Indonesia, il settimo mandalo del Cielo di Domenico Quirico

Indonesia, il settimo mandalo del Cielo Oggi è rieletto leader di un Paese sconvolto dalla crisi economica asiatica e dal malgoverno Indonesia, il settimo mandalo del Cielo Suharto presidente da 30 anni GJAKARTA. Nelle vie di Giakarta, all'ombra spessa dei grattacieli' °88Ì poteva essere ima giornata generosa per i venditori ambulanti. E' festa grande, infatti, si celebra la settima rielezione di Suharto; presidente secondo il banale dettato costituzionale, in realtà reincarnazione degli antichi re di Giava che, periodicamente, rinfrescavano fi mandato del cielo. Quando si affacciò al potere, tra complotti ancora oggi indecifrabili e massacri di comunisti, governavano de Gaulle e Brandt, e Mao vergava il suo libretto Rosso. Adesso nel Guinness della longevità è rimasto solo Castro a insidiarlo. Eppure gli ambulanti mugugnano: il «nasi uduk», il riso fragrante di latte di cocco e di spezie, resterà ad appassire, mesto, nelle scodelle. Perché le porzioni del piatto nazionale sono salito del 50%, e ben pochi vuoteranno le tasche di svalutatissime rupie per banchettare alla salute del leader. I giornali neppure oggi torneranno alla fonazione normale: la carta costa troppo e bisogna tagliare le pagine. Milioni di operai delle fabbriche tessili e meccaniche, rotelle di una modernità che si voleva consolidata ed eterna, torneranno a casa con le mani in tasca. Nessuno accetta le lettere di credito delle aziende indonesiane e spedisce le materie prime; così le catene di montaggio restano vuote e silenziose come templi violati. I dipendenti delle banche, come ogni mattina, rassegnati, telefoneranno a Singapore per scoprire di quanto è crollata la rupia rispetto al dollaro. I commercianti cinesi aggiorneranno per l'ennesima volta i prezzi e affiggeranno alle vetrine un cartello «negozio musulmano»; nella speranza, modesta, che basti a scongiurare pogrom e saccheggi. Sono il 3% della popolazione ma posseggono enormi ricchezze, e a qualcuno è venuta l'idea, non molto originale, di indicarh alla vendetta.della popolazione come responsabili della crisi. Davanti alle farmacie e agli ospedali si allungherà una fila dolente che spera nel miracolo. Perché questo ci vorrebbe per poter comprare i medicinali. Il costo di una dialisi, ad esempio, è passato da 140 a 570 mila rupie. Mohamed Suharto farà finta di non udire questo enorme brusio e, circondato da generali parenti e portaborse, reciterà, sussiegoso, la fastosa cerimonia del suo ennesimo mandato celeste. Lui non è un dittatore qualunque: quando salì al potere l'Indonesia applaudiva le risibili sceneggiate di un terzomondista pasticcione come Sukamo, ma era uno dei Paesi più poveri del mondo, con un reddito medio (70 dollari) che era metà di quello dell'India. Nel '96 era salito a 1100 dollari (il doppio dell'India): adesso è sceso di nuovo a trecento. In questa traccia di un'ischemia economica è registrata la sua avventura politica (e gli splendori e le miserie di tanti sedicenti dragoni d'Oriente). I «trent'anni gloriosi» di Suharto hanno coniugato crescita economica, conti falsi e corruzione, creando un gomitolo così stretto che può districarlo forse solo il colpo di forbici di una rivoluzione. Il suo sistema di potere è la dimostrazione che il nepotismo può tenere, fino alle soglie dell'incredibile, il posto dell'ideologia e delle auree regole del Mercato. Forbes ha stimato in 16 miliardi di dollari la fortuna del Presidente. Un tesoro da Ah Babà; ma bisogna aggiungere il borsellino dei sei figli che hanno ricevuto l'investitura feudale di interi settori dell'economia, dal petrolio ai pedaggi autostradali, dall'informatica alle automobili. Il più ricco, Bambang, tiene in cassaforte almeno tre miliardi di dollari, la più povera, Mamiek, arriva «solo» a cento milioni. Quello che resta nelle tredicimila isole e nelle tasche dei 200 milioni di abitanti è stato appaltato graziosamente agli amici, come Lien Sioe Long, considerato l'uomo più ricco dell'Asia dopo il sultano del Brunei. Avanzano spiccioli: ma bastano per tenere buoni i generali, che costituiscono il vero pilastro del regime. Ma attenzione: Suharto non è un Marcos qualsiasi. I miliardi di questo Stato-tangente non sono finiti nei forzieri delle banche svizzere, sono stati reinvestiti in patria per alimentare la mitologia dello sviluppo. E' anche per questo che i suoi avversari, come Megawati, la figlia di Sukarno, appaiono scoloriti e poco convincenti. Ma adesso il vecchio burattinaio deve ammansire una tigre con i denti davvero aguzzi, il Fondo Monetario Internazionale, che, per salvarlo dalla bancarotta, esige lo smantellamento del suo oliato sistema di capitalismo domestico. Lui recalcitra, temporeggia, borbotta, spera, come tutti i dittatori senescenti, nelle armi segrete di Steve Hanke, metà Rasputin e metà Necker, sedicente economista che propone come panacea il tasso fisso tra rupia e dollaro. Una foiba peggio che finanziariamente criminale: una follia inutile. Ogni tanto Suharto fa balenare una vecchia bandiera: accusa, cioè, il Fondo di neocolonialismo, di voler schiavizzare l'Indonesia. Sono vecchie parole, trucchi stantii. Purtroppo funzionano ancora. Domenico Quirico Dopo Castro il più longevo dittatore al potere: il Paese non festeggerà Una manifestazione di studenti contro il Presidente Suharto (nella foto piccola)

Luoghi citati: Asia, Brunei, Giakarta, India, Indonesia, Singapore