UN EROE ITALIANO di Alberto Papuzzi

UN EROE ITALIANO UN EROE ITALIANO NESSUN altro scalatore ha rappresentato così bene, come il bergamasco Walter Bonatti, le tensioni e i problemi dell'alpinismo moderno e della cultura della montagna, perché egli è stato la cerniera fra l'epoca classica e le nuove stagioni, fra le imprese avventurose di Comici e Gervasutti, di Bulli e Cassin e la concezione estrema dell'alpinismo proposta da Rheinold Messner. Rimase il protagonista della sfida alle vette per quindici anni, dal 1951, quando conquistò la parete Est del Grand Capucin, al 1965, quando tracciò in solitaria la diretta sulla Nord del Cervino. La sua eccezionale carriera è stata anche costellata, per scelta e per sorte, di episodi drammatici - la notte sul K2 (1954) o la tragedia del Frenay ( 1961 ) -, che crearono attorno alla sua figura un alone d'eroismo. UN E Ugualmente forte in roccia e su ghiaccio, fisicamente solidissimo, portato a concepire imprese innovative, Bonatti era soprattutto dotato di un autocontrollo leggendario, come si legge nella «Storia dell'alpinismo» del torinese Gian Piero Motti. Due volte attraversò amare crisi esistenziali ma in entrambe le occasioni ne uscì realizzando imprese stupefacenti: dopo la triste esperienza del K2, realizzò in solitaria la prima ascensione del Petit Dm (1955), considerata qualcosa di irripetibile e fantastico, e reagì alle assurde polemiche che circondarono la tragedia del Frenay con tre capolavori sul Pilier d'Angle. Il suo stile di uomo e scalatore è fotografato dall'ultima grande ascensione, quella dell'addio, la nuova via sulla Nord del Cervino, in inverno e in ANO solitaria. Primattore in un'epoca in cui l'alpinismo viveva ancora la competizione nazionalistica, personificò la rivincita degli italiani contro le potenze straniere. Questo spiega in parte la sua straordinaria popolarità, che varcava ampiamente la cerchia degli scalatori. Un'altra ragione è la sua versatilità come scrittore e come fotografo, che gli creò un affezionato pubblico di lettori, anche dopo l'uscita di scena. In «Montagne di una vita», raccolta di scritti apparsa nel 1995 da Baldini&Castoldi, si può leggere questo passo: «La montagna, fin dall'inizio, è stato l'ambiente più congeniale alla mia formazione. Mi ha consentito di soddisfare il bisogno innato che ha ogni uomo di misurarsi e di provarsi, di conoscere e di sapere». Alberto Papuzzi i Alami' Mie fata in mostra In allo a sinistra Banani con ii>Ì!xmi'i (1972) a destra il versante Soni Est del ( Irand ( apnea i (1977) Sotto nel deserta delNamib (1972)