Monopoli

Monopoli Monopoli ADO-DADO: cinque più due uguale sette. Unoduetrequattrocinqueseisette. Corso Brescia. In corso Brescia si va o non si va? Mah. Di sicuro un tempo ci si andava di più. L'ultima volta che ci sono stato, qualche anno fa, al Big suonavano i Ramones. Credo che si trattasse del tour successivo all'uscita di «Mondo Bizzarro». Joey Ramone non aveva ancora troppi problemi di salute, Johnny Ramone suonava come un'intera fabbrica di chitarre, Marky Ramone alternava alla batteria il due quarti al quattro quarti a una velocità nettamente superiore rispetto a quella di Villeneuve al Gran Premio del Brasile e C.J. Ramone - tatuato dalla testa ai piedi tirava martellate sulle corde del suo basso, utilizzando i suoi famosi polpastrelli vulcanizzati. Quella sera i quattro fratelli foderati nei loro consumati giubbotti di pelle nera, nelle loro consumate T-shirt e nei loro consumati jeans - non per questione di moda, come accade di tanto in tanto a seconda delle stagioni, ma a causa del fatto che i Ramones nei loro giubbotti, nelle loro T-shirt e nei loro jeans vivono dal lontano 1974, non soltanto senza cambiarseli mai ma anche senza mai toglierseli di dosso, neppure per lavarli: tutti e quattro fanno la doccia vestiti, persino ora che il gruppo si è sciolto: questione di abitudini - furono magnifici, e nel giro di novanta minuti suonarono centoottanta canzoni, ciascuna introdotta dal classico «One, two, three, four» - novanta minuti diviso centoottanta canzoni fa due canzoni al minuto, il che parrebbe confortare la tesi secondo cui i Ramones suonavano in media canzoni da trenta secondi l'una; sottraendo però ai trenta secondi i quattro secondi necessari a urlare tra una canzone e l'altra «One, two, three, four», si scopre che in realtà le canzoni dei Ramones duravano dal vivo all'incirca ventisei secondi cadauna: tenendo conto che ciascuna di esse manteneva inalterata la classica struttura verso/ritornello/verso, penso sia possibile affermare con buona approssimazione che i Ramones sono stati per il punk quello che Jack The Ripper, altrimenti noto come Lo Squartatore, è stato per lo splatter, ovvero l'archetipo della serialità maniacale -; cari vecchi cartoni animati elettrici. Tra gli altri concerti ospitati dal Big, spicca su tutti quello di Gato Barbieri, che in una sera di tanti anni fa, forse dieci, ricreò col suo sax in corso Brescia le stesse atmosfere di rue Jules Verne a Parigi, X Arrondissement, esterno, giorno, il film che comincia in movimento, un carrello indietro a precedere un uomo che cammina avvolto da un cappotto color cammello, guardandosi attorno, né svelto, né lento, una mattina di gennaio; camminando l'uomo sente dei passi, si volta, ma alle sue spalle non c'è nessuno, i passi sono i suoi. Intorno a lui finestre, facciate di palazzi, balconi; un'auto che corre via allontanandosi, e poi una donna, che sbuca da una strada laterale e gli si fa incontro: lui la guarda, un metro dopo l'altro, lei guarda lui, mentre in sottofondo il rumore della città si fa sempre più distante e confuso, come se in realtà la vita al di fuori dei loro occhi avesse cessato di esistere o non fosse altro che un ricordo. La donna distoglie lo sguardo, vede un cartello sul portone di un edificio: AFFITTASI APPARTAMENTO - QUINTO PIANO. L'uomo è Marion Brando, la donna Maria Schneider, e in quell'appartamento stanno per buttarsi nel loro Ultimo Tango: come il pur spazioso Big abbia potuto quella volta contenere al suo interno, oltre ai musicisti e agli spettatori, anche tutta Parigi, e tutta la disperazione di Paul - l'uomo, Marion - e Jeanne - la donna, Maria -, la loro camera da letto nuda, provvista a malapena di un materasso, il bar sotto casa, la conciergerie, l'hotel dove si era suicidata la moglie di Paul, i treni, la metropolitana, la villa con giardino dei genitori di Jeanne, una notte di temporale, la corsa dei due amanti lungo gli Champs Elysées, l'ascensore nel quale lei cerca rifugio, le scale su cui lui si avventa a caccia di lei, la scrivania, la pistola, lo sparo, il balcone, e persino la gomma da masticare attaccata sotto il parapetto da Paul, morente, intanto che le sue labbra pronunciano le parole «I nostri figli», non si sa; eppure nel Big in corso Brescia quella sera c'è stato tutto, compresa l'ultima, assurda frase di Jeanne, «Non l'avevo mai visto prima... Era uno sconosciuto, non conosco il suo nome». Oggi il Big è chiuso e in corso Brescia non ci si va più, a meno che non ci si abiti o non ci si lavori o non ci si debba recare a trovare la fidanzata o un elettrauto (tenete presente che non ho avuto modo di verificare se in corso Brescia esista davvero un elettrauto: chi ne avesse bisogno è pregato di consultare le Pagine Gialle prima di spingere la propria vettura fin là); chissà se ci torneremo ancora. Monopoli

Luoghi citati: Brasile, Parigi, Villeneuve