Algeri-Rabat, nel deserto della discordia

Algeri-Rabat, nel deserto della discordia Sale la tensione per il Sahara occidentale nell'anno del referendum che ne deciderà la sorte Algeri-Rabat, nel deserto della discordia «Il Marocco complice del Già». «No, voi preparate la guerra LE SABBIE CONTESE LAAYOUN DAL NOSTRO INVIATO Cognome: Laroussi. Nome: Abdellatif. Luogo di nascita: da qualche parte nel Sahara occidentale. Lo sheik, il capo tribù, lo soppesa con lo sguardo grave di chi ha appena giurato sul Corano di dire il vero. Poi annuisce: «Conoscevo il nonno di quest'uomo, e anche suo padre. E' sahraoui». I due osservatori marocchini, i due del Fronte Polisario e quello dell'Oua (Organizzazione dell'unità africana) non eccepiscono. Il commissario dell' Onu, che conduce l'interrogatorio, registra il nome nelle liste dei votanti. Abdellatif è stato identificato e potrà partecipare al referendum fissato per dicembre, che dovrebbe decidere la sorte di questo estremo lembo occidentale del Sahara. Di qui l'oceano, di là, apparentemente, il nulla. Ma si sa che nel deserto l'apparenza inganna. Gii arbusti assetati e le dune nascondono la più grande miniera di fosfati del pianeta. E oltre la linea dell'orizzonte, oltre il vallo eretto dai soldati di Hassan II per respingere i guerriglieri, oltre un confine disputato da decenni, c'è l'Algeria. Tra i due fedeli nemici del Maghreb scorre un fiume in piena di diffidenza. E Algeri lo va alimentando. Da settimane giornali vicini al regùne militare accusano Rabat di offrire basi al terrorismo islamico. L'ultimo e stato «L'Authentique», quotidiano vicino al generale Betchin, l'uomo ione della giunta: un «pentito» avrebbe parlato di 28 marocchini membri del Già e di un buen retiro per sgozzatori ad Agadir. E i 300 cani armati che, secondo diplomatici occidentali, Algeri sta acquistando da Mosca per schierarli sulla frontiera marocchina, sembrano la conferma di una strategia della tensione. Segnali che «Maroc hebdo», la voce più autorevole dell'editoria di Rabat, diretto dall'ex editorialista di «Jeune Afrique» Mohamed Selhami, traduce così in prima pagina: «I generali algerini preparano la guerra contro il Marocco». La posta in palio è questa terra di sabbia (e fosfati) che da Tah, antico posto di frontiera tra Marocco francese e Sahara spagnolo, scende fino al Rio de Oro e al confine con la Mauritania. Terra marocchina, a giudicare dalla densità di ritratti di re Hassan II e dei due figli, il principe ereditario Sidi Mohammed e suo fratello Mou)ay Rachid (nessuna traccia delle tre sorelle e della madre): appesi ai lampioni, ai muri delle case, ai cancelli delle fabbriche appena aperte, del centro congressi inaugurato or ora, degli ospedab odorosi di vernice. Forte della sentenza della Corte dell'Aia che, pur ribadendo il diritto di ogni popolo all'autodeterminazione, ha riconosciuto unVallégeance», un vincolo tra le sabbie sahariane e la corona di Rabat. Hassan II ha eretto città e ripopolato il deserto, e ora, pur collaborando alla preparazione del referendum di dicembre, non ha alcuna intenzione di «spartire quel che è Nostro». L'ha ribadito nel discorso alla nazione del 3 marzo, 37° anniversario dell'ascesa al trono: «Caro popolo - ha detto sorridendo in tv -, nessuno spùito capace di intendere potrebbe avere dubbi sull'esito fausto di una consultazione, la quale non farà che ri¬ confermare il vincolo storico che lega le popolazione di quelle province al Nostro Trono». Laayoun è la capitale del miracolo di Hassan, programmato per