Le «cene di lavoro»

Le «cene di lavoro» Le «cene di lavoro» Ma la polizia controllava gli incontri al ristorante MILANO. Domanda: «Filippo Troja è mai stato suo cliente? Ha mai fatto transazioni all'estero per lui? Troja lo ha mai chiesto di riportargli denaro in Italia?». Risposta: «Filippo Troja non è mai stato mio cliente, non mi ha mai chiesto di fargli entrare denaro in Italia, non credo di aver fatto per lui transazioni all'estero; è possibile che l'abbia coperto per 5 o 6 milioni ima volta che era in vacanza all'estero». D: «Lei conosce il magistrato Antonino Vinci?». R: «So elfi è ma non l'ho mai conosciuto». D: «Si è mai dato da fare per raccomandare uno dei tìgli di Crisci? Sa se imo dei duo figli di Crisci lavora presso l'ente Autostrade?» R: «So che uno dei figli di Crisci lavora all'ente Autostrade, per l'esattezza Francesco. Non mi sono mai dato da fare per raccomandare Francesco Crisci, d'altro canto ha un padre così importante che non ha certo bisogno di me»... Ore 11, antivigilia dello scorso Natale, 23 dicembre. Nell'ufficio del pm Ilda Boccassini siede Giancarlo Rossi, ormai vecchia conoscenza di Mani Pulite. Il primo ad interrogarlo fu Antonio Di Pietro quando, nel '93, indagando sulla maxi tangente Enimont, scoprì il conto FF-2927, intestato appunto a Rossi: da li erano passati alcuni miliardi della maxi tangente. «Il mio mestiere è gestire all'estero i soldi dei miei clienti», si difese l'agente di cambio Rossi. Ma proprio investigando su quel conto si scoprì l'esistenza di altre centinaia di sottoconti che, analizzati successivamente dal pm Francesco Greco, fecero nascere i primi sospetti sull'esistenza di una «cupola» di affari legata alla torta da 15 mila miliardi dell'Alta Velocità. E non solo. Rossi, buon amico di Previti e ben introdotto nel sottobosco di potere romano, venne poi indagato anche per la vicenda toghe sporche, in particolare per quello che lui definì «un prestito» di 800 milioni proprio all'ex ministro della Difesa. L'ultima volta Rossi è stato sentito dal pm Boccassini per precisare un quadro di rapporti che la dice lunga sul giro di personaggi entrato nel mirino di quest'ultima inchiesta. Rapporti coltivati soprattutto a cena, in casa o al ristorante, sotto l'occhio attento di agenti dello Sco, ii Servizio centrale operativo della polizia. Dall'interrogatorio si scopre anche che Rossi temeva di essere intercettato, cosi come il manager Troja che si avvale, per ima «bonifica ambientale», di un tecnico procurato dall'agente di cambio. Rossi riconosce anche di essere andato a casa di personaggi come Lorenzo Necci, il giornalista Bruno Vespa, Crisci, e naturalmente di non aver mai pensato in questo modo di commettere reati. Il suo legale, avvocato Giovanni Maria Dedola, si dice «esterrefatto», di questo nuovo invito a comparire: «E' quattro anni che siamo sotto questo maglio senza capire il perché». Eppure, è stato proprio l'ultimo interrogatorio di Rossi a fare scattare i nuovi provvedimenti. Secondo l'accusa, l'agente di cambio avrebbe mentito in almeno due occasioni. La prima, in relazione ai suoi rapporti con Vinci. La seconda, in relazione ai rapporti economici con Troja, il manager della Tav che stando all'accusa avrebbe riciclato attraverso Rossi alcune centinaia di milioni. [p. col

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