«Perché il Mossad fallisce»
«Perché il Mossad fallisce» «1 Servizi sono fermi ai tempi di Ben Gurion, devono cambiare» «Perché il Mossad fallisce» Jo Golan, autore de «La Terra Promessa» ROMA. Jo Golan, 76 anni, egiziano di origine russa con la passione per l'Africa, ha dedicato la sua vita a Israele. Protagonista della lotta clandestina per l'indipendenza, partecipò all'opera di trasferimento degli ebrei in fuga dai Paesi arabi. Una vita a fianco di personaggi come Nahum Goldmann, David Ben Gurion e Golda Meir, che lo portò anche - come svela nel suo Le Terra Promessa edito da Einaudi - a seguire in Vaticano i preparativi della svolta del Concilio Vaticano II. Jo Golan si trova a suo agio fra i misteri di Israele e non si tira indietro davanti agli scandali del Mossad, con un'analisi che va oltre la cronaca: «Il Mossad non è preparato ad affrontare i nuovi pericoli per ia sicurezza dello Stalo di Israele». Che c'entra lei con il Mossad? «Il Mossad nacque con la creazione di Israele. Vi erano tre candidati ma vinse il quarto. Il capo doveva essere Reuven Shiloah, vero padre dello spionaggio politico, ma lo consideravano troppo intellettuale. Vinse Isser Harel, fedelissimo di Ben Gurion. Mi chiesero di essere suo vice. Ma rifiutai». Quali erano le basi del Mossad e perché ora la crisi? •/Erano tre gli obiettivi definiti da David Ben Gurion: trovare informazioni per il governo in un periodo in cui i media non erano sviluppati e il segieto politico esisteva ancora; caccia ai nazisti ed ex nazisti per eliminarli o catturarli e processarli; lotta al terrorismo e studio del mondo arabo. Il tutto venne affidalo a una struttura che sarebbe diventata mostruosa. E che oggi è all'origine della crisi». Perché Dani Yatom, capo del Mossad, si è dimesso? «Dani Yatom si e dimesso dopo tre casi diversi, importanti per ragioni distinte. Il primo è quello dell'agente Gii che, per vent'anni, ha passato al Mossad informazioni sulla Siria di un agente che era esistito, forse, solo pei- i primi due. Una storia che sembra un romanzo. Il Mossad per 20 aimi non si era accorto di nulla, non aveva mai verificato. Ovvero: la struttura interna è fatiscente, non seria». E il fallimento ad Amman? «Un errore politico. Contro l'unico Paese arabo con cui c'è mia pace sincera e con cui, da 50 anni, c'è una cooperazione sulla sicurezza. C'è stato anche il blitz fallito contro Mashal, certo, ma l'errore fu politico. Della persona a cui risponde il Mossad: il primo ministro. Se Yatom si è dimesso non è però stato certo per Amman. In Svizzera è andata assai peggio. Ed è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso». Ovvero? «E' fallita un'operazione di semplice routine». Si spieghi meglio. «Ogni servizio segreto fa operazioni del genere. Una squadra arriva, piazza i microfoni e controlla una persona sospetta per sentire cosa dice, chi frequenta. Appunto, routine. Ma questa volta ò fallita. Dani Yatom, un generale che viene dall'esercito impegnato nella ristrutturazione del Mossad da due anni, non poteva che dimettersi. Ma non è dipeso dagli svizzeri se il fiasco è finito sui giornali». Perché la fuga di notizie? «Yatom voleva cambiare radicalmente il Mossad ma era un esterno. La struttura gli si è opposta. Appena si è presentata l'occasione ha favorito una fuga di notizie senza precedenti in Israele. E Yatom è caduto». Il Mossad può risollevarsi? «Dipenderà da chi sarà il nuovo capo e da cosa deciderà». Cosa dovrebbe fare? «Bisogna guardare oltre le polemiche ed i fallimenti, che fanno più notizia dei successi. L'attuale crisi servirà a qualcosa se porterà a modificare i tre pilastri fissati da Ben Gurion. Il 90% delle informazioni oggi circola sui media. I nazisti sono tutti morti o quasi. La caccia ai terroristi è destinata a non coincidere più con i nostri nuovi rapporti con gli arabi. Il mondo intorno a Israele è cambiato, deve cambiare anche il Mossad». Come? (Attrezzandosi ad affrontare il vero pericolo che minaccia la sicurezza di Israele: le armi non-convenzionali dei nostri nemici. E non le bandiere bruciate per strada a Ramallah». Cosa manca al Mossad? «E' composto di laureati in legge, in scienze politiche e lingue. Ma la cliimica ha ben poco a che vedere con la politica. Serve una nuova generazione di agenti. Capaci di leggere le formule, comprendere la meccanica e l'ingegneria. L'attuale struttura non serve a capire se dentro una bottiglia di whisky c'è il liquido sufficiente per fare più danni a Tel Aviv di una bomba atomica. Dentro il Mossad ci sono tanti professori, servono i biologi. Fino a quando questo cambiamento non avverrà il Mossad sarà in ritardo». C'è chi obietta che la vulnerabilità del Mossad è nella lacerazione politica di Israele... «Le liti politiche sono vecchie quanto il sionismo. Ma si sono sempre fermate davanti alla sicurezza. Israele è uno Stato sano, con valori forti senza i quali sarebbe impossibile assimilare un abissino, un ucraino e un berbero marocchino. No, la vulnerabilità del Mossad non c'entra con le divisioni di Israele: è nel suo Dna, che deve cambiare». [m. mei
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