..5 di Franca D'agostini

..5 ..5 Sabino Cassese Lo Stato introvabile Donzelli pp.9l, L 16.000 DOVE' LO STATO Le istituzioni italiane: modernità e arretratezza MODERNITÀ' e arretratezza delle istituzioni italiane nell'analisi di Sabino Cassese, fra i nostri maggiori «amministrativisti». Più arretratezza che modernità, a scorrere il titolo della «saggina»: Lo Stato introvabile. La contraddizione di uno Stato che è ovunque, enfatico e costoso e, insieme, debole e inefficace. Un problema che il vicino ingresso nell'Unione monetaria europea mette ulteriormente in risalto. SARTORI Giovanni Sartori Una occasione mancata? Laterza 'pp. 119. L 15.000 Riforma costituzionale un'occasione mancata? UN'INTERVISTA sulla riforma costituzionale con Giovanni Sartori. Un'occasione mancata? Sullo sfondo i lavori della Bicamerale: «Ha prodotto osserva il politologo - soltanto un progetto di riforma. Prima di dare un giudizio definitivo bisogna vedere come quel progetto uscirà dalle Camere. Per ora abbiamo un testo che dovrebbe essere correggibile». A cura di Leonardo Morlino. Owvwmì H»rf» P*« BIOETICA Giovanni Maria Pace L'embrione Sperling & Kupfer pp. 157 L. 24.500 Tavola rotonda intorno all'embrione LA nuova biologia secondo il Nobel Dulbecco, Flamigni, Lombardi Val lauri, Giovanna Melandri, Rodotà, il cardinal Tonini. Una riflessione sull'embrione: quale la sua condizione giuridica e morale? Quale tutela assicurargli? Quale il destino degli embrioni «dimenticati» nei centri di procreatica? Si possono compiere esperimenti sull'embrione, ancorché a fin di bene? DIALOGHI Gabriele Polo (a cura di) Liberismo o libertà Editori Riuniti pp. 196. L. 20.000 Liberismo o libertà, quale capitalismo? UNA serie di dialoghi intorno al capitalismo globale e alla crisi sociale. A confronto sono Giorgio Cremaschi, sindacalista, segretario generale della Fiom piemontese, e Marco Revelli, docente universitario (autore, tra l'altro, di Le due destre). La conclusione è che l'avanzata, l'offensiva del liberismo non ha esteso, ma in realtà ha compresso, e drammaticamente, le libertà. Narayan, Rao, Anand, tre novantenni per raccontare tinàia. Un secolo tra indipendenza e diaspora :ui si paria d '3. L 25.000 inai andrò Monti .32.000 isegne 000 lontagna 000 ingh er il Pakistan 000 ga». ombra 5. L 26.000 de' paura 14. L 26.000 into 000 isto1 1632, L 24.000 ra'n pioggia 1000 ) V*- ti , L 18.000 che, allora, primo Paese al mondo si dà, con Indirà Gandhi, un primo ministro donna, e che una intera generazione di scrittrici conquistava la scena letteraria. Anita Desai, nata nel '41, ha, per citare le sue stesse parole, descritto «la solitudine, l'unico tesoro degno di essere serbato», della donna, specie anziana, con risultati talora abbaglianti, come in Fuoco sulla montagna. In certo senso all'opposto si colloca Nayantara Sahgal, del '27, nei cui romanzi la dimensione politica si salda con singolare pregnanza alla storia privata. Significativamente, poniamo in 11 giorno dell'ombra, la vicenda prende pur sempre le mosse dal prezzo che una donna deve pagare; nalla fattispecie, il trauma di un matrimonio a pezzi. Una simile disintegrazione condiziona il mondo privato della protagonista, e soltanto di riflesso il discorso diviene politico. Senza dubbio, alla radice della visione della Sahgal si colloca il principio gandhiano del «fattore umano», ma non meno decisiva appare l'ambiguità dell'induismo che, nella sua versione popolare, rischia di legitimare l'accettazione passiva e l'acquiescenza. Più che del Dio delle piccole cose di Arundhata Roy, travolgente successo mondiale non soltanto per l'indubbio talento della scrittrice ma anche per la sua abilità nello strizzare l'occhio al pubblico occidentale, penso che una personalità centrale nella scrittura femminile indiana oggi si trovi in Shashi Despande, del cui II buio non fa paura mi sono già ampiamente occupato in questa stessa sede: nella drammatica e sconvolgente situazione della sua protagonista sembrano ricomparire i fantasmi del Bhagvadgitta, ove le donne vengono accomunate ai peccatori e agli schiavi. Una