Ma non serve piangere sulle leggi del mercato
Ma non serve piangere sulle leggi del mercato F ANALISI =1 Ma non serve piangere sulle leggi del mercato HA certamente ragione Massimo D'Alema quando si domanda se in Italia le grandi aziende vogliano comandare nelle società privatizzate senza comprarle. Ed ha altrettanta ragione a riferirsi implicitamente a Telecom. Oggi Telecom è, come dire, secondo una tesi diffusa, sotto «l'influenza dominante» del gruppo Ifi attraverso l'Ifìl: ne sono una prova le recenti nomine al vertice del gruppo. E l'Ifìl ha certamente speso poco per comprarsi questa «influenza dominante», dal momento che di Telecom possiede lo 0,6%. Ora, l'Ifìl (che è un'azionista «reale» tanto quanto quelli invocati dal vicepresidente del Consiglio) ha fatto bene dal suo punto di vista: se avessi azioni Ifil sarei contento, plauderei all'operato del management che è riuscito, spendendo poche centinaia di miliardi, ad acquisire un ruolo così importante in un gruppo redditizio come Telecom. Se invece fossi l'onorevole D'Alema non sarei contento (ed in effetti lui non sembra esserlo). Non tanto per via dell'Ifi-Ifil, uno dei pochi gruppi italiani capaci di una gestione efficiente delle proprie partecipazioni. Quanto perché la possibilità di controllare senza pagare deriva senz'altro da mi fattore strutturale (su cui torneremo), ma anche da un impianto normativo che è stato solamente in parte scalfito dalle nuove regole sulla corporate governance varate dal governo la scorsa settimana. Perché non è così certo, come sostiene il professor Giavazzi, che le nuove norme sulle Offerte Pubbliche d'Acquisto costringeranno gli azionisti partecipanti ai nuclei stabili di Ina, Credit, Comit, Telecom (ma anche di alcuni gruppi tradizionalmente privati) ad accrescere in misura significativa la propria partecipazione. Non è certo perché gli attuali azionisti di controllo hanno da temere, dai potenziali scalatori, o un'Opa preventiva (ma il 60% rappresenta un costo non mdifferente) o un'Opa totalitaria (ancora più cara), ovvero l'acquisto sul mercato di quote maggiori di quelle del nucleo stabile di controllo. E', quest'ultima, un'operazione non semplicissima, anche per via della pubblicità che bisogna dare una volta che un acquirente salga sopra il 2% di mia società quotata. Assai meglio, dunque, accordarsi con gli attuali azionisti di controllo, acquistandolo (o condividendolo con loro) senza incorrere nei rigori dell'Opa. Operazione resa maggiormente possibile dalla natura spesso più «finanziaria» che «strategico-industriale» dell'investimento in partecipazioni di società privatizzate. Ma la cronica assenza di investitori «strategici» nazionali rende strutturale il problema del «controllare senza pagare». La sfida quindi è duplice. La prima è far sì che vi sia ben più di un'Ifil in grado di acquisire il controllo delle varie Telecom e costringere l'Ifìl di turno a pagare dì più per quel controllo. E questo è un problema di sviluppo del mercato dei capitali e di fissazione di regole di governo societario. Ma la seconda sfida, accrescere il numero degli investitori «industriali» italiani, c'entra solo in parte al mercato dei capitali; ed ha a che fare con la sostanziale inesistenza in Italia dì società e gruppi che fanno della tecnologia, della ricerca e dell'innovazione nei settori chiave delle economie sviluppate il loro obbiettivo ed il loro credo. E questa sfida l'abbiamo probabilmente perduta. Ce l'hanno fatta perdere anni di politica industriale inesistente o, peggio, dissennata, ai cui guasti più profondi sarà estremamente difficile porre rimedio. Solo mia politica mdustriale con la P e la I maiuscole potrà permetterci non tanto di risalire la china quanto di evitare mi ulteriore declino. L'integrazione europea, da questo punto di vista (come saimo bene i nostri partner), non aiuta. Ma tant'è: potevamo pensarci prima. Alessandro Pansa ,saj
Persone citate: Alessandro Pansa, D'alema, Giavazzi
Luoghi citati: Italia
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