La riscossa dei vinti un anno dopo Valona di Foto Ansa

La riscossa dei vinti un anno dopo Valona La riscossa dei vinti un anno dopo Valona CHI SOFFIA SUL FUOCO IDOTTA nei terrnini più elementari e rozzi, l'equazione può esser letta così: Valona sta ai socialisti come Scutari ai democratici. Insomma, se un anno fa cominciò dal Sud la sommossa che spazzò via Sali Berisha, perché la cosa non potrebbe ripetersi, sia pure in una situazione capovolta? Perché Scutari non dovrebbe diventare, come fu per Valona, il detonatore per un'esplosione generale? Fuoco da Nord a Sud e Berisha, che considera l'esperienza dei socialisti già fallita dopo neppure un anno, trova del tutto naturale chiedere nuove elezioni. E nell'attesa, invoca un governo di tecnici che sia fuori dai coni d'ombra dei partiti politici. Soprattutto di quello socialista, ricettacolo, dice lui, di troppi vecchi arnesi del periodo di Enver Hoxha. Non esiste una democrazia socialista, ripete. «Qui c'è la nanocrazia». E, naturalmente, aggiunge, il potere dei socialisti è illegittimo perché illegittime furono le elezioni dello scorso giugno. Dal suo ufficio con le pareti coperte da un impiallicciato di legno, al primo piano del palazzo dei democratici in eterna costruzione a due passi dal Parlamento, Berisha guida la strategia che, ne è certo, lo riporterà al potere. Anche se durante la sua presidenza è riuscito a farsi più nemici che amici, in Europa e non soltanto. E' lui, dicono quelli della nomenklatura al potere, che ha deciso di tentare in maniera così spregiudicata la carta Scutari, lui che incita i fedelissimi a scendere nelle strade con il volto coperto dai passamontagna e il kalashnikov in mano. Già due volte, a Scutari, si è sfiorata la tragedia. Ma, da giocatore incallito, lui rilancia, buttando sul tavolo argomenti tipici dei Balcani: non sono io che provoco disordini, è il potere che li fomenta per trovare un nemico e salvare se stesso. Prove? «Ho tutti i documenti che servono», ci ha detto poche settimane fa. Anche quando era lui ad accusare gli altri di compiere attentati e omicidi, insomma a fare più o meno le stesse cose che accadono oggi, assicurò di avere «tutte le prove». Non le tirò mai fuori. Dunque, nuove elezioni. L'ex Presidente sostiene di puntare sol¬ tanto a quelle, sicuro che sarebbero un bene per il Paese e certo di poterle vincere. Su quali basi poggi questa sua previsione, rimane un mistero. Almeno per il memento. In ogni modo, nell'attesa che l'idea del voto venga accettata come il male minore, lui promette una primavera «di rivolta, di grande protesta contro la cricca socialista al potere». E queste minacce non le ripete nel chiuso del suo ufficio, ma lo fa in piazza, sordo ai consigli che gli arrivano dall'Unione Europea e dall'Osce, l'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. Ieri lo ha fatto a Tirana, in piazza Scanderbeg, cuore del cuore dell'Albania, davanti a circa duemila persone. «Noi non tollereremo i processi politici», ha anche urlato, esattamente come avevano fatto i socialisti quando, lui regnante, con l'accusa di «avere distratto» alcuni milioni di dollari mentre faceva parte del governo di Ramiz Alia era stato arrestato Fatos Nano, attuale leader. Stavolta Berisha protesta per le vessazioni cui, sostiene, sarebbe sottoposto dal potere un suo pretoriano, Azem Haidari, quello che in estate venne ferito a pistolettate in Parlamento da un altro deputato esasperato, lo stesso che aveva tentato una sporca operazione durante la campagna per il voto di giugno. Al termine di un comizio di Leka Zogu, il pretendente al trono, fu ucciso un militante monarchico, un ragazzo venuto da Tropoja, che è nel Nord più profondo ed è anche il luogo d'origine di Berisha, un suo feudo. Haidari sostenne che ad uccidere il ragazzo sarebbe stato un militare delia Forza multinazionale di pace, e intendeva un italiano. La cosa era assai pericolosa, naturalmente, perché se si fosse diffusa quella notizia, ogni soldato europeo si sarebbe trasformato in un bersaglio. Pericolosa e, naturalmente, falsa: non c'erano militari europei, quel giorno, per strada, e il briccone venne smascherato. E così, dissero in molti, andò in fumo lui piano studiato con cura dal gruppo di Berisha. Mentre l'ex Presidente parlava in piazza Scanderbeg, i suoi scandivano slogan: «Scutari, Scutari», e «Libertà per i detenuti politici». Altra gente protestava, nello stesso momento, per la Finanziaria Vefa le cui condizioni non sembrano affatto floride e si teme un nuovo crac, dopo quelli che portarono alla sommossa dell'anno scorso. Il potere, in Albania, non è mai andato famoso per la tolleranza. Quale ne sia il colore. Così, di quei duemila circa di piazza Scanderbeg, ieri ne sono stati arrestati un'ottantina. Ma anche questo, pensa Berisha, può servire per mostrare all'Europa così diffidente quanto sia truce il volto dei socialisti, gente con la quale non si può trattare sottolinea. Per questo è inutile che i democratici varchino la soglia del Parlamento: meglio l'Aventino, ci disse quel giorno, dimenticando di aver criticato aspramente i suoi avversari che avevano deciso di boicottarlo disertando l'Assemblea mentre al potere c'era lui. Ma si sa, è raro che gli errori, anche quelli degli altri, insegnino qualcosa. Vincenzo Tessandori Polizia in allerta in tutto il Paese A Tirana ieri sera rivolta in carcere Tre agenti presi in ostaggio Agenti dei corpi speciali della polizia davanti alla prefettura di Scutari (foto ansa] Un furgone della polizia bruciato negli scontri di Scutari e (sotto) il comizio di Berisha a Tirana [foto ansa]