rendere irreversibile lo statu quo sancito dalla Marcia Verde - l'invasione dei 350 mila che nel '75, Corano nel¬ la destra e bandiera rossa con stella verde nella sinistra, riguadagnarono alla dinastia alaouita la colonia ceduta da Franco morente - e macchiato dal sangue di sedici anni di guerriglia. Quando cominciarono le incursioni delle Toyota del Polisario e i bombardamenti dei Mirage ma- rocchini, Laayoun aveva 10 mila abitanti («dieci case e tre bar», scrivevano gli inviati occidentali»); ora sono 160 mila. I nuovi arrivati non potranno partecipare al referendum, ma sono stati loro a decidere il destino della regione: costruendo l'impianto per desalinizzare l'acqua dell'oceano, il porto peri fosfàtiche" un tapis-roulant lungo cento chilometri trascina dalla miniera di Bou Craa all'Atlantico, le fabbriche per la conservazione del pesce, un secondo porto che ha consentito nel 97 di esportare 220 mila tonnellate di sardine e di realizzare l'eterno sogno dei nomadi del deserto, vendere la sabbia: oltre 300 mila tonnellate sono partite verso le Canarie e le sue spiagge finte. Come finti sembrano questi viali che poco fa erano cantieri, con le palme appena piantate e ancora basse come cespugli, che dalla fortezza del «Tercio» spagnolo trasformata in parador porta al quartier generale della Minurso, la missione Onu per il referendum nel Sahara occidentale. Qui l'inglese Robin Kinloch e la responsabile del servizio informazioni, Jacqueline Chenard, francese delle Antille, riordinano i dossier con le genealogie dei beduini, percorrono la ragnatela che lega le tribù del deserto, i Tidrarin e gli Izarguien, i Tekna e i Reguibat, mandano aerei a raccogliere gli sheik incaricati di riconoscere i loro sottoposti, coordinano gli otto centri di identificazione sparsi da Dakhla, la Villa Cisneros spagnola, fino ai campi profughi di Tindouf. Dovranno finire il lavoro entro maggio, o il referendum slitterà ancora. «Ci riusciremo - assicura Jacqueline dai capelli rosso henne - se Marocco e Polisario collaboreranno». «Non solo. La soluzione del rebus del Sahara è nella domanda che mi pongo fin dal '75 interviene Omar Hadrami, osservatore di Rabat -. Che cosa vuole l'Algeria?». Hadrami non è un funzionario qualsiasi. I giornalisti che vent'anni fa arrivavano a Tindouf sulle jeep del Polisario trovavano ad accoglierli la sua barba di guerrigliero, ex studente marxista a Rabat, capo dei servizi segreti degli indipendentisti. Hadrami ha avuto in consegna armi e denaro da Gheddafi e Boumedienne, ha trattato la liberazione degli ostaggi francesi con Jospin e Berlinguer. Poi è passato dall'altra parte. Ora governa la regione a Sud di Marrakech. «Ma ancora non so quel che vuole Algeri. Certo: i fosfati, e lo sbocco sull'Atlantico. Ma la tattica mi sfugge. Quando, su insistenza di Gheddafi, proclamammo la Rasd, la Repubblica democratica araba sahraouie, gli algerini si opposero: preferivano appoggiare un movimento di liberazione che uno Stato. Ora i generali assediati dal Già hanno bisogno di una legittimazione militare al loro potere e di un nemico esterno. E lo cercano, come sempre, sul fronte occidentale del deserto». Aldo Cazzullo Città, porti e industrie sorti in pochi anni tra le dune E' il miracolo di re Hassan per legare il Sud alla corona Gli inviati dell'Orni identificano i sahraoui che parteciperanno alla consultazione di dicembre E il sovrano ribadisce: non spartirò le mie terre Wm. Guerriglieri del Polisario sulla frontiera tra Algeria e Marocco, ai confini del Sahara occidentale