donna, tra l'umano e il divino, si trova al centro dell'intenso, incalzante romanzo, L'ultimo labirinto, di Arun Joshi, scrittore nato nel '39 e purtroppo scomparso nel '93. Pur se il nuovo libro di Amitav Ghosh, Estremi orienti, raccoglie due splendidi esempi di saggismo per così dire giornalistico esplorativo, il quarantaduenne scrittore bengalese è probabilmente lo scrittore di maggior rilievo della sua generazione, insieme a Vikram diandra, presentato qui con acume da Madeline Merlini. Lo schiavo del manoscritto di Ghosh, con il suo vertiginoso respiro storico e fantastico, è in assoluto uno dei libri più importanti e più nuovi pubblicati negli ultimi decenni. Qui giungiamo a una svolta che merita un discorso a parte, ma che non possiamo ignorare. Ghosh abita da qualche tempo a New York, il che naturalmente non intacca affatto la sua indianità, ma sollecita a riflettere sul complesso problema della diaspora indiana, della miriade di scrittori indiani che vivono ormai all'estero, spesso acquistando la cittadinanza dei Paesi dove risiedono. Riuscirebbe arduo negare l'indianità dell'ormai canadese Rohinton Mistry (pubblicato in Italia da Feltrinelli), mentre la faccenda si complica con il cosmopolita affabulatore Vikram Seth, il cui Ragazzo giusto ha venduto in Italia trentamila copie, ad onta della sua temibile mole. Fatalmente arriviamo ai due nomi chiave. V. S. Naipaul, in effetti, è di matrice indiana ma caraibico di Trinidad trasferitosi da ragazzo in Inghilterra, con un atteggiamento dapprima assai critico, poi più aperto nei confronti dell'India cui non sente di appartenere, e dove è poco amato. L'altro è, s'intende, il musulmano, e quindi in India dolorosamente minoritario sol che si pensi alla tensione pre-elettorale che il partito nazionalista indù, probabile vincitore, sta creando, Salman Rushdie. Ciò che a mio avviso fa di Rushdie uno scrittore di prima grandezza consiste proprio nella sua capacità di servirsi dei grandi modelli letterari inglesi, primo fra tutti Laurence Sterne, per raccor darli con sbalorditiva naturalezza alla irresistibile arte indiana del racconto, nei confronti della quale siamo tutti debitori. La distanza che inevitabilmente separa Rushdie dall'India reale e provoca il rifiuto di larghi settori dell'intellettualità moderata india na, investe il suo atteggiamento critico spesso impietoso ma tutt'al tro che irragionevole, solo che si pensi alle impennate autoritarie di Indirà Gandhi oggetto della su satira al vetriolo nei Figli della mezza notte, ma anche la sua progettualità coraggiosamente utopica, co me nel sostenere che la salvezza dell'India sta nel suo divenire una nazione secolare. D'altronde, nel numero del JVeiv Yorker dedicato al giubileo dell'indipendenza, Ru shdie ha fatto un'affermazione frettolosa e avventata, sostenendo che l'unica autentica letteratura indiana sia quella di lingua inglese In India non glielo hanno perdonato. Rushdie affermò a suo tempo, in Patrie immaginarie, che nessu no scrittore indiano usa l'inglese come un inglese, e che proprio questo «ci rende liberi». Certo, essi lo reiventano di continuo. Ma le prese di posizione di Rushdie, co me sempre, vanno giudicate quali punti di partenza, mai quali punti di arrivo. Claudio Gorlier LA FILOSOFIA E' IN FORMA /percorsi di un concetto I PERCORSI DELLE FORME a cura di Maddalena Mazzocut-Mis Bruno Mondadori pp.3ll L. 26.000 I PERCORSI DELLE FORME a cura di Maddalena Mazzocut-Mis Bruno Mondadori pp.3ll L. 26.000 UAL è la vera forma di un albero? Il grande cappello estivo delle foglie o la scheletrica struttura invernale dei rami? Secondo uno studioso di geometria la travatura del tronco e l'intrico dei rami sono in funzione dell'ostensione del fogliame, la parte più caduca, e non viceversa: un albero è le sue foglie, come suggerisce anche la lettura di un libro straordinario, The Plant Between Sun and Earth and the Science ofPhysical and Ethereal Spaces (Rudolf Steiner Press, pp. 271. London 1997), opera di due studiosi steineriani, Georges Adams e Olive Whicher. L'esempio dell'albero è emblematico dei