Gli intrighi sullo Stretto di Francesco Grignetti

Gli intrighi sullo Stretto Gli intrighi sullo Stretto Nel mirino il patto mafia-affari Fra i giudici chiamati in causa, anche un esponente della Superprocura che ha difeso il sottosegretario UNA CITTA' SOTTO INCHIESTA SROMA I fa sempre più cupa, l'atmosfera attorno ad Angelo Giorgianni, sottosegretario all'Interno, ex magistrato, diniano di rito dipietrista, figlio prediletto di quella Messina che da qualche tempo sta monopolizzando l'attenzione della commissione parlamentare Antimafia e del Consiglio superiore della magistratura. Ma forse è più corretto dire che l'atmosfera si fa pesante per un'intera città - come sta emergendo dall'inchiesta dell'Antimafia - che appare in mano a un gruppo di potere, ribattezzato «il verminaio». Si parte così da Giorgianni, accusato da Rifondazione comunista di non meritare un posto di governo. E si finisce che tra città, appalti, Università e Palazzo di Giustizia è tutto un groviglio di affari, interessi, coperture, ricatti. E reati. Il tritacarne parlamentare divora personaggi a ripetizione. Prima Giorgianni, che - sostenne per primo Niki Vendola, di Rifondazione - non approfondiva le inchieste, anzi, e intanto costruiva una brillante carriera politica. Veniva scarrozzato da una scorta imponente. Sulla sua villa vigilavano 48 paracadutisti. Lui vantava l'amicizia con Antonio Di Pietro. Ma ora Giorgianni si deve difendere con le unghie e con i denti. E contro il settimanale messinese «Ceutonove», che l'ha preso di mira, è arrivato a chiedere il sequestro «per motivi di ordine pubblico». Pietra dello scandalo è l'inchiesta sulla farmacia del Policlinico di Messina che acquistava le medicine a prezzi maggiorati (il 400 per cento, mica bazzecole) da una società, la Sitel, in cui c'entra la famiglia Cuzzocrea. Guarda caso, il rettore dell'università, nonché ras del Policlinico, si chiama Diego Cuzzocrea. Inchiesta aperta, tenuta ferma per un paio d'anni, poi archiviata da Giorgianni. Recentemente l'ha riaperta il procuratore generale Carlo Bellino che ci ha trovato la bellezza di 73 capi d'imputazione. Storie da Tangentopoli, si dirà. Ora, dato che a gennaio hanno ammazzato un professore di quel Policlinico, Matteo Bottali, e altri due professori sono stati gambizzati, sul Policlinico c'è poco da minimizzare. Se poi si considera che nelle sale ospedaliere si riunivano i mafiosi del clan Sparacio e che un tal Gioacchino Nunnari, mafioso pluripregiudicato, è stato assunto e ha subito provveduto a introdurre in ospedale l'arsena- le del clan (una cosetta ben fatta che ricorda tanto la Banda della Magliana), ebbene, è chiaro perché il ministro Luigi Berlinguer ha mandato in questi giorni un'ispezione nell'Ateneo. Sulla graticola, peraltro, è finito anche il capo di Giorgianni, il procuratore Antonio Zumbo, che è il cognato dello stesso Cuzzocrea, e che avallò la famosa archiviazione. Tra Zumbo e il procuratore generale Bellitto la guerra è feroce. Ma tra magistrati, si sa, le contese non sono mai leggere. Un altro esempio: il procuratore di Patti, Giuseppe Gambino, ha sostenuto di essere stato vittima di una congiura, ordita da Giorgianni e da un maresciallo dei carabinieri, per eliminarlo dalla scena. Con l'ultima infornata di audizioni (l'ex questore Vittorio Vazquez; l'ex sindaco di San Pietro Patti, Tino Santinatoli; il capo dei gip di Messina, Licata; l'avvocato Colonna, l'ex proietto Daloisio) ieri s'è aperto un ennesimo capitolo doloroso. Vengono chiamati in causa altri magistrati, lìsce fuori anche il nome di Giovanni Lembo, sostituto di Vigna, applicato a Messina, che finora aveva difeso il suo amico Giorgianni. Con i commissari dell'Antimafia, Lembo aveva sostenuto che solo di recente si era capito lo spessore malavitoso del costruttore Domenico Mollica. Cioè di un altro esponente della Messinabene. E naturalmente amico di Giorgianni. Tanto amico da aiutarlo nella campagna elettorale. E Giorgianni non nega la sua amicizia con il costruttore. Ma rivendica la sua perfetta buona fede. Altro che scoperta recente, invece. Sono anni che i carabinieri e la polizia segnalano la pericolosità di Mollica. Per sovrappiù saltano fuori le dichiarazioni di un pentito, Luigi Sparacio, che definiva «mezzo mafioso» il costruttore, e in rapporti d'affari con i boss Santapaola e Ercolano. Dichiarazioni alla procura di Messina che risalgono al 1994. Del pentito Sparacio, in seguito, si capirà che non è un buon collaboratore eh giustizia. E' un altro di quelli che racconta solo quello che gli serve, che protegge i suoi, che da collaboratore prosegue imperterrito con le estorsioni e l'usura. Una specie di Balduccio Di Maggio, per intendersi, della Sicilia orientale. Nonostante ciò - hanno sentito dei parlamentari sempre più sbalorditi - al clan Sparacio si permette di tutto e di più. Addirittura una sua cognata, accusata di associazione mafiosa, ottiene da un gip gli arresti domiciliari. Provvedimento contro la legge. Ecco perché, insomma, tutti i commissari Antimafia, a cominciare da Ottaviano Del Turco, insistono che «Messina non merita dei flash, ma riflettori permanenti». Francesco Grignetti

Luoghi citati: Licata, Messina, Patti, Sicilia