Troppi stranieri nel Chiapas zapatista di Luigi Grassia

Troppi stranieri nel Chiapas zapatista Espulsi 5 americani ed europei, preavviso ad altri 400 fra i quali osservatori dei diritti umani Troppi stranieri nel Chiapas zapatista Il Messico decide di cacciarli Pulizia etnica (soft) degli stranieri. E' l'asso nella manica che prova a calare il governo messicano per riprendere il controllo del Chiapas rivoluzionario. Cinque attivisti stranieri per i diritti umani - fra loro tre americani, i più scalmanati - sono appena stati espulsi. Altri sette o otto hanno ricevuto l'ordine di fare presto le valigie e ben quattrocento osservatori di Organizzazioni non governative e gruppi internazionali di solidarietà, riferiscono le autorità di Città del Messico, «se ne dovranno andare appena scaduto il permesso di soggiorno». Fra loro, una cinquantina di italiani. Precisi limiti di azione (se non temporali) della loro missione sono stati ribaditi anche ai circa 180 membri della Commissione civile internazionale per i diritti umani piombati qui dopo la strage del 22 dicembre ad Acteal. Mosse giustificate o provocazioni al resto del mondo che osserva e partecipa? La presenza (asfissiante, dal punto di vista delle autorità) di una folla di stranieri simpatizzanti degli zapatisti suscita da quattro anni l'insofferenza di Città del Messico. Nei giorni scorsi, un salto di qualità nelle accuse: europei e americani partecipano sempre più attivamente alle attività rivoluzionarie e addirittura le dirigono, mal protetti da quei famosi passamontagna che dal «subcomandante» Marcos in giù sono tutta la divisa dei guerriglieri. Questa la goccia che ha fatto traboccare il vaso: l'elicottero di una delle più note telegiornaliste messicane atterra malamente e senza preavviso nell'enclave zapatista di La Relidad; le pale del rotore fanno volar via la copertura della scuola del villaggio; e una folla di gente infuriata attacca il velivolo e i suoi occupanti. «Li ho visti bene, quelli che ci hanno aggredito - accusa Lolita De La Vega davanti alle camere della tv Azteca - erano bianchi, alti, giovani, occhi azzurri, capelli rossi. Li comandava un barbone spagnolo». La gente del posto si sente vittima di un'aggressione: «Quando l'elicottero è piombato su di noi pensavamo che fosse l'esercito che veniva a sterminarci come ad Acteal». Ma per De La Vega il punto non è questo: «Ormai quelli che comandano in Chiapas sono una masnada di stranieri, uomini e donne, spagnoli, tedeschi, americani e chissà quanti altri». Il governatore del Chiapas protesta: un conto sono gli osservatori, «ma non tolleriamo che gli stranieri vengano a fare dichiarazioni politiche, o peggio che distorcano la realtà politica del nostro Stato». Gli risponde Ignacio Garcfa, segretario coordinatore del gruppo europeo di osservatori dei diritti umani: non facciamo niente del genere, raccogliamo solo dati e informazioni sul conflitto. Il vescovo della diocesi di Tuxtla Gutiérrez, Felipe Agiùire, invoca «moderazione, perché di questo passo si arriva alla xenofobia». E Andrés Manuel Lopez Obrador rivendica che la dirigenza zapatista è tutta messicana, e accusa il governo di ipocrisia, perché «svende il Paese a Washington e al Fondo monetario internazionale e poi si scopre suscettibile e nazionalista quando si tratta di Chiapas». Il problema di tante persone venute da fuori, però, non è peregrino. Vera rivoluzione popolare contro la globalizzazione, o sarabanda massmediologica per veteromarxisti, neoterzomondisti e radicalchic europei e americani: sono i due estremi fra cui si collocano i giudizi sulla rivolta zapatista nel Chiapas fin dal suo erompere 4 anni fa. I quarantacinque trucidati (perlopiù donne e bambini) del 22 dicembre nel villaggio «liberato» di Acteal hanno dimostrato una cosa: il sangue che scorre è vero, i rivoluzionari, le loro famiglie, l'«acqua in cui nuota il pesce» subiscono davvero la mattanza. Ma nella loro rivolta sono sobillati da stranieri? E' la solita tesi dei «controrivoluzionari». Però è un fenomeno ben noto che la forte attenzione internazionale su un'area da sempre marginale e ignorata dal mondo può contribuire a far sentire la gente del posto per la prima volta protagonista, e farle desiderare di continuare a esserlo agitandosi il più possibile. Il caso limite è quello dei dimostranti nell'Ulster che si facevano pagare dalle tv americane per attaccare i cordoni della polizia nel modo più spettacolare, al momento giusto e con la giusta luce. E' il caso anche nel Chiapas? Qui finora i rivoluzionari hanno subito la repressione piuttosto che scatenarsi, nonostante il diluvio di tv, fax e siti Internet che ha contornato la rivolta. Una soluzione del conflitto è stata negoziata nel 1996 e formalizzata negli accordi di San Andrés sui diritti dei tre milioni di indigeni che vivono nella regione. Gh zapatisti lamentano che finora non sono stati attuati. Anche loro però subiscono documentati attacchi come il libro «L'impostura geniale», appena pubblicato in Francia, in cui l'ex corrispondente di «Le Monde» Bertrand de La Grange e la collega spagnola di «El Pais» Maite Rico fanno un ritratto al vetriolo del subcomandante Marcos. Quanto agli stranieri filo-zapatisti che entrano in Messico come turisti e poi si trattengono oltre la scadenza del visto, partecipando in attività politiche a fianco della guerriglia, è giusto rilevare che non è solo da destra che ci si lamenta delle loro attività: commentatori di sinistra li hanno ribattezzati ironicamente «turisti guerriglieri» giudicandoli non davvero utili alla causa degli indigeni. Luigi Grassia Guerriglieri zapatisti nel Chiapas Il governo messicano ha deciso di cacciare gli stranieri (in genere loro sostenitori) che affollano la regione

Persone citate: Felipe Agiùire, Ignacio Garcfa, Lolita De, Maite Rico, Manuel Lopez, Pais, Vega

Luoghi citati: Acteal, Città Del Messico, Francia, Messico, Ulster, Washington