Sportineria
Sportineria Sportineria PARLIAMO di quelle trasmissioni radiofoniche e televisive basate soprattutto sull'intervento in diretta di ascoltatori o spettatori. La telefonata, insomma, per vincere un premio ma anche per intervenire in una discussione o chiedere un disco. Ovviamente queste telefonate sono alla base soprattutto di programmi su emittenti nazionali, perché il grande bacino di utenza garantisce un grosso flusso di chiamate. Bene, ormai è regola fissa che, quando chiama qualche piemontese, il conduttore non si perde l'occasione di cercar di imitare la nostra pronuncia, per la verità facile da ricalcare in qualche modo, magari abbondando in «neh», in «o basta là», insomma in quelli che spesso sono, per un piemontese, passaggi obbligati del dialogo. Se anche dice soltanto «mi saluti Torino», il conduttore riesce a calcare grevemente su quel «Torino», dilatando la «o» in maniera foneticamente oscena. In quel momento, probabilmente, molta Italia ride. Possiamo, dobbiamo essere un po' arrabbiati? Ci sono dialetti senz'altro goffi, almeno in certi passaggi, come e più del piemontese. Il romagnolo ad esempio al piemontese assomiglia moltissimo. Il siciliano ha dei miagolii comici, il ligure ha come il veneto degli strascichi cantilenanti che diventano buffi, dimessi. Lo stesso lombardo ha molto ma molto del piemontese, tanto è vero che assistendo alle commedie dei legnanesi i torinesi si divertono quasi quanto i milanesi. Però il conduttore non prende mai, sia pure blandamente, teneramente in giro gli interlocutori con quelle cadenze. Siamo malati di grave mania di persecuzione? Ammettiamo di sì, a patto che quei conduttori ammettano di essere affetti da beve mania di persecuzione al contrario. Perché pensiamo che non esistano dubbi statistici sull'iterazione di questi sfottò. E non solo: personalmente abbiamo sentito imitare, ironizzando, la pronuncia piemontese anche da conduttori piemontesi: come Giletti, come la dolce Ventura, che però ci sta montando sopra una sorta di personaggio, come la stessa Panetti quando fa finta di sospirare per i tristi destini del Toro, squadra amata dal suo papà proletario. Che fare? Niente, soffrire e basta. E ringraziare Iddio perché non captiamo la radiotelevisione giapponese: laggiù la particella «nè» è usata continuamente, sta per «bene», per «dunque», per «allora». E ci sentiremmo presi in giro, e continuamente, anche da «quelli lì».
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