Ada, la coscienza del dovere

Ada, la coscienza del dovere la memoria Una mostra a Torino rievoca la compagna di Piero Gobetti Ada, la coscienza del dovere Un'eredità attuale, a trent'anni dalla morte II NA fotografia del 1968. A Reaglie. Ferruccio Pani in un cappotto di foggia antica, gli occhiali sulla fronte; Franco Antonicelli elegantissimo, aristocratico. Sono saliti sulla collina torinese per rendere l'estremo omaggio a Ada Gobetti, la moglie di Piero. In quel giorno di marzo danno vita alla Sinistra indipendente, un possibile, legittimo corollario della testimonianza gobettiana, come non mancherà di osservare Norberto Bobbio. Reaglie, una fermata della corriera diretta a Pavarolo, dove Casorati s'interrogava: «Che sarebbe oggi Gobetti, in quest'Italia vinta, dilaniata e prostrata, nave senza nocchiero in gran tempesta? Non sarebbe stato egli forse il nocchiero?». La scomparsa di Ada restituisce vigore alla domanda, suscita una riflessione che inevitabilmente riporta a quegli anni - fine Anni Dieci, avvio degli Anni Venti - a quella Torino «rivoluzionaria». Sì, Ada Gobetti, deceduto Piero, non si curverà su se stessa, non cederà all'estatica, sterile contemplazione del passato. Via via svelerà e dispiegherà non poche e non comuni qualità: in veste di traduttrice (da O'Noill a Boswell, la Vita di Samuel Johnson, dalla Storia d'Europa di Fischer a Civitas Dei di Lionel Curtis); di insegnante, di combattente partigiana, di figura politica (vicesindaco azionista di Torino dopo la Liberazione, dal '56 iscritta al pei: «Non si può restare tutta la vita spettatori; bisogna saper scegliere, assumersi le proprie responsabilità»); di pedagogista (fonda il «Giornale dei Genitori», si occupa della rivista Educazione democratica); di «voce» della questione femminile (presidente dell'Udì torinese); di scrittrice (la Storia del Gallo Sebastiano, per i bambini, e il Diario partigiano, riproposto nei mesi scorsi da Einaudi, «di molta importanza per ciò che è accaduto in Piemonte», come dirà Benedetto Croce). Ma sempre il ricordo del compagno che l'aveva soprannominata Didì la innerverà, rappresentando un febbrile atto di sfida ai tempi grami, bolsi, corrotti. Non a caso nel 1966 - quarantesimo anniversario dell'addio di Piero - Ada vergherà un appunto poetico (inedito): «Nevicava forte quel giorno quando sei partito dalla nostra casa per non tornare mai più. Oggi c'è il sole invece e ai piedi del calicanto una primula azzurra è fiorita. Non riesco, nel buio degli anni, a ritrovare il tuo volto. Ma la pena di quel distacco è ancora viva in me». Piero Gobetti lascia la casa di via Fabro il 3 febbraio 1926. Ada annota: «Mi hai stretta al cuore appassionatamente, ma poiché un poco tremavo e non sapevo dominare l'angoscia, mi hai detto: "Non turbarti: il bambino (Paolo, Poussin, ndr) non deve soffrire. Verrai presto anche tu e saremo tanto felici. Ma se ora piangi, come posso partire sereno?"». Intorno alla mezzanotte di lunedì 15, il direttore di «La Rivoluzione Liberale» si spegne. Ada si chiederà: «Che cosa mi ha salvato dalla disperazione quando ho saputo? (...). Non so, ma certo mi è parso di seguire la tua volontà. Mi sono ripetuta mille volte quelle parole tue - le ultime quasi che ho udite da te, ne ho ripetute altre che tu solevi dire nei momenti difficili: "Nervi a posto, non bisogna essere isterici" con l'impressione chiara che mi fossero dette da te». Nessuna isteria contaminerà la parabola di Ada Gobetti. Attraverserà le stagioni con la serenità di chi sa stare «al proprio posto». Confessa nel testamento morale: «Vorrei vivere ancora perché la vita è molto bella, nonostante tutto e, pur avendo molto sofferto, sono stata molto felice. Ma sono pronta serenamente a morire in qualsiasi momento: e mi fa ridere usare un'espressione così banalmente ottocentesca - ho lo coscienza tranquilla per aver compiuto il mio dovere». Crocianamente, la morte non la sorprenderà nell'ozio. Croce rinvia alle villeggiature in Val Susa, a Meana, dal 19,28 al 'atore trepida ji'èr la a giovane, amica ava una oWni^rì- ta che si rintanasse per non farsi vedere dai suoi simili. Poi la vedemmo, poco per volta, distendersi, rifiorire e fu una gioia per tutti noi»); la orienta negli studi e nel lavoro intellettuale; la pungola - se mai ce ne fosse bisogno - terminata la guerra: «Lasciamo le tristezze: tanto non mutano niente né alla realtà né al dolore». Ada, meditando sulla fine di Piero, nel 1926 già era andata oltre: «La realtà ha in sé la sua consolazione e il suo compenso». Bruno Quaranta Lottò da partigiana, fu amministratrice, si impegnò per rinnovare la scuola e dare voce ai diritti delle donne Scrisse nel suo testamento morale: «La vita è bella... Pur avendo molto sofferto, sono stata molto felice» Ada e Piero Gobetti il giorno del loro matrimonio nel gennaio 1923

Luoghi citati: Europa, Italia, Meana, Pavarolo, Piemonte, Reaglie, Torino