Quelle 103 facce dell'orrore

Quelle 103 facce dell'orrore Quelle 103 facce dell'orrore Atroci foto di donne e bambini massacrati PRISTINA DAL NOSTRO INVIATO Sono le immagini di cinquantasei cadaveri ammassati solo nel villaggio di Serbica (Skenderaj per gli albanesi). Nell'intera area se ne contano almeno 103. Quattordici erano donne, undici i bambini. Ieri sera mi è capitato di vedere quelle foto. Tutte le foto. E se davvero parola può servire ad esprimere sdegno ed orrore, peggio, lo smarrimento di una coscienza di fronte alle prove di un simile massacro, che questo oggi possa accadere, poiché non siamo solo di fronte ad una cosa orribile, ma al riemergere di un mostro che prima si era ridestato e pareva nuovamente sepolto. Forse ciò che tre giorni fa è accaduto nell'«operazione antiterrorismo» della polizia serba non è più terribile nè più feroce di quanto altri eserciti, altre milizie hanno compiuto in questi anni nei Balcani. E' solo più evidente. Terribilmente evidente. Evidente al punto che nessun governo al mondo potrà più fare finta di ignorarlo. Per giorni da questa terra senza speranza abbiamo raccontato di Drenica, della «valle dei merli», di una serie di villaggi dai nomi impronunciabili: Serbica, Llaush, Klini, Glogovac. Adesso, attraverso le foto quei nomi acquistano consistenza e spessore, un greve sentore di morte, l'insostenibile peso dei corpi senza vita. Dinanzi agli occhi ho la foto di Bashkim. Scusate se non ho annotato il cognome, ma il direttore di «Koha Ditore», che si chiama Vetan Surroi, e riesce a parlare senza emozione nella voce, continua a mostrare foto su foto. Sono tutte sfocate, color seppia, scattate da qualcuno che vive nella zona di Serbica. Ogni cadavere porta un numero sul petto: dovevano essere tutti già nella «morgue». Bashkim non doveva avere più di tre, quattro anni, è morto con quell'espressione che a volte i piccoli hanno un attimo prima di addormentarsi. Gli occhioni neri guardano con quella sorpresa estenuata che può possedere solo chi non ha ancora percorso la vita. La vita di qui, soprattutto. Gli manca metà della faccia, chissà cosa gliel'ha strappata via. E chissà chi ha mai potuto scoperchiare il capo di questa bambina (sette anni, otto, nove?) che a giudicare da quanto è rimasto doveva essere stata vivace, sveglia, allegra. E questa donna, avvolta in un lenzuolo che pare un sudario? Questo vecchio, che senza le pallottole sarebbe morto per fatti suoi, fra non molto, ma non in maniera così brutale e oscena? E le foto di questi corpi calcificati, imprigionati nel rogo di chissà quale casa, trasformati in reperti pompeiani con le bocche ancora spalancate nell'ultimo grido? E quest'uomo, che doveva avere avuto una faccia prima che qualcuno gliela riducesse in poltiglia coi calci dei mitra? Cos'era, «terrorista» anche lui?, componente la banda di Adem Jashari? Ed anche lui è morto in combattimento con la Milizia, come Bashkim, come la bambina, come gli altri nove corpicini dilaniati che si vedono nelle foto? Ancora una volta, ciò che si è compiuto nella «valle dei merli» è stata operazione di pulizia etnica. Un'operazione che i serbi avrebbero voluto condurre in «stile croato» (presa delle Krajine, 1995: quattro giorni di operazioni senza alcun testimone) ma che è scappata loro di mano, e com'è nella loro migliore tradizione adesso gli si ritorce contro, in maniera totale. «Queste foto - sta dicendo il direttore del giornale albanese - costituiscono prova inconfutabile che qualcuno, al massimo livello del potere serbo, ha autorizzato i massacri. E' la prova che ai massimi livelli politici di Belgrado siede un uomo, Slobodan Milosevic, totalmente irresponsabile che sta conducendo il Kosovo verso un'altra catastrofe umana». Non è forse - anzi, certamente - il peggiore dei crimini che siano stati commessi in questi anni ed in questo Paese. Non è neanche il peggiore di cui soldati o miliziani serbi si siano resi responsabili. E' solo il più oscenamente chiaro, e da tutto questo sarà difficile sfuggire. Le fonti albanesi raccontano altri particolari che ad un orecchio occidentale suonano come altrettante sequenze di un film «horror». Uno dei corpi era rimasto in campagna, martoriato dai cani. La famiglia della vittima è riuscita a ottenere che il cadavere fosse rimosso soltanto ieri sera. La polizia serba sta ammassando i corpi in un deposito di Serbica, e procede a rapide sepolture. Questo, oggi, è il Kosovo. Un posto che vorremmo vedere scomparso non dallo scenario politico dei Balcani ma dal nostro stesso universo mentale. Ed invece esiste, cresce, continua a proporre sempre nuovi orrori. Ieri «terroristi» dell'«Uck» attraverso radio Tirana si sono proposti come «i soli interlocutori di ogni dialogo di pace», con questo esautorando del tutto il vecchio lbrahim Rugova. Un altro sogno. La rincorsa verso il Medio Evo, d'interlocutori non ne prevede. Giuseppe Zaccaria Le immagini scattate da un abitante di Serbica sono finite a un giornale albanese Ora qualcuno le sta diffondendo su Internet per dare al mondo le prove della strage mAtì In alto a sinistra, una delle foto diffuse da Internet che documenta i massacri serbi nel Kosovo. A fianco albanesi caricano su un trattore il corpo di un compagno. Qui a sinistra, manifestanti a Londra chiedano la fine della «follia serba»

Persone citate: Adem, Bashkim, Giuseppe Zaccaria, Glogovac, Rugova, Slobodan Milosevic, Surroi

Luoghi citati: Balcani, Belgrado, Kosovo, Londra, Tirana