Il braccio americano del raïss

Il braccio americano del raïss Il braccio americano del raïss Hamdoon, l'abile ambasciatore all'Onu WASHINGTON. L'uomo con gli occhi a palla e l'aria stralunata che viene sempre ripreso dalla tv dietro a Tarek Aziz non è, come potrebbe invece sembrare, il guardia spalla del vice premier iracheno. Si chiama Nizar Hamdoon, ha 53 anni, e secondo alcuni è uno dei più abili diplomatici della sua generazione. Hamdoon è l'uomo di Saddam Hussein al Palazzo di Vetro, l'ambasciatore che da cinque anni ha l'ingrato compito di difendere gli interessi dell'Iraq (e del suo leader sanguinario) nei corridoi felpati delle Nazioni Unite. E che adesso, dopo l'accordo raggiunto da Kofi Annan, deve tornare in pista per dare corpo a questa esile vittoria della diplomazia. A complicare la sua già difficilissima missione contribuisce la dimensione vagamente surreale in cui vive, lontano dagli intrighi di palazzo a Baghdad ma anche dagli ambienti politici americani che un tempo, quando era ambasciatore a Washington, conosceva così bene (oggi non può lasciare New York). Nonostante questi handicap, Hamdoon si è rivelato una pedina indispensabile nella comples¬ sa partita diplomatica che si è giocata in queste ultime settimane. Chi lo conosce bene dice che il suo primo talento è quello di saper sopravvivere. Entrò giovanissimo nel partito Baath era ancora uno studente di architettura - e negli anni si è sempre schierato con i vincenti, salvando la pelle e facendosi strada nei meandri pericolosi della politica irachena all'ombra di Tarek Aziz, il maestro della sopravvivenza. Aziz convinse Saddam Hussein a mandare Hamdoon a Washington nel 1983 come giovane ambasciatore presso gli Stati Uniti, Paese che aveva imparato a conoscere da lontano studiando al Baghdad College, l'università americana fondata nel 1933 dai gesuiti. Saddam Hussein gli diede un incarico vitale: convincere gli Stati Uniti ad appoggiare l'Iraq nella guerra contro l'Iran. L'Era Reagan era nel pieno del suo fulgore e Hamdoon e sua moglie Sahar (e le due figliole Ula e Sama) conquistarono la capitale L'ambasciatore si fece amici dentro e fuori l'Amministrazione. Stabilì contatti importanti con il Congresso, con gli istituti di ricerca, con i grandi giornali e perfino con la lobby ebraica. «E' stato senz'altro uno dei più abili diplomatici arabi in missione a Washington», dice Phebe Marr, studiosa dei rapporti Iraq-Stati Uniti. La sua missione fu un successo - gli Stati Uniti si schierarono con l'Iraq - e Saddam Hussein lo richiamò a Baghdad. Lontano dai fasti della sua ambasciata a Washington, Hamdoon venne risucchiato inesorabilmente nei torbidi della politica baathista. Quattro anni dopo Saddam Hussein invase il Kuwait. L'Iraq fu sconfitto dalla più grande alleanza internazionale della storia. Dalle macerie Tarek Aziz riemerse più forte di prima. E quando si trattò di trovare l'uomo giusto da mandare all'Onu per riannodare i rapporti con i Grandi, Saddam Hussein si rivolse ancora una volta a Hamdoon l'Americano. In questi anni di «prigionia» a New York ha lavorato con abilità e molta furbizia per allentare la coalizione anti-irachena e premere per la fine delle sanzioni. Costretto a fare una politica anti-americana, oggi non gli rimane che contemplare con nostalgia i cimeli dei suoi anni d'oro a Washington allineati nel suo bell'appartamento a New York: fotografie incorniciate della famiglia Hamdoon con Ronald Reagan, George Bush e perfino il giovane governatore dell'Arkansas, Bill Clinton, [a. d. r.] «Hitti quelli che hanno un mestiere scappano da questo Paese assediato» «Speriamo che ora cadano le sanzioni vorrei lavorare vorrei dei soldi» Nizar Hamdoon ambasciatore iracheno al Palazzo di Vetro