Pacciani, l'autopsia scioglie i dubbi

Pacciani, l'autopsia scioglie i dubbi La procura non ha concesso il nulla osta alla sepoltura: chiede test tossicologici approfonditi Pacciani, l'autopsia scioglie i dubbi «Morte naturale», ma si faranno altri esami FIRENZE DAL NOSTRO INVIATO Non è vero che quando uno muore si porta via i suoi segreti. Non è vero che sia tutto finito. Non è vero che la storia maledetta del mostro di Firenze sia conclusa: chissà se finirà mai. Pacciani se n'è andato, alla sbarra ci sono i suoi «amici di merende» ma forse qualcuno è rimasto nell'ombra, un mandante, uno che avrebbe avuto mille interessi a volere morto il Vampa, uno che avrebbe pagato per ottenere i macabri trofei che l'assassino si portava via quando uccideva le coppiette. Ma Pacciani lo ha ucciso il suo cuore malandato, su questo paiono esserci pochi dubbi, dopo l'autopsia. Il prof. Giovanni Marello dice che «dai segni che abbiamo riscontrato si può ipotizzare che abbia vissuto alcune ore in stato di semincoscienza. Ho comunicato ai magistrati l'ora della morte ipotizzata sulla base degli esami. Per il momento posso soltanto dire che è avvenuta sabato sera, dopo cena». Ma Michele Giuttari, capo della Mobile fiorentina, ieri sospirava: «Non convincono le ipostasi che aveva sulla schiena, perché lui era prono quando lo hanno trovato e nessuno ha toccato quel corpo». Il punto è che quelle macchie si formano dove il cadavere poggia e soltanto dopo alcune ore. La domanda è: come ha fatto il Pietro a girarsi, da morto? La sua è stata un'agonia lunga, ore, precisano i medici legali, e la procura non concede il nulla osta alla sepoltura: chiede esami istologici e tossicologici più approfonditi. Il Pietro non lo rimpiange nessuno, era uno violento, uno che sapeva come non farsi amare. La moglie, Angiolina Marini, ha alzato appena la testa, quando le hanno detto che era morto: «Almeno, ora è finita». E ieri si è saputo chi era la dama bionda che aggredì in casa l'Angiolina: sarebbe la moglie di un medico. Forse in quella casa ci era andata per cercare qualcosa. E i gh amici, o complici secondo l'accusa, di Pacciani? Mario Vanni, detto Torsolo, ha assicurato che la notizia non gli faceva «provare nulla. Lui mi aveva minacciato che mi avrebbe picchiato quando sortivo dal carcere. Io non c'ho mai avuto simpatia, con lui, s'andava a fare le merende». E Lotti, il «pentito»? «Quello che ho raccontato è la verità, non potevo fare in un altro modo. La morte non si augura a nessuno. Ma non è che quella di Pietro mi colpisca troppo. Lui? Mi ricordo una persona violenta, un prepotente con cui non andavo d'accordo». Nella casa di via Sonnino, 30, a Mercatale, ieri hanno cominciato una perquisizione che andrà avanti giorni, ha detto il capo della Squadra mobile. «Ma avrei preferito che ci fosse Pacciani, qui con noi». Perché, dottore? Per studiarlo? 0 avete trovato qualcosa che lo avrebbe incastrato? «Avrei preferito...», ripete Giuttari. Lui parla nel piccolo cortile davanti alla casa. Dentro, con i poliziotti che tentano di orientarsi in un terribile caos, c'è Graziella, la figlia piccola di Paccia- ni. Immobile, indifferente, paziente. Immobile e paziente visse anni accanto a quel padre che l'aveva seviziata e che ripeteva di volerle così bene. Gh agenti sembrano formiche: sul viso hanno la mascherina perché il puzzo è insopportabile. «C'è di tutto, là dentro», spiega un giovane agente. «Anche la spazzatura fermentata, i cartoni del latte andato a male». Si sa, il Pietro accumulava tutto, ima manìa la sua che gh era già costata cara perché in casa, durante una perquisizione, avevano trovato un blocco da disegno identico a quello usato da Horst