Semeghini, lirismo a colori

Semeghini, lirismo a colori A Verona, la rassegna dedicata a uno dei pittori più sognanti del primo Novecento Semeghini, lirismo a colori Analista dell'anima tra Freud e Carroll w I hLiia VERONA EMEGHINI ventunenne è già a Parigi nel 1899, prima di Soffici, Oppi, Modigliani, Severini. Fra il primo e il secondo decennio vi tiene studio in me de la Tombe Issoire e vi incontra Gino Rossi, con cui compie il viaggio in Bretagna sulle orme dei gaiiguiniani di Pont-Aven. «Amniiravo gli impressionisti, soprattutto. Quando uno vien via da un paese come il nostro in cui il grande pittore è Tito, si capisce che rimane colpito da Renoir, da Degas. Una volta un grosso mercante voleva farmi una mostra. Invece qualche giorno dopo scoppiò la guerra. Ecco, se non c'era la guerra ero un pittore lanciato. Ma forse è meglio così». Il ricordo è del 1962 ed è un esempio perfetto dell'aura di «understatement» che avvolge tutta la vita del pigro Semeghini, pensoso anarchico alla Pissarro che a Milano sotto il fascismo era obbligato al domicilio coatto durante le visite ufficiali: una delle voci di natura cromaticamente più liriche e sognanti della prima metà del secolo, un Morandi senza metafisica, anticipatore e maestro di ogni tonalismo e chiarismo milanese, torinese, romano. L'Autoritratto, del 1905, un respiro evanescente e asciutto brunodorato forato dall'azzurro delle pupille, e Mia madre del 1908. con l'espandersi informale di quel rosso aranciato che per il successivo mezzo secolo governerà, con un soffocato calore senza paragoni, la sua tavolozza, alternandosi ed eqxulibrandosi con l'azzurro acidulo e le delicatezze del giallo dorato, sono prototipi di una vicenda pittorica che, fatta salva la sua scelta forse autocritica di un respiro breve ma profondo, è paragonabile alla durata di testimonianza di un Bonnard o di un Ensor. Il radicamento nei modelli del primo è evidente nella Natura morta dei cocomeri del 1912 ma persiste il confronto con la sua tarda attività anche nei due morbidissimi Nudi del 1935, mentre ensoriana è l'inquietante sinfonia in rosso sangue e biacca della Natura morta con i teschi, parigina dei primi Anni 10, che già preannuncia la scuola romana e «Corrente». E' questa l'incidenza, la «funzione», sotterranea ma pervasiva nella prima metà del secolo italiana, di questa testimonianza di fedeltà alle radici di un postimpressionismo progressista, proiettato verso il futuro altrettanto quanto le parallele tendenze di avanguardia espressionista e costruttiva. Negli stessi anni parigini si muovono in questa direzione, ciascuno a suo modo, un Viani, un Rossi, un Oppi e qualche scambio emerge: il primo segno dell'amore di Laguna che si fisserà l'anno dopo a Burano, Barconi a Chioggia del 1912, con i suoi giallorosa aranciati e i violetti slavati che lasciano affiorare barlumi della tavoletta di compensato - una modalità costante anche nel futuro -, è pittoricamente vicino sia a Viani che a Rossi. Negli stessi anni anteriori alla prima guerra mondiale la luce padana della natia terra mantovana richiede gli accenti più densamente cezanniani, terragni di Case a Culagna e II temporale. Le forme definitive per il futuro compaiono nell'immediato primo dopoguerra, quando Semeghini, con l'appoggio di Barbantini, assume autorevolezza a Venezia fra gli amici «buranesi» e capesarini e tiene le prime personali alla Galleria Gerì Boralevi. Si dispiegano con sottilissimi scarti di vibrazioni cromatiche di ore o di stagioni i temi veneziani con variazioni. Chioggia del 1919 è gemella un poco più rosata e pri¬ maverile del pallido Canale di Chioggia all'alba del 1937 e del dorato Ponte di Chioggia, primo Premio Bergamo 1939, in cui dopo vent'anni la poesia «chiarista» della Chioggia di Semeghini è una conscia risposta alla Viareggio novecentesca e plastica di Carrà. L'«understatement» di Semeghini, inquieto seminatore di naturalismo lirico fra le estati veneziane e Lucca, Verona, Milano, è la maschera di una cultura pittorica seriamente alternativa sia a Novecento che alle istanze di magìa metafisica. Considerando la data e la grande fortuna del testo longhiano soprattutto fra gli artisti romani, l'Omaggio a Piero Della Francesca del 1930 occulta sotto la sua dolcezza un vero manife- ;<Pupa col sa sto di contrapposizione. Eccellono fra gli Anni 20 e 40, modelli per giovani Birolli e Cassinari, per Del Bon e Spilimbergo, e anche per Menzio, i suoi ritratti femminili, le sue «pupe», con il loro minimalismo lirico che negli Anni 40 si estremizza nel puro segno grafico con non più di un soffio di bianchi, di celesti, di gialli paglierini, in cui si insinua un'analisi dello spirito inquieta e inquietante, da discendente di Lewis Carroll nel secolo di Freud. Marco Rosei Pio Semeghini Palazzo Forti, Verona Aperto fino al 13 aprile (Catalogo Electa) Orario: 9-19 da martedì a domenica Pigro, pensoso, asciutto, ammirava gli impressionisti e catturava la luce padana. Durante il fascismo fu obbligato al domicilio coatto ;<Pupa col salvadanaio», olio su tavola, dipinto da Pio Semeghini nel 1926