccolo manipolo di coraggiosi lo acciuffò e lo riportò di peso in studio, quasi in tempo per entrare e finalmente dare il via alla commedia... Certo, il clima della diretta era quasi sempre di grande tensione ed era scandito da un inizio («Pronti annuncio, via annuncio!») e da un riannuncio finale davvero liberatorio. Ma la tensione lasciava lo sDazio anche a qualche scherzo di cui il telespettatore non si accorgeva. Come quando il bravissimo e temperamentoso (e magari un tantino alticcio) Vigilio Gottardi nel serial per ragazzi «Il marziano Filippo» decise che l'attore quasi debuttante Oreste Lionello gli stava antipatico e perciò in una scena in cui lo doveva rimproverare si fece prendere dal gran temperamento ed incominciò a picchiarlo selvaggiamente, fino a che il povero Lionello riuscì a fuggire dalle grinfie dell'esuberante interprete! E quando la moglie di Rizzoli, la bella Liuba Rosa, faceva la figurante negli studi torinesi? E quando ad Emilio Fede, comunque, si doveva attribuire una rubrica in ogni programma che si realizzasse in studio? E quando il tecnico Borghi sbagliò a mandare la musica in un balletto di Susanna Egri e la brava coreografa se la cavò ugualmente malgrado l'incidente? E quando uno scherzo feroce convocò per un'intervista gli assistenti, tutti!, del prof. Dogliotti, e ovviamente era una «bufala»? I ricordi si affollano, le tensioni erano tante, ma quando poi si usciva a «rivedere la luce», era anche una grande soddisfazione, no? Massimo Scaglione Gianni Vattimo e Giuliana Calandra negli studi Rai in una trasmissione del195S

Luoghi citati: Londra, Milano, Moncalvo, Roma, Torino