problemi che solleva il termine stesso forma: da un lato la forma è concepibile come il hmite esterno, il contorno, la visibilità di una superficie (il cappello di foghe), dall'altro la forma è il modo in cui le parti s'integrano vicendevolmente, si strutturano (i rami). La stessa parola latina/orma può indicare quello che i Greci chiamava¬ no morphé - il carattere sensibile ma anche lo schema - il modello. Non è dunque un caso che la presentazione a una recente antologia di Maddalena MazzocutMis, I percorsi delle forme, inizi con queste parole: «Trovare un percorso possibile all'interno del mondo delle forme è come riuscire a orientarsi in un labirinto di linee e contorni, di superfici e abissi, di modelli e metamorfosi»; o più avanti: «La forma si pone sempre come un problema». Il mondo delle forme, ricorda la studiosa di estetica, è conosciuto da noi umani soprattutto attraverso due sensi: la vista e il tatto, a loro volta portatori di due differenti forme della conoscenza umana: quella mentale e quella sensibile. L'ampia antologia che l'autrice ha messo insieme (Baltrusaitis, Fiedler, Focillon, Gombrich, Klee, Lyotard, Panofsky, Venturi, etc.) si divide lungo questi due assi conoscitivi: quello che giudica la forma con gli «ocelli della mente» e quello che invece propone la «conoscenza sensibile», i «valori tattili». C'è un aggettivo che sovente i vocabolari italiani non registrano (ad esempio, il Devoto-Oli): aptico, che indica la tattilità propria dell'uomo, la sua capacità di strìngere un oggetto tra le mani, nel cavo della mano, gesto che indica un possesso che va ben al di là della tattilità esplorativa dei polpastrelli. Ebbene, secondo una certa tradizione estetica - Focillon - anche l'occhio ha prerogative aptiche: «L'occhio tocca, come tocca la mano», scrive la Mazzocut-Mis riprendendo una pagina dello storico dell'arte francese che ritroviamo anche nella lezione di Merleau-Ponty su Cézanne. Tuttavia, come ha messo in mostra la magistrale opera di James J. Gibson (The Ecological Approach to Visual Perception, 1979A autore su cui poggia a partire dagli Anni 50 gran parte dell'epistemologia percettiva di Ernest Gombrich, noi non abbiamo una percezione statica del mondo bensì una in movimento: la forma si percepisce all'interno di un sistema ecologico, in cui gli elementi naturali, la velocità di spostamento, la tessitura delle cose percepite, la stessa forma del nostro corpo, diventano decisive per cogliere la morfologia del mondo. Questa concezione ha il grande merito di cercare di unificare le due idee contrapposte della forma: morphé e eidos; poiché, se è inoppugnabile che noi vediamo le forme col cervello (l'occhio è anche anatomicamente la propaggine estrema del nostro cervello), è però vero che la co- La vista due diverun unica c La vista e il tallo: due diversi modelli un unica conoscenza e il tallo: i modelli onoscenza oppure l'eidos - l'idea formale noscenza passa attraverso il nostro essere-nel-mondo, cioè il corpo (l'idea «ecologica» di Gibson ci fa capire che non esiste solo un campo frontale, ma un dentro, un insieme sferico). Tra i testi contenuti nell'antologia sulla forma, quello di Paul Klee sembra andare il più vicino possibile a una unificazione tra aspetti razionali e quelli «vissuti» (non a caso è lo scritto di un artista). Questa idea dell'integrazione tra esperienza intellettiva e conoscenza sensibile sembra anche alla base delle pagine dedicate alla forma comprese in un interessante libro di testo uscito un anno e mezzo fa e destinato agli insegnanti di materie artistiche (Segno Forma Spazio Colore, di G. Di Napoli, M. Mirzan e P. Modica, Edi-Ermes, pp. 437, L. 45.000), pagine che partono da La forma della natura e La per cezione della forma per arrivare alla storia del concetto di forma, passando per il «linguaggio della forma» (archeologia della forma, processi cognitivi, materia, strumenti, filogenesi, ecc.): esiste anche una storia delle forme. 