RILEGGI LA BIBBIA NEI ROMANZI E RICONOSCI IL TUO DESTINO di Marco Belpoliti

RILEGGI LA BIBBIA NEI ROMANZI E RICONOSCI IL TUO DESTINO RILEGGI LA BIBBIA NEI ROMANZI E RICONOSCI IL TUO DESTINO Dalla Genesi al Giobbe di Roth: un saggio di Boitani RISCRITTURE Piero Boitani il Mulino pp. 244 L. 30.000 ALLACE Steveus, il grande poeta americano, ha sintetizzato in una mirabile poesia, The Plain Sens of Things, il problema della conoscenza così come si è posto agli uomini di questo secolo: «Cadute le foglie, ritorniamo / a un senso ordinario delle cose. E' come se / avessimo esaurito l'immaginazione, / inanimi in un savoir inerte /(...). Eppure l'assenza d'immaginazione doveva essere immaginata». Il critico Frank Kermode ha interpretato quel senso ordinario, quel vuoto o sapere inerte, come la nuda littera della conoscenza da cui partire nell'esegesi del mondo. In verità, scrive, «il senso piano non è accessibile al senso comune. Questo è il motivo per cui è stato possibile dire: 12 sensopiano è nascosto)). La doppia citazione si trova a circa metà di un libro di Piero Boitani, Ri La doppia citazione si trova a circascritture, dedicato a cinque episodi biblici e ai loro rifacimenti medievali e moderni, un libro in cui la sottigliezza dell'analisi e la ricchezza dei riferimenti culturali è pari alla scioltezza della scrittura e alla sicurezza del racconto. Il libro si apre con la rivisitazione di due episodi biblici: l'incontro tra Abramo e Jahweh nel capitolo 18 della Genesi e la celebre vicenda di Giuseppe e i suoi fratelli, entrambi imperniati sul tema del riconoscimento, sulYagnizicne, figura teatrale prima ancora che romanzesca, ma anche, scrive Boitani, figura in cui si congiungono vita e letteratura. Egli ci ricorda infatti che la conoscenza è sempre una ri-conoscenza, o come dice il titolo del libro, una ri-scrittura: «il déjà-vu, il già-sognato, il ri-conoscere sono anche sentimenti del narratore», che ha «già raccontato tutto questo un'altra volta». Il senso di confidenza e famigliarità con la vita, sosteneva Freud, si fonda sul desiderio di ritrovare l'antico e di reperire nell'individuale il tipico. In questo Boitani non scopre nulla di nuovo: proprio a questo meccanismo si affidano numerosi autori contemporanei, non tanto e non solo quelli che riscrivono storie già note (Tournier, Sara- mago, Mailer, Heller, Perec, Calvino), ma quelli che lavorano direttamente sul piacere del riconoscimento come pulsione centrale dell'essere umano mediante l'esibizione del riconoscimento stesso, assunto a forma di racconto costruito intorno a collage di riconoscimenti. Tuttavia - e qui sta la vera riscoperta di questo libro - il riconoscimento contiene un mistero, qualcosa di insondabile a cui nessun collage può avvicinarsi, e che Boitani attribuisce al «divino». Con questo termine l'autore non allude a qualcosa di religioso, ma chiama in causa il problema dei segni che rendono possibile l'agnizione; sono quei gesti, parole, eventi che mettono in causa la propria responsabilità personale, in assenza della quale, scrive Boitani, non solo nel testo biblico, ma anche nei grandi romanzi, l'agnizione si trasforma in méconnaissance che spalanca di colpo la via della rovina. L'autore parla di divino perché tutti i suoi testi si muovono nell'ambito biblico, ma, per quanto riguarda il romanzo, si dovrebbe evocare la figura del destino, l'idea che ogni personaggio (e dunque ogni lettore che si ri-conosce in lui) è portatore di un preciso destino che si compie solo attraverso il riconoscimento. Non è tuttavia un caso che questo libro così sottile, imperniato su una rilettimi laica della tradizione ebraica e della serie delle sue successive ri-scritture, si chiuda su uno dei più commoventi libri del Novecento, Giobbe eli Joseph Roth, che Boitani ri-racconta mantenendone intatto il pathos e la suspense; le pagine finali del quinto capitolo (Riconoscere è un dio) si chiudono su una lettura post-religiosa del romanzo di Roth, nell'agnizione tra un padre e un figlio, il quale esclude dai propri racconti di riconoscimento la presenza di Dio. La storia della salvazione del figlio non possiede nel racconto di Roth niente di sacro, per quanto contenga un mistero, un elemento irriducibile alla pura spiegazione (il senso ordinario di Stevens). La nostra cultura contemporanea è tutta imperniata sull'interpretazione (ogni cosa, si dice, ha una sua spiegazione) e ha obliato l'importanza del ri-conoscimento inteso non tanto come ritorno al passato ma quale forma di responsabilità aperta - come in Giobbe all'attesa della speranza. Marco Belpoliti RISCRITTURE Piero Boitani il Mulino pp. 244 L. 30.000