AMEliO una tragedia per ridere
AMEliO una tragedia per ridere Incontro con il regista che da lunedì comincerà a dirigere a Torino il suo nuovo film AMEliO una tragedia per ridere LUNEDI' a Torino, in via Milano, Gianni Amelio, dopo i quattro anni di silenzio seguiti a «Lamerica», comincia a dirigere il suo nuovo film, storia di due fratelli in quella grande migrazione da Sud a Nord degli Anni Cinquanta e Sessanta che rappresentò un momento cruciale della storia italiana recente. Ne ha scritto soggetto e sceneggiatura in un mese, da solo, con Laura Taviani e Alberto Taraglio come interlocutori o «compagni di strada». I protagonisti sono Enrico Lo Verso, il sedicenne debut tante Francesco Giuffrida e la città dove girerà per dodici settimane: «Torino è vera, non da cartolina illustrata. Nel film la vedo in lungo e in largo, soprattutto le zone di Porta Palazzo e Porta Nuova». I Cecchi Gori sono i produttori, Luca Bigazzi è il direttore della fotografia. Il titolo è «Così ridevano». Cosa vuol dire? «Un tempo la "Domenica del Corriere" pubblicava una pagina di barzellette inviate dai lettori, dette "cartoline del pubblico". Arrivavano a migliaia, gli archivi ne traboccavano. A un certo punto il settimanale ha cominciato a ripubblicare, con la data e il titoletto "Così ridevano", le vecchie barzellette: ma non facevano più ridere. Al massimo facevano goffamente intenerire, pensare "guarda per quali sciocchezze ridevano". La mia ambizione sarebbe quella di fare un film che racconti la tragedia anche attraverso il riso, la tenerezza, la distanza». In quali anni? «Dal 1958 al 1963, le date del boom di quella migrazione interna che fu il primo vero incontro tra Sud e Nord nell'Italia unita; gli anni di "Italia '61", della operaizzazione de^li emigrati, anche di "Cosi ridevano" della "Domenica del Corriere"». Cosa racconta? «La storia di una ossessione innaturale. Un emigrato siciliano di ventisette anni, analfabeta, forse pastore o contadino vissuto in un paese piccolo di montagna, ha portato a Torino il fratello minore adolescente. Vuole che studi, che prenda il diploma di maestro, che viva con i libri in un ambiente adatto ai libri, tra gente che parla italiano: il suo sogno è la cultura, il sapere che ti cambia e ti fa progredire. Ma il ragazzo è quasi costituzionalmente inadatto al banco di scuola e alla vita da studente, vorrebbe lavorare, stare con altri siciliani. Il fratello maggiore fa tutti i lavori possibili per guadagnare e per mantenere agli studi il minore, senza accorgersi che i confini di questa impresa gli si confondono, che perde il senso dei limiti del sacrificio e della legalità. Le cose non vanno come nei desideri: nel corso del tempo i due fratelli cambiano, e al termine dei sei anni si ritrovano in un'Italia pure cambiata, dove il sogno del progredire attraverso la cultura s'è perduto. La vicenda è raccontata in sei giorni, uno per ogni anno: sono giorni come altri, senza nulla di speciale, ma rappresentano anche tappe nel percorso dei due fratelli». E' un film autobiografico? «No. Però racconta un mondo che conosco molto bene, ha durezze e punte di violenza che mi nascono da esperienze dirette». Il fratello maggiore sembra piuttosto un padre. «In quegli anni succedeva che i fratelli fossero padri: nel 1960, in "Rocco e i suoi fratelli", Luchino Visconti ebbe un'intuizione giustissima. I padri erano spesso lontani, emigrati all'estero. Erano le madri, le vedove bianche, a governare famiglie già anomale: tra me e il mio secondo fratello ci sono sedici anni di differenza, che segnano l'assenza di mio padre emigrato in Argentina. Ho voluto che Lo Verso fosse una specie di padre dove il padre non c'è». Lei giudica la migrazione interna dei '50-'60 un fenomeno distruttivo? «No. Non l'ho mai vista come un fatto devastante. Al contrario. Mentre l'emigrazione inizio secolo verso le Americhe è stata terribile, ha dissolto famiglie, individui e cultura, la migrazione interna ha arricchito enormemente Nord e Sud, è stata un passo avanti per l'Italia. Certo la prima generazione di meridionali emigrati a Torino o a Milano ha patito, ma anche nel Sud si pativa: noi mangiavamo ogni giorno cicoria raccolta nei campi, la pasta comprata a etti era il cibo della do- menica, la carne era un evento raro. Arrivo a dire che dovremmo coltivare l'utopia dell'emigrazione: il dramma è chiudersi da benestanti di fronte a chi viene verso di noi, senza considerare che quei poveri possono darci molta ricchez- L». Dopo «Lamerica» lei è rimasto quattro anni senza dirigere film. Perché? «Per puro caso, perché non avevo voglia. Oppure perché "Lamerica" è stato, più che un film, un'esperienza profonda che ancora mi porto dietro». Lei è stato forse l'unico artista e intellettuale italiano a raccontare ne «Lamerica» la tragedia albanese divenuta poi così evidente, però non è mai comparso alla tv per discuterne. «Naturalmente ho avuto un'infinità di richieste da televisioni, radio, giornali. Ma io ho fatto con "Lamerica" un film sulla mia pelle, non qualcosa da barattare per una fetta di pubblicità o di popolarità». Lietta Tornabuoni Con Enrico Lo Verso un'opera sul grande fenomeno del boom e dell'emigrazione che segnò il primo vero incontro tra Nord e Sud Una vita ai limiti del sacrifìcio e della legalità i i Dopo avere realizzato "Lamerica" non ho più lavorato per quattro anni Forse non ne avevo voglia 0 forse quell'esperienza mi aveva segnato troppo Ep E| Gli spostamenti furono utili ma vorrei raccontarli col sorriso B| l| AMEliO una tragedia per ridere date igrarimo ud e ; gli della emidevan am, tra no: il il sa ti fa zzo è mente Gli spostamenti furono utili ma vorrei raccontarli col sorriso B| l| i i Dopo av"Lamerica" nlavorato per Forse non ne0 forse quellmi aveva segil drammanestanti dne verso dderare chsono darL». Dopo «rimastosenza Perché«Per puroavevo perché "Lpiù che u Enrico Lo Verso è il protagonista assieme al sedicenne e debuttante Francesco Giuffrida Si girerà a Torino per dodici settimane. «Città vera, non da cartolina illustrata. Nel film la vedo in lungo e in largo, soprattutto le zone di Porta Palazzo e Porta Nuova», dice Gianni Amelio Sopra una scena di «Rocco e i suoi fratelli» di Visconti Qui a fianco: Amelio A sinistra: Giuffrida
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