L'uomo di Shanghai a Palazzo

L'uomo di Shanghai a Palazzo L'uomo di Shanghai a Palazzo Un grande modernizzatore sul trono di Li Peng PERSONAGGIO IL NUOVO PREMIER CINESE ZHU RONGJI PECHINO DAL NOSTRO INVIATO Entriamo nel tetro monumento stalinista che è l'immenso palazzone dell'Assemblea del popolo, a cercare di sondare qui, alla vetta del potere, atmosfere e vibrazioni dei cambiamenti in corso. Corridoi come autostrade, saloni come piazze, soffitti da palazzo dello sport. Visto dall'esterno e vissuto all'interno, tutto concepito per un potere assoluto, che rimpicciolisce, polverizza l'individuo da lontano e da vicino. In uno dei saloni, conferenza stampa del governatore della banca centrale. Se non fosse per l'ambiente, se non fosse che per arrivar qui si passa davanti al ritratto di Mao sulla Tienanmen, si dubiterebbe di essere nella Cina comunista. Parla di tassi di interesse, di surplus commerciale, di politica del credito, di mutui agevolati per l'acquisto della prima casa; ammonisce le banche a stare bene attente nel finanziare industrie statali, perché lo Stato non interverrà più a ripianare le loro sofferenze; illustra ingenti investimenti pubblici per stimolare i consumi, anche per fronteggiare la crisi asiatica, che significherà meno export e calo di capitali stranieri. E[ espressione della Cina appena fuori di qui, vitale, dedita al business, ma anche sprofondata nell'angoscia e nel dramma della disoccupazione, nelle incertezze di svolte decisive. In questo stesso palazzone in cui la nomenklatura si è da 40 anni autocelebrata, è partito in questi giorni l'attacco contro di essa, con T'annuncio che la metà dei quadri di regime, quattro milioni, mandarini di un sistema costruito sulla pianificazione, ora d'intralcio nel vitale pluralismo economico attuale, verranno mandati a casa. Il tecnocrate Zhu Rongji, 70 anni, non è ancora formalmente primo ministro al posto di Li Peng, ma tutto ciò che sta accadendo porta già il suo segno: niente retorica ideologica, nessun richiamo a santoni e santini, ma concretezza, realtà dei dati economici, determinazione alla trasformazione dello Stato per far ancora avanzare la Cina. Nelle sessioni plenarie non ha pronunciato parola; impenetrabile e accigliato, elegante di modi e portamento, seduto alla sinistra del presidente Jiang Zemin scambia talvolta parola con lui. Non è previsto alcun suo discorso pubblico, ma il suo stile è nell'aria, aleggia in quelli degli altri. E' già l'era di Zhu Rongji. Chi se ne intende sente la sua zampata anche nel rapporto del governo letto da Li Peng. Negli ultimi mesi è apparso raramente in pubblico, concentrandosi sul programma che peserà interamente su di lui dal 19 marzo, quando sarà formalmente nominato premier. Lo diventa in una fase critica e si gioca tutto. Dal '93 è zar dell'economia, ha guidato l'alto sviluppo riuscendo con spietata energia negli ultimi due anni ad azzerare l'inflazione, tenendo anche per un periodo la carica di governatore deÙa banca centrale. Adesso si tratta di andare oltre, nel pieno di una crisi regionale dagli effetti globali e nelle strozzature della trasformazione interna. Senza dirlo, si presenta con un rooseveltiano New Deal per la Cina, puntando a un rinnovamento radicale. La sua azione suscita il ricordo dei «cento giorni del 1898», quando un gruppo di consiglieri del giovane imperatore cercò di rinnovare il decrepito sistema dall'interno. L'imperatrice vedova riuscì con intrighi e eunuchi a impedirlo, ma accelerò il crollo dell'impero e la fine della dinastia. Forse è con tutto ciò in mente che Zhu, all'impegno nell'economia, affianca la calata di scure sulla buro¬ crazia ieri celeste oggi nomenklatura rossa. «Una rivoluzione in cui non possiamo fallire, la più importante da quando a fine '78 abbiamo dato il via alle riforme», è stato proclamato. Come allora nel '78 fu smantellato il maoismo, adesso si vuole smantellare l'economia di Stato, conservando al sistema solo strumenti di intervento macroeconomico come altrove. Nell'attuale dirigenza, il personaggio, noto per la preparazione, la brillante intelligenza e l'autonomia di pensiero, è solo, non ha una sua base clientelare, ed è l'unico che sia passato attraverso tutte le purghe e sofferenze che il maoismo ha inflitto al Paese. Viene da una ricca famiglia di Changsha, capoluogo dell'Hunan, regione natale di Mao. Quando questi prese il potere nel '49, lui era studente di ingegneria elettronica alla prestigiosa Università Qinghua di Pechino, dove si è laureato nel'51. Li Peng, invece, era a Mosca fin dal '48, restandovi fino al '55. Nel '57, il giovane Zhu, funzionario della pianificazione, cadde nella trappola della campagna dei «cento fiori» lanciata da Mao, esprimendo alcune critiche al partito in campo economico. Come milioni di altri fu mandato per anni a rieducarsi in campagna, bollato come destrista. Il marchio fu riesumato per lui nella rivoluzione culturale: di nuovo mandato nelle campagne a fare il guardiano di porci e a pulire le latrine della Comune del popolo. Li Peng, negli stessi anni dal '66 al '76, era segretario del «comitato rivoluzionari» degli enti in cui lavorava. Riabilitato dopo la morte di Mao, Zhu divenne sindaco di Shanghai nell'87, al posto di Jiang Zemin, pro¬ mosso capo locale del partito. Con lui la città è rifiorita, tornando allo spirito di Parigi dell'Est. Con Jiang, riuscì a evitare che in quella città le manifestazioni dell'89 finissero nel bagno di sangue come sulla Tiananmen a Pechino. Quando Jiang nel giugno '89 fu nominato al vertice del partito, Zhu ne prese il posto a Shanghai. Nel '91 fu nominato vice premier, e nel '93 primo vice, assumendo la responsabilità dell'economia, portandovi competenza e risolutezza. Pare che Deng Xiaoping dicesse di lui: «E' l'unico che capisce di economia nella clirigenza». E' noto per il suo decisionismo, l'insofferenza per i rituali. Nelle sue ispezioni in provincia più di una volta ha cacciato seduta stante pomposi boss locali che come al solito vantavano successi fittizi. Coniugato con una compagna di università, ha una figlia sposata in Canada, e un figho educato negli Stati Uniti. Parla un inglese fluente, e si sente che lo ha appreso da giovane. Politicamente cresciuto sulle orme di Jiang, non fa parte della sua cerchia di potere. Comincia l'era di Zhu, ma attorno a lui spirano gli eterni giochi di potere e di palazzo, ^decifrabili giochi di ombre cinesi. Diventa premier mentre si celebrano con pompa i cent'anni della nascita di Zhou Enlai, devoto premier di Mao, sempre numero tre, mentre i numeri due scomparivano. Che le celebrazioni siano per Zhu un monito a che si accontenti di restare numero tre? In questo caso, uno nei panni di Li Peng, ora numero due, avrebbe di che preoccuparsi. Fernando Mozzetti Ex pupillo di Deng, è stato il sindaco della rinascita della capitale economica del Paese Zhu Rongji, primo ministro designato della Cina