11 tema della forma non appassiona però solo artisti, filosofi o studiosi della percezione, ma è oggi anche al centro delle riflessioni scientifiche dopo gli apporti di René Thom (frattali) e llya Prigogine (strutture dissipative) che hanno disegnato un possibile passaggio tra l'epistemologia biologica e l'estetica: l'arte non è più il regno separato delle forme. Quando al ritorno dalle vacanze estive appoggiamo sul nostro tavolo un ciottolo arrotondato dalle acque di un ruscello, mia pigna dall'andamento spiraliforme, un guscio vuoto o im insetto iridescente, rendiamo possibile - con un semplice gesto della mano e dell'occhio - la cucitura del divorzio tra fenomenologia e mondo dei numeri, tra quahtativo e quantitativo, tra arte e scienza, rendiamo cioè perfettamente leggibile quel Codice ovvio - che ovvio non è -, come lo ha definito Bruno M un ari (a cura di P. Fossati, Einaudi), uno dei «piccoli maestri» del complicato gioco della forma. QueU'imprendibile unità tra pensiero e sensibilità probabilmente appartiene solo a uno stadio dell'esistenza in cui stupore e meraviglia, curiosità ed esplorazione conoscitiva sembrano inscindibili: l'infanzia. Il piacere della forma con ogni probabilità ci aiuta a ritrovarlo. IERI E DOMANI VIA COL TEMPO Teorie tra scienza e etica FUTURO APERTO E LIBERTA' Introduzione alla filosofia del tempo Mauro Dorato Laterza pp. 310. L. 35.000 Marco Belpoliti FUTURO APERTO E LIBERTA' Introduzione alla filosofia del tempo Mauro Dorato Laterza pp. 310. L. 35.000 ANTICA tripartizione della filosofia in logica, fisica ed etica aveva un senso quando logica e fisica erano ancora discipline filosofiche; ora che luna e l'altra sono diventate scienze altamente specializzate molti ritengono che alla filosofia resti riservato soltanto l'ambito etico-pratico. Esistono però problemi che sembrano richiedere ancora un'indagine tripartita, o meglio che generano una profonda insoddisfazione nel ricercatore che si limiti a uno solo dei tre ambiti. Problemi, dunque, il cui effettivo sviluppo postula l'esistenza di un mostro o una chimera epistemologica: un indagatore a tre teste che domini linguaggi ormai raffinatissimi e molto diversi tra loro, e sia capace di far servire le soluzioni (e le anomalie) trovate in un campo a trattamento dei problemi incontrati nell'altro, e viceversa. Un esempio molto significativo è il problema del tempo. In un volume della nuova collana edita da Laterza, diretta da Remo Bodei, Giulio Giorello e Gianni Vattimo (collana che tra l'altro si intitola «Tre», ma riferendosi anzitutto al numero dei direttori), Mauro Dorato mostra molto chiaramente l'insufficienza delle singole prospettive a cogliere e chiarire la natura del tempo, nonché a sciogliere i problemi che ne dipendono. Il libro, dal titolo Futuro aperto e libertà. Un'introduzione alla filosofia del tempo, ha la prefazione di Remo Bodei. L'idea regolativa che ispira il lavoro è la necessità «sempre più urgente» del dialogo tra la filosofia come analisi concettuale e la fisica, o più in generale le scienze empiriche. Le grandi scoperte della fisica moderna, come la relatività e i quanti, ricorda Dorato, sono ancora prive di un'adeguata valutazione filosofica. Non soltanto non si è ancora misurata del tutto l'entità delle loro conseguenze sulle concezioni metafisiche tradizionali, ma non si sono neppure valutati i «nuovi spunti di riflessione filosofica da esse offerti». quando si tenti di afferrare la dinamica della temporalità con strumenti non logico-linguisticoconcettuali bensì fisici? La seconda parte del libro traccia un percorso dettagliato (ma inaspettatamente semplice) nel problema del futuro dal punto di vista della teoria della relatività e dei quanti, e giunge a confermare che «la teoria statica del tempo è l'unica compatibile con il tempo fisico», se si vuole mantenere il principio dell'equivalenza dei sistemi di riferimento. Un buon rendiconto della teoria dinamica richiederebbe l'acquisizione di un sistema di riferimento privilegiato (a sfondo quantistico); ma nullaora, dice Dorato, sembra imporre ai fisici una scelta. La terza e ultima parte del libro trae le conclusioni etiche delle tesi così delineate. Uno dei temi favoriti della