Mayer, che con l'amico Jens Huwe Ruesh fu ucciso a Giogoli, presso la Certosa del Galluzzo, il 9 settembre '83. E un portasapone, simile a quello del ragazzo. E un disegno di un artista cileno, che lui aveva ritoccato aggiungendoci sette stelle: come il numero delle coppie assassinate dal mostro, aveva sottolineato l'accusa quando lo processarono. E nell'orto di via Sonnino il poliziotto Ruggero Perugini, uno miope ma evidentemente fortunato, in un giorno di pioggia aveva scorto una cartuccia Winchester cai. 22, Long Rifle della serie H. Come quelle usate dal manìaco delle coppiette. Questa è la decima volta che la casa viene passata al setaccio. «E sarà la definitiva», assicura il dott. Giuttari, mentre i suoi uomini por¬ tano fuori i primi sacchi neri colmi di fogli, appunti, scritti. Perché il Pietro era uno che segnava la cosa più banale come l'awenimento più importante. E in mezzo a quegli scritti, si tenta di capire, per esempio, come abbia fatto il Pietro ad accumulare un patrimonio cospicuo, considerati i suoi guadagni: 150 milioni in titoli li hanno trovati nascosti in un forno, e poi lui era proprietario di due case, fatte ristrutturare. Paolo Canessa, il sostituto procuratore che ha diretto le indagini sui delitti del mostro, almeno nell'ultima fase, ha sottolineato come tutto ciò sia «incompatibile» con gli introiti di Pacciani nel periodo, a cavallo fra i '70 e gli '80». Negli anni, insomma, in cui furono asassinate le coppie sui colli fiorentini. «Non è compatibile per un uomo che è stato vent'anni in galera». Ecco, è così che emerge l'ipotesi di un mandante, di una specie di mecenate del crimine disposto a sborsare cifre cospicue pur di mettere le mani su quanto si portava via l'assassino. L'assassino o gli assassini? C'è un processo, oggi, per stabilire se Pacciani avesse realmente dei complici. Nino Filaste, penalista, scrittore di gialli, si dice però sicuro che il mostro sia un'unica persona. E lo dice non soltanto perché difende in aula Mario Vanni, uno degli amici di merende. «L'abolizione dei serial killer dalla provincia di Firenze è sconcertante e desta preoccupazione», osserva. «Perché, per quale ragione si è abbandonata la ricerca di questo personaggio che è concreto e si è anche lasciato dietro tracce vistose?». E Filastò va oltre, dice che il «mostro» ha agito sempre con la massima disinvoltura perché non temeva di essere scoperto. «Se anche lo avessero sorpreso nel luogo di un agguato, con le mani lorde di sangue, avrebbe potuto spiegare che lui, in quel posto, poteva starci. Per la sua professione, per esempio». Intende dire che potrebbe trattarsi di un poliziotto o di un carabiniere? «Proprio questo, intendo. Per esempio, nell'81, a Scandicci, vicino al luogo dove furono straziati Giovanni Foggi e Carmela De Nuccio abitava un terrorista coi poliziotti sottocasa a piantonarlo. E non è detto che il maniaco abbia ucciso solo con la Beretta. Ci sono 4 casi di persone assassinate in macchina e poi bruciate. Come Francesco Vinci, uno del clan dei sardi che conosceva molti segreti: mi aveva fatto sapere di avere cose interessanti da dirmi, una settimana prima di essere ucciso». Vincenzo Tessandori L'agonia sarebbe durata molte ore. Il capo della Mobile: non convincono i segni sulla sua schiena Iniziata nella sua casa la perquisizione «Andrà avanti giorni preferivamo ci fosse lui» Vanni: non mi spiace di nulla che sia morto. Mi aveva minacciato se uscivo di cella Nell'abitazione trovata spazzatura fermentata, cartoni di latte puzzolenti A destra curiosi davanti alla casa di Pietro Pacciani a Mercatale Val di Pesa A sinistra il pubblico ministero Paolo Canessa

Luoghi citati: Firenze, Scandicci