filosofia del tempo è La questione del tempo offre un primo ed esemplare punto di avvio. Anzitutto (parte prima), pone un congruo numero di problemi logico-concettuali, raccoglibili all'interno di due grandi famiglie di teorie: le prospettive dinamiche, o «tensionali», che mirano a una valutazione in termini di passato/p resente/futuro; le prospettive «atensionali», centrate sulla relazione prima./dopo. Nell'uno e nell'altro caso si presentano specifiche difficoltà. La teoria tensionale deve misurarsi con Tineffabilità dell'istante: l'indistinguibile presente-mai-presente che sta tra passato e futuro, l'assurda entità che «giace tra la quiete e il moto» (Platone): si giunge così all'irrazionalità antiscientifica del tempo. La teoria atensionale, del prima/dopo, è detta «statica» perché se l'evento eO viene prima dell'evento el, allora eO verrà sempre e in ogni caso prima di el, e quindi la collocazione nel tempo è a sua volta atemporale («eO vien prima di eJ» è una verità eterna, esattamente equiparabile a «2+2=4») e onnitemporale (oggi, ieri e in ogni istante l'enunciato «eO viene prima di el» è vero). Scomparsa del tempo. Molte difficoltà derivano dalla mancata visione delle differenze tra i due punti di vista. In particolare, dalla commistione tra le due prospettive consegue l'indicibilità o inesistenza del futuro, e quindi l'estrema problematicità del giudizio sul passato: una tipica conclusione di filosofie più o meno espressamente «positivistiche», tendenti a privilegiare il presente sulle altre dimensioni temporali. Ma che cosa succede Memoria dattesa de libero Memoria del passato attesa del futuro e libero arbitrio . del passato el futuro arbitrio . quando si tenti di afferrare la dinamica della temporalità con strumenti non logico-linguisticoconcettuali bensì fisici? La seconda parte del libro traccia un percorso dettagliato (ma inaspettatamente semplice) nel problema del futuro dal punto di vista della teoria della relatività e dei quanti, e giunge a confermare che «la teoria statica del tempo è l'unica compatibile con il tempo fisico», se si vuole mantenere il principio dell'equivalenza dei sistemi di riferimento. Un buon rendiconto della teoria dinamica richiederebbe l'acquisizione di un sistema di riferimento privilegiato (a sfondo quantistico); ma nulla, ora, dice Dorato, sembra imporre ai fisici una scelta. La terza e ultima parte del libro trae le conclusioni etiche delle tesi così delineate. Uno dei temi favoriti della filosofia del tempo è infatti la classica questione del rapporto tra determinismo e libero arbitrio (se il futuro è prefissato, a che cosa mi serve leggere l'oroscopo? - dunque se l'oroscopo ha un senso, è del tutto inutile, e se è utile non ha senso). E' molto importante sottolineare che Mauro Dorato, agile nel muoversi tra logica e fisica, del tutto consapevole della complessità scientifica dei fenomeni che sta trattando, giunge a conclusioni profondamente affini alla teoria esistenzial-iénomenologica del tempo. L'empiria della fisica si mostra così in buon accordo con l'empiria dell'esistenza. Il tempo trascorre ed è reale nelle «sintesi vissute», nel lavoro della memoria e dell'attesa: qui la stati ticità necessaria del dire, del dominio logico del tempo, si articola senza sforzo alla dinamica reale. Può essere utile alloras, per completare la panoramica, il confronto con la lettura prevalentemente esistenzial-ermeneutica del problema offerta nel volume collettivo a cura di Luigi Ruggiu, Filosofia del temp (Bruno Mondadori, pp. 384, L. 42.000). Filosofi, storici della scienza, storici dele religioni (cito solo alcuni tra i nomi più significativi: Enrico Berti, Jean Francois Courtine, Paul Ricoeur, Mario Ruggenini, Alessandrio Ghisalberti, Hans Poser, Giovanni Filoramo, Emanuele Severino, Enrico Bellone tentano qui di rispondere dai rispettivi punti di vista alla domanda «Che cosa è U tempo?». Le risposte sono più coerenti di quanto si potrebbe pensare, e non lontane dale soluzioni a cui perviene Dorato. Franca D'